Il convegno organizzato da AISRI e ospitato venerdì 13 ottobre da Cà Foscari ha fornito molteplici spunti di discussione; non poteva essere diversamente considerati la competenza e il prestigio dei relatori che hanno reso l’evento una sorta di Stati Generali della Partecipazione.
La fiducia di Gaetano Zilio Grandi nel dialogo tra le parti e nella contrattazione ha aperto i lavori e Mimmo Carrieri, coordinatore dei lavori mattutini, ha subito precisato che la vera novità odierna è il superamento del bivio conflitto-partecipazione: oggi le parti sociali richiedono la seconda.
Il “tornado” Salvo Leonardi ci ha dato l’illusione di un clima nuovo correlato al “superamento delle riluttanze” delle rappresentanze datoriali e sindacali; ma la perdita di prerogativa dello stato nazionale nel contesto internazionale del lavoro e l’incompatibilità dei riti della democrazia con i tempi della globalizzazione, non rendono raggiungibili gli obiettivi della partecipazione. E se il “fordismo” ha disintegrato l’operaio, il post-fordismo sta disintegrando il potere collettivo, accentuando la partecipazione diretta e l’empowerment individuale mediante metriche coercitive di valutazione della performance. Non siamo nel 1952 o nel 1976, anni di picco del potere operaio, quando in Germania il diritto alla partecipazione fu “scambiato” con il diritto allo sciopero; oggi il conflitto, in particolare nell’area produttiva, è tra le RSU e i team leader. Insomma, c’è poco da essere ottimisti, commenta Carrieri, il quale tuttavia si chiede: “Dove ci portano questi scenari “apocalittici” ?”.
Alla interessante case-history presentata da Luca Berretti sul distretto calzaturiero della Riviera del Brenta vorrei dedicare un successivo articolo, ma ci tengo a sottolineare la precisazione di Anna Ponzellini: la certificazione della filiera (“Made in Riviera del Brenta”) ha incluso anche i diritti dei lavoratori e questa deve essere considerata a tutti gli effetti una pratica partecipativa.
La ricerca presentata da Mario Ricciardi ha fornito uno spaccato molto peculiare delle modalità di partecipazione alla governance da parte dei soci di cooperativa. Innanzitutto si riscontrano un calo generalizzato delle presenze agli appuntamenti sociali e grande eterogeneità di comportamenti nel mondo cooperativo in merito a nomina e frequenza di rinnovo degli amministratori. A questi dati oggettivi si aggiungono condizioni retributive forse troppo favorevoli per mantenere competitività sul mercato e i rilevanti cambiamenti dei processi organizzativi connessi alla richiesta di prodotti più sofisticati e innovativi. Buone relazioni sindacali ma scarso è il coinvolgimento delle RSU; tutto sommato, chiosa Ponzellini, al sindacato non conviene dedicare molto tempo alle coop. Ma ci sono le condizioni per ravvivare la partecipazione nella “casa più antica” ? Bisogna essere capaci, conclude Ricciardi, di “disseminare la cooperazione” in un contesto sociale coeso e istituzionale favorevole; e certo una presenza maggiore del sindacato darebbe una mano.
Il World Class Manufacturing di FCA è stato presentato da Alberto Cipriani: indubbio conseguimento di risultati in termini di produttività e soddisfazione dei lavoratori, ma la domanda tra i presenti era latente:” Sarà tutto oro quello che luccica ?”. Affascinante la parentesi di Aldo Marchetti sulla autogestione delle fabbriche nella crisi argentina, merita un approfondimento che spero ci sia concesso a breve. Antonella Marsala ha presentato il progetto Equipe 2020 di Italia Lavoro e, oltre ai contenuti progettuali, mi è parsa interessante la sottolineatura che “il welfare è un mezzo, non un fine”.
