(Estratto da “Direzione del Personale”, trimestrale di informazione e cultura dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, giugno 2016)
Gli ultimi vent’anni hanno sancito un modello di impresa basato sostanzialmente sulla finanziarizzazione. E ciò ha prodotto anche la concausa (non secondaria) della recessione iniziata nel 2008 e non ancora finita.
(…) Tutto ciò nel segno della massimizzazione del valore degli azionisti che spesso è stato lo scopo principale che un’azienda ha perseguito, a scapito di ogni altro. Ma l’ideologia dello shareholder dovrebbe premiare coloro che si assumono i rischi maggiori, convinta che i titolari delle azioni percepiscano i proventi che rimangono una volta che tutti gli altri operatori economici (lavoratori, fornitori, prestatori di prestito, ecc.) hanno avuto la loro parte.
(…) Peccato che tale impostazione sia basata sul presupposto che gli altri operatori abbiano un reddito garantito, cosa che da alcuni anni non succede più, perché molti stakeholders operano in condizioni di estrema incertezza e precarietà. A costo di apparire nostalgici e datati, vorremmo riprendere alcune affermazioni di Adriano Olivetti. L’ingegnere di Ivrea sosteneva che un’impresa deve essere capace di creare profitto non solo per gratificare i propri azionisti, ma anche per produrre benessere, sicurezza, cultura e bellezza per chi partecipa alla comunità che la ospita (…).
A distanza da sessant’anni da quella visione, ci sembra che sia il caso di rivedere a fondo il funzionamento dell’azienda, interrogandoci su chi si assume veramente il rischio di impresa e sull’equità con cui si distribuiscono i vantaggi reddituali tra i diversi attori.
(…) Bisognerebbe dar vita a una nuova dinamica dove i diversi portatori di interesse facciano sentire di più la loro “voce”, diventando “politicamente” più attivi e conquistando un nuovo potere compensativo.
(…) La crisi ce l’ha svelato, dicendoci che il re era nudo. Dobbiamo fare tesoro di quella lezione. Come della lezione di Olivetti, quando nell’Ordine politico della comunità sosteneva che il suo obiettivo imprenditoriale era un’impresa nuova al di là del capitalismo e del socialismo, dove alla proprietà e alla gestione “partecipano insieme azionisti, dipendenti e tutto il territorio”.