L’azienda che chiude e lavoratori che rimangono a casa, alle prese con la disoccupazione e la difficoltà nel ricollocarsi. Un finale amaro, purtroppo familiare. Da tempo a questa parte però a cambiare il finale ci pensano, spesso, gli stessi lavoratori. E’ il fenomeno del “workers buyout”, inteso come l’acquisizione della proprietà e del controllo dell’azienda da parte dei lavoratori. Modalità che sempre più spesso viene intrapresa dai lavoratori per “rilanciare” le aziende, mantenere il loro posto di lavoro e non disperdere le competenze acquisite durante anni di attività lavorativa.
Non si tratta di un fenomeno nuovo, ma in Italia è una modalità in crescita, spesso in aziende manifatturiere con una forte componente specialistica. Tra il 2007 e 2014 si è passati da 81 a 122 casi, con un balzo in avanti del 50%. Ancora più incoraggiante è il tasso di mortalità delle workers buyout italiane che tra il 2010 e 2014, è stato solo del 3,30%, contro un tasso medio di tutte le imprese sul suolo italiano pari all’8% circa.
Storie di riscatto che coinvolgono tutta l’Italia, dalla Sicilia al Friuli. C’è la storia della copisteria Zanardi di Padova, raccontata anche dal New York Times. Dopo il suicidio dell’imprenditore Giorgio Zanardi nel 2014, sommerso dai debiti, in pochi avrebbero scommesso sul rilancio dell’azienda da 110 dipendenti. Eppure ventiquattro lavoratori non si sono arresi e hanno rifondato una cooperativa sulle ceneri della vecchia copisteria. Nel primo anno di attività, l’azienda ha fatturato 2,5 milioni di euro.