A questo punto è entrata in scena Tatiana Mazali, al cui libro sull’Industria 4.0 vorrei dedicare uno spazio a parte; senza dubbio il suo punto di vista “esterno” ha drizzato le antenne di tutti i presenti, disegnando un modello “team-based” della partecipazione che richiederà “un “operaio aumentato”, che sappia gestire i dati, compiere una pluralità di operazioni, connettersi agli altri: mettendo al servizio del lavoro quelle stesse abilità di “nativo digitale” che utilizza nella vita privata. Attore consapevole di un processo evolutivo che presuppone sindacati all’altezza del nuovo terreno di confronto ma anche aziende capaci di dare il giusto in cambio del molto che chiedono. Sapendo, gli uni e gli altri, che indietro non si torna” (fonte: http://guerini.it/index.php/industria-4-0.html). Con lo spettro incombente degli algoritmi spersonalizzanti e delle distorsioni (il recente caso Foodora) della “gig economy”.
La mattinata si è conclusa con l’intervento di Tiziano Treu, il quale ha auspicato una maggiore attenzione del sindacato nei confronti dei quadri e di tutti e quattro i livelli della contrattazione: nazionale (è “vecchia nei metodi e nei contenuti”), territoriale, aziendale (“il sindacato non c’è”), e di reparto, sede della partecipazione diretta. Il welfare aziendale ha una logica partecipativa maggiore rispetto ai premi di risultato, ma oggi è spesso vissuto in modo opportunistico dai lavoratori e poco “sentito” dai sindacati; inoltre il “micro-welfare” è dispersivo e accentua l’individualizzazione del rapporto contrattuale. Ed è proprio il contesto “micro”, unitamente a quello sovranazionale, dove il sindacato deve rafforzare la sua presenza, perchè questi sono e saranno i motori del cambiamento.
Il pomeriggio, coordinato da Paolo Nerozzi, si è aperto con un’altra interessante case-history sulla partecipazione diretta in Alto Adige presentata da Andrea Signoretti per poi passare dalle esperienze alle prospettive della partecipazione.
Giuseppe Della Rocca ha subito tracciato la via: il conflitto e la partecipazione sono fenomeni collettivi, connotati da Identità, fattore determinante quanto difficile da conseguire, ma senza il quale ricadiamo nella prassi burocratica, nelle procedure contrattuali. La legge può facilitare ma anche distruggere. Il sindacato deve modificare il suo operato, non può più permettersi un’identità debole che lo conduce a intervenire solo “ex-post”, dopo il cambiamento o, addirittura, il trauma (vedi recuperadas in Argentina); questa è una posizione estrinseca al lavoro, la vera Identità deve essere connessa all’anticipazione e alla gestione del cambiamento.
Donata Gottardi è tornata sulla necessità di rivedere la normativa europea sulla governance duale, integrando la visione del diritto societario con l’analisi giuslavoristica; parlare di “coinvolgimento paritetico” dei lavoratori (e non anche dei datori !) è un ossimoro che evidenzia il ruolo marginale della partecipazione nella formulazione della legge.
Luciano Miotto è ritornato sul tema di Industria 4.0 chiedendosi se imprenditori e sindacati sono pronti ad affrontare la sfida epocale della Internet of Things delineata da Mazali; normare le relazioni industriali non sarà certo la soluzione, perchè il legislatore deve limitarsi a “canonizzare quello che le parti sociali concordano”.
Paolo Pirani ha concluso i lavori premettendo che il ruolo del sindacato è anche, e soprattutto, quello di garante della dinamica salariale; il welfare, pertanto, non può essere considerato un’alternativa alla retribuzione, perchè “se devi essere un sindacato del welfare, tanto vale avere un patronato”. La partecipazione dei lavoratori all’impresa è un elemento di potere, è condivisione degli obiettivi prima ancora che degli utili.
E’ la via della Identità della partecipazione, tracciata da Della Rocca, che unisce, pur nella diversità o nella complementarietà delle opinioni, studiosi, imprenditori e sindacalisti.