«Libero, creativo, partecipativo e solidale’: il titolo programmatico scelto per la 48° ‘Settimana sociale’ dei cattolici italiani in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre è quanto mai pertinente e condivisibile.
Sono quattro aggettivi importanti e significativi che hanno la stessa risonanza strategica e che dovrebbero essere costitutivi del lavoro nel nostro tempo. Il più rilevante è la partecipazione, perché la dimensione partecipativa del lavoro crea le condizioni storiche essenziali per poter essere liberi, creativi, solidali. Quando parliamo di libertà del lavoro dobbiamo ricordarci che oggi nel mondo esistono 45,8 milioni di lavoratori sottoposti a lavori forzati in condizioni schiavistiche (concentrati in Cina, India, Pakistan, Uzbekistan, Bangladesh); che il 70% dei lavoratori mondiali non hanno sistemi di sicurezza sociale (previdenza, assicurazioni malattia ed infortuni); che nelle ‘zone franche’ riservate all’export, in Cina, Vietnam, Malesia, Messico, Centro America, Asia, la settimana lavorativa è di 72 ore (6 giorni per 12 ore al giorno), gli straordinari sono obbligatori, le punizioni fisiche degradanti, la sicurezza del posto di lavoro totalmente assente. Situazioni estreme? Certamente, ma tutt’altro che residuali perché la Cina, la prima economia manifatturiera del mondo e le economie emergenti li praticano in forme diffuse. La battaglia, attraverso le nostre rappresentanze internazionali, per il riconoscimento dei diritti della persona, del lavoro, del sindacato, della contrattazione, sanciti dalle Dichiarazioni e dalle Convenzioni internazionali continua senza sosta. Ma noi rimaniamo convinti che il fondamentale riconoscimento giuridico della libertà e della dignità della persona e del lavoro trovi nella partecipazione il suo vero presidio, il suo vero punto di non ritorno, la sua barriera contro le regressioni storiche alla barbarie.
La partecipazione è la visione dell’azienda come sistema sociale di soddisfazione dei bisogni, di creazione e di distribuzione di valore. In quanto tale, al di là dei rapporti giuridici di proprietà, l’impresa vive della partecipazione e del contributo di tutti gli attori sociali che operano per il suo successo, a partire dai lavoratori. Parliamo di partecipazione strutturata all’innovazione di processo e di prodotto che ha bisogno della creatività del lavoratore, la sollecita, le offre i canali riconosciuti di espressione; partecipazione all’innovazione tecnologica, organizzativa e professionale attraverso le rappresentanze sindacali dei lavoratori; partecipazione alle scelte strategiche attraverso l’azionariato diffuso e la presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi di governo dell’impresa. Quindi: una partecipazione come presidio di possibilità, di stabilità, di garanzia della libertà e della creatività del lavoro. Questa è stata storicamente e rimane ancora la visione culturale della Cisl.
La partecipazione, così intesa, è per il nostro sindacato, laico ma ancorato alla dottrina sociale cristiana, soprattutto educazione alla solidarietà. Quando lottiamo per salvare le imprese in crisi, per difendere l’occupazione, per tutelare il potere di acquisto di salari e pensioni, per garantire ai giovani un lavoro stabile e una pensione dignitosa mettendoli al riparo dal rischio di una vecchiaia in povertà assoluta, noi partecipiamo ad una dimensione collettiva che condivide e testimonia valori, condizioni sociali, interessi, speranze. La soddisfazione dei bisogni vitali del lavoratore e la prospettiva del suo futuro è associata all’incontro, al confronto, alla condivisione con l’altro. L’efficacia dell’azione sindacale e di rappresentanza è possibile soltanto nella dimensione collettiva non individuale come invece teorizza qualcuno con una visione miope dell’azione e del ruolo dei corpi intermedi. Ecco perché lo strumento della partecipazione è anche la base e la garanzia di una vera democrazia, il modello economico vincente per poter contrastare le distorsioni della globalizzazione della produzione, dei mercati, della società.
