E’ una felicita e una responsabilità, perché vogliamo anche costituire un precedente, soprattutto per i lavoratori di altri laboratori: questo vuol dire che si può recuperare il lavoro”, dice a lavaca il presidente della cooperativa Farmacoop, Bruno Di Mauro, dopo che il Tribunale commerciale 16 della città di Buenos Aires ha concesso un’autorizzazione provvisoria affinché le lavoratrici e i lavoratori dell’ex laboratorio Roux Ocefa continuino con l’utilizzo delle due installazioni occupate in forma pacifica dall’ottobre dell’anno scorso.
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Eillie Anzilotti – The business of the future is ethical, sustainable, and employee-owned
You may not know it, but when you’re buying clothes from Eileen Fisher, you’re buying from an employee-owned company. Fisher founded the company in the early 1980s, but instead of going public, she sold 30% of the company to her own employees in 2006 (they now own 40%). That’s helped her keep the brand’s principles aligned: Eileen Fisher was one of the first clothing companies to offset 100% of its carbon footprint, and it’s become a pioneer in advancing localized, sustainable production, setting itself on a path to use 100% organic cotton and linen by 2020.
La scommessa dell’Onu sull’economia sociale.
Inutile nasconderselo. Il mondo del lavoro sta vivendo profondi cambiamenti. A guardare il fenomeno in corso si osserva un’accelerazione dei processi di automazione e digitalizzazione e una perdita di posti maggiore rispetto alla creazione di nuova occupazione. Sorge spontaneo chiedersi dove stia andando il mondo del lavoro, quale sarà il futuro dei lavoratori. A interrogarsi è anche l’Ilo (International Labour organization delle Nazioni Unite) che nel suo centro internazionale di formazione a Torino ha organizzato, dal 3 al 7 giugno, la decima edizione dell’Accademia Ess (Economia sociale e solidale) con un titolo che è di per sé un programma: “Economia sociale e solidale – Un’agenda incentrata sulla persona, che guarda al futuro del lavoro”.
Imprese recuperate: in Italia sono 100, e valgono 15mila posti di lavoro.
Ci sono oltre cento imprese in Italia che non sono come le altre. Attive soprattutto del settore manifatturiero, erano fallite eppure ora sono rinate. Erano fabbriche di un “padrone”, gestite da manager professionisti, finite in disgrazia, ma oggi continuano a produrre. Coinvolgono direttamente 8mila lavoratori, ma ne comprendono circa 15mila grazie all’indotto, per un fatturato superiore a 200 milioni di euro l’anno. A possederle, decidendone strategie e destino, è oggi solo chi ci lavora, perlopiù operaie e operai. Hanno fatto una scelta coraggiosa. Se le sono ricomprate con un unico comune obiettivo: rimanere sul mercato e mantenere l’occupazione.
Caivano, l’azienda chiude: 51 dipendenti la comprano e salvano il posto di lavoro.
L’azienda chiude, cinquantuno lavoratori salvano il lavoro costituendo una cooperativa. Dopo tre anni in affitto, oggi i lavoratori della WBO Italcables diventano a tutti gli effetti proprietari dell’industria metalmeccanica di Caivano, dove si producono cavi e trefoli d’acciaio. E’ il primo caso di workers buy out nel Mezzogiorno, in un settore fondamentale come quello della siderurgia.
Le alternative alla gig economy come la conosciamo ora.
Lo dicono praticamente tutti: c’è bisogno di regolamentare i lavori della gig economy. Da una parte le startup e gli imprenditori che non vogliono vedere ‘ingessato’ nel vincolo di subordinazione un tipo di lavoro così flessibile e ‘fluido’; dall’altro i lavoratori, che chiedono maggiori tutele e un inquadramento più chiaro rispetto alla ‘prestazione occasionale’ a cui molti sono attualmente sottoposti.
At $49 billion company Essilor, employees are the largest shareholders — and the CEO says that’s the best way to do it.
At The Essilor Group, an ophthalmics company based in France, employees are the largest group of company shareholders. To date, 55% of Essilor’s 67,000 global employees are shareholders, and they own upwards of 8% of the company’s share capital. All employees, regardless of seniority, are eligible to use their wages to purchase shares.
Quando i lavoratori si riprendono l’azienda e la fanno ripartire.
I circa 300 workers buyout che negli ultimi trent’anni hanno permesso di salvare 15mila posti di lavoro, nonché saperi e mestieri di altrettante aziende a rischio chiusura, rinate sotto la guida di dipendenti che hanno avuto il coraggio di diventare soci imprenditori, sono un fenomeno tipicamente italiano (a dispetto del modello e del nome importato da oltreoceano) che diversi Paesi del Mediterraneo stanno studiando e imitando.
Workers buyout, quando il lavoro nasce da un fallimento.
Hanno superato quota 100 in dieci anni – dal 2008, anno di inizio della crisi economica – le aziende italiane fallite e rigenerate dai dipendenti con la trasformazione in cooperative: stiamo parlando del fenomeno dei Wbo, Workers buyout. Che oggi coinvolge 8mila lavoratori (15mila con l’indotto) e muove un fatturato superiore a 200 milioni di euro. Da nord a sud: la distribuzione dei Wbo racconta di una prevalenza al Nord, con il 43% delle esperienze in atto, seguita dal centro con il 30% e sud e isole al 27%.
Acquisti su internet: le cooperative in campo per salvare il “commercio”.
Di fronte al dilagare del commercio su internet, attraverso le note piattaforme, scendono in campo le cooperative di produzione e lavoro nei settori della logistica e della distribuzione delle merci. L’obiettivo è chiaro: “salvare” il commercio al dettaglio, soprattutto nei centri storici, anche attraverso una razionalizzazione delle consegne adottando un modello sempre più eco-sostenibile, una maggiore qualità del lavoro e una nuova e proattiva partecipazione dei soci e dei lavoratori alle vicende delle imprese.