Il fenomeno delle imprese recuperate, nato all’inizio del XXI secolo in America latina – in particolare in Argentina – come reazione a una grave crisi economica e alla mancanza di adeguate risposte istituzionali, si sta diffondendo anche in Europa. In queste aziende i lavoratori si organizzano per evitare il licenziamento e con il sostegno del territorio inventano nuove opportunità e nuove forme di gestione delle attività produttive.
Al tema è dedicato un articolo di Elvira Corona pubblicato sul numero di maggio di Aggiornamenti Sociali. Dopo avere spiegato le caratteristiche principali delle imprese recuperate e averne ricostruito la nascita negli anni del default argentino, l’autrice varca l’Atlantico per descrivere come il fenomeno si sta diffondendo in Europa e in Italia. Pubblichiamo di seguito il paragrafo relativo al nostro Paese. A questo link è possibile scaricare l’articolo completo. Il contributo di Elvira Corona è inserito anche nel Dossier Lavoro 2017.
Le imprese recuperate in Italia
Anche in Italia si contano esperienze di lavoratori che hanno recuperato le aziende in difficoltà. In molti casi si è trattato di un semplice passaggio di proprietà, senza le caratteristiche tipiche delle imprese recuperate, quali la partecipazione, la gestione orizzontale e l’equità nei salari.
Non è certamente semplice fare un censimento completo delle realtà, anche perché i dati a disposizione sono a volte contraddittori. Va sottolineato invece che l’Italia si è dotata di una normativa a sostegno di queste esperienze, anche se poco nota: la Legge Marcora, che riconosce il ruolo socioeconomico delle imprese recuperate e ne favorisce la costituzione. Prosegue in questa linea il più recente art. 11, «Misure per favorire la risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione» del D.L. n. 145/2013 , che al c. 2 stabilisce che «Nel caso di affitto o di vendita di aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa, hanno diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura».
Una ricerca pubblicata nel 2015 (Recuperating Enterprises, Reviving Communities: Converting Businesses into Labour-Owned and Labour-Managed Organizations – RERECOM) analizza alcune esperienze nate proprio grazie alla legge Marcora. Tra l’inizio della crisi e la pubblicazione della ricerca si è passati da 81 a 122 imprese attive, con un importante effetto di salvataggio di posti di lavoro. Al contempo però, queste imprese conservano e talvolta migliorano le proprie capacità produttive e quindi rafforzano l’economia dei territori in cui operano.
Uno dei casi più conosciuti è la Ideal Standard, che produce ceramiche e sanitari in provincia di Pordenone. Nel 2014 la casa madre decise di chiudere lo stabilimento, licenziando i 400 dipendenti. A luglio dello stesso anno un gruppo di operai fondò una nuova cooperativa, la Ceramiche IdealScala, che da allora ha rilanciato la produzione con 50 addetti ed entro il 2018 si propone di riassorbire 150 lavoratori. A Messina invece, 15 dei 41 lavoratori di un birrificio hanno utilizzato il loro TFR per fondare una cooperativa e continuare a lavorare. Nel 2011 erano stati licenziati perché il valore dell’area in cui sorgeva lo stabilimento in cui lavoravano era andato crescendo: i proprietari, che lo avevano rilevato dalla multinazionale olandese Heineken, avevano deciso di chiuderlo e venderlo. Ma i mastri birrai hanno deciso di sfruttare la propria esperienza e, con il sostegno di alcuni finanziatori, della Regione Sicilia, della Fondazione di Comunità e di Banca Etica, a luglio 2016 hanno iniziato a produrre la Birra dello Stretto (il marchio Birra Messina è rimasto alla Heineken), vendendola sul mercato siciliano e tramite Internet. La loro tenacia è stata premiata con la vendita di un milione di bottiglie nei primi tre mesi di attività.
Ci sono poi alcune cooperative che si ispirano alle imprese argentine, ma non hanno i requisiti per accedere agli strumenti previsti dalla legge, tra cui le Officine Zero di Roma e Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio (MI). Il progetto di riconversione produttiva di Officine Zero, è nato dalla lotta degli operai della RSI (ex Wagon lits), stabilimento di manutenzione dei treni notturni nei pressi della Stazione Tiburtina, fallita nel 2011. Nel febbraio 2012 gli ultimi 33 operai licenziati decisero di occupare la fabbrica per rivendicare il pagamento dei salari arretrati, ricevendo un forte sostegno dalle reti territoriali, dai centri sociali e dal movimento studentesco. Nacque così un progetto di riconversione produttiva basato su diversi progetti cooperativi, uniti dalla sperimentazione comune di nuovi modelli di lavoro, di relazioni sociali e lavorative basate sull’autogestione produttiva e sulla cooperazione.
Alla Ri-Maflow, riuso e riciclo sono elementi fondamentali del progetto di recupero dell’impresa