Per competere anche il nostro Paese deve elevare la qualità complessiva dei prodotti e dei servizi. Per questo bisogna riconoscere ai lavoratori un eguale protagonismo nelle scelte generali e particolari. La nostra battaglia per ottenere relazioni sindacali sempre più partecipate mira a questo risultato. Non solo puntiamo con i contratti a individuare le adeguate procedure di decisione sui processi produttivi o sui servizi, ma intendiamo garantire la partecipazione dei lavoratori nei luoghi alti delle decisione imprenditoriale. Si tratta di far decollare un equilibrio di democrazia economica puntando su fondi pensione molto consistenti che, intervenendo nel capitale di impresa, possano condizionare le scelte dei gruppi manageriali. È una esperienza che ha avuto molta fortuna in altri Paesi, ma noi siamo solo agli inizi. Si possono avviare anche passaggi più arditi di canalizzazione del risparmio dei lavoratori verso il capitale di rischio delle loro imprese. Pensiamo all’utilizzo di parte del Tfr o di quote salariali destinate a questo fine, o alla libera volontà delle persone di investire parte del loro risparmio. Si tratta, dunque, di interessare e coinvolgere le persone in maniera collettiva nel destino di una azienda, non solo quando questa va male, ma anche quando questa va bene. Questa è la nostra impostazione di fondo, la strada anche per legare il salario al risultato d’impresa, governando insieme la sfida della digitalizzazione e delle aziende 4.0, investendo sul capitale umano, sulla formazione, sul protagonismo dei lavoratori.
Purtroppo abbiamo perso negli anni scorsi una grande occasione. Nel momento in cui lo Stato ha preso la decisione di non essere più ‘imprenditore’, smantellando frettolosamente le partecipazioni statali, il rischio è stato quello che tutta la ricchezza restasse nelle mani di pochi o dei soliti noti. Un mercato chiuso alla presenza ed al concorso dei lavoratori è altrettanto lesivo della libertà e dannoso per il buon finanziamento della democrazia. Per questo è necessaria la partecipazione e la democrazia economica, accompagnata dalla capacità di creare nuovi soggetti imprenditoriali, facendo crescere anche il tessuto della piccola e media industria. Lo Stato, allora, deve intervenire per sostenere la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo, le infrastrutture e garantire l’espansione dei nuovi privati. Anche in questo campo la partecipazione e l’azione sindacale è decisiva. È qui, in questo terreno, spesso aspro e accidentato, che si impara, partecipando, che salvare gli altri, i deboli, i disperati, salvare l’ambiente e la Terra, significa più che mai salvare noi stessi.
Si tratta di una fondamentale e feconda educazione sul campo che il sindacato confederale continua a praticare, vitale per la sua missione che integra nella stessa unità e nella stessa strategia solidale le differenze riconosciute dei lavori, delle generazioni, dei generi, dei territori. Tanto più preziosa oggi, nel travaglio drammatico del nostro tempo prigioniero della risacca etica e politica che dissocia e frantuma l’unità solidale dell’io e dell’altro, dei gruppi sociali e dei popoli. La nostra proposta è allora chiara: se la politica vuole dare un contributo determinante al mondo del lavoro, approvi una legge di sostegno alla partecipazione organizzativa e anche azionaria dei lavoratori (ci sono decine di progetti legge fermi nei cassetti del Parlamento) introducendo la presenza dei rappresentanti eletti dai lavoratori nelle sedi dove si decide il destino delle aziende, come avviene in Germania o negli Stati Uniti. In fondo era l’intuizione dei ‘padri’ della Costituente che nell’articolo 46 scrissero:«Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende». Dopo tanti anni, pensiamo che sia arrivato il momento giusto e siamo convinti che la ‘Settimana Sociale’ dei cattolici possa dare la spinta giusta a questo dibattito nel Paese. Questa sarebbe la vera svolta di democrazia economica che la Cisl auspica da tempo e che cambierebbe il nostro modello di capitalistico, sdoganando centinaia milioni di euro dei fondi contrattuali ed assicurativi che potrebbero essere utilizzati dalle imprese italiane per investimenti in innovazione, ricerca, formazione, qualità dei nostri prodotti. La partecipazione, come ha detto Papa Francesco, è la strada per rimettere al centro il lavoro dell’uomo, attraverso una contrattazione moderna, innovativa, con una politica coraggiosa che sappia costruire un contesto istituzionale, sociale e fiscale funzionale agli investimenti e a una economia basata sulla collaborazione e non sulla speculazione, sulla qualità e non sullo sfruttamento.
(A. Furlan, www.avvenire.it, 07.09.2017)