Salario minimo e contratti aziendali la sfida della modernità per il sindacato.

Mentre si attendono i veri numeri sugli iscritti, si intensifica la spinta per il ridimensionamento delle intese di categoria in favore di quelle per singola impresa, la chiave per il recupero della competitività. Ma la CGIL continua a opporsi.

(…) Il governo ha scelto di nin invadere il terreno di gioco delle parti sociali.

(…) Ha congelato il decreto del Jobs Act che prevedeva l’introduzione in via sperimentale del salario minimo legale nei settori non coperti dalla contrattazione.

(…) D’altra parte il compito del salario minimo (l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non averlo) è stato svolto finora, per condivisa giurisprudenza, proprio dai minimi contrattuali introdotti dagli accordi firmati dai sindacati. Che ora hanno a disposizione alcuni mesi (sostanzialmente il periodo estivo) per contribuire a definire una proposta sul salario minimo (scegliendo il modello duale come in Germania in cui il salario minimo convive con i contratti nazionali) e per concordare con le controparti imprenditoriali un nuovo schema di contrattazione nel quale si applicheranno le regole della rappresentanza (…)

(R. Mania, La Repubblica, 15.06.2015)

Se la “locomotiva” tedesca va in sciopero: lotte sindacali e politiche salariali nella Germania di Angela Merkel.

Il 2015 si preannuncia come uno degli anni più caldi per la Bundesrepublik. Non soltanto per un inverno piovoso e grigio, dove – con gran rammarico dei bambini e delle loro slitte – la neve è caduta per appena pochi giorni dicembrini. E non esclusivamente per la torrida estate che attualmente regala un insolito cielo azzurro e un sole brillante. Il 2015 ha tutte le caratteristiche di un anno “caldo” anche e soprattutto perché la Germania pare attraversata dalla maggiore ondata di scioperi registrata negli ultimi vent’anni.

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Né capitalismo, né collettivismo. La “terza via” fra società organica e tecnocrazia.

SISSCO – Società italiana per lo studio della storia contemporanea

“CANTIERI DI STORIA VIII”

Viterbo, Università della Tuscia, martedì 15 settembre 2015, ore 9.30-12.30

Complesso monumentale Santa Maria in Gradi, Via Santa Maria in Gradi 4 / Via Sabotino 20

Coordinatore: Giuseppe Parlato

Discussant: Alessio Gagliardi

Relatori:

Giuseppe Parlato, La terza via cattolica tra Ottocento e Novecento
Marco Zaganella, La terza via in Francia: il planisme
Silvio Berardi, Il Partito Repubblicano Italiano: verso una terza via mazziniana?
Gregorio Sorgonà, Destra o terza via? Il Msi dalla nascita al congresso di Milano
Gabriele Serafini, La socialdemocrazia tedesca da Weimar a Bad Godesberg: la Mitbestimmung come terza via.

Meno tensioni con la cogestione in fabbrica.

(…) Poco si parla però dell’assetto societario e proprietario delle aziende. Gestite o cogestite? Proprietà pubblica o privata? Nessuno ne parla. Eppure riguardo la struttura societaria delle grandi aziende italiane o multinazionali in Italia salta agli occhi il fatto che poche aziende e multinazionali prevedano l’adozione del sistema duale di governance e quindi la costituzione di un Consiglio di Sorveglianza come previsto in via opzionale dal Codice Civile.

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Enrico Grazzini – I lavoratori nei cda: il modello tedesco che l’Italia colpevolmente ignora

Nella terra di Angela Merkel vige un sistema di governance delle imprese basato sulla partecipazione e sulla co-decisione dei lavoratori. Da noi invece tutti sembrano schierarsi contro l’idea di democrazia economica: Confindustria, governo, sindacati, Grillo e persino i leader della sinistra radicale. Ma senza di essa la democrazia politica si spegne e non si esce dalla crisi.

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Storchi:” Regole sul lavoro anacronistiche, bene il governo se le rivoluzionerà.”

Il presidente di Federmeccanica: “L’articolo 18 non è più ammesso dalla realtà globale delle aziende.”

(…) E quali sono le colpe del sindacato?
“Non si tratta di accusarsi reciprocamente. Credo che sia finita l’epoca della contrapposizione. Bisogna andare verso una maggiore partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori all’interno dell’azienda. Se c’è un modello da seguire, questo è quello della Germania”.

(R. Mania, www.repubblica.it, 17.09.2014)

“Col modello partecipativo imprese più competitive.”

Furlan (Cisl): “Il sistema tedesco aumenta il senso di responsabilità a tutti i livelli.”

(…) Quel che accade in Germania ha certamente aspetti molto positivi. Primo tra tutti è la partecipazione dei lavoratori in azienda e la loro presenza nei comitati di vigilanza e controllo. E’ l’elemento che consente di rendere competitive le aziende, introducendo un forte senso di responsabilità da parte di tutti verso il futuro dell’azienda.

(G. Cazzaniga, Libero, 12.09.2014)

Gli interventi sporadici non bastano, ci vuole un patto per il lavoro e lo sviluppo.

(…) Al proposito si evoca da più parti il modello tedesco, il cui caposaldo è, al di là di quel che dicono gli ultra liberisti: una effettiva “democrazia economica” che attraverso i comitati di gestione (la Mitbestimmung) e la contrattazione decentrata, coinvolge il sindacato e i lavoratori nel governo delle imprese. In effetti quella del decentramento contrattuale purtroppo è in Italia una questione che non riesce a sbloccarsi anche per le resistenze delle organizzazioni sindacali.

(…) Questo ha rimodellato il ruolo del sindacato e dello stato nella creazione delle tutele e delle opportunità occupazionali. Si tratta di un modello profondamente alternativo al nostro attuale (che però subdolamente tollera povertà e precarietà selvagge) ma che vale la pena di prendere in considerazione se volgiamo incidere nella carne della enorme “questione sociale” che abbiamo di fronte, che ha per protagonisti i nostri figli.

(E. Rossi, www.huffingtonpost.it, 04.09.2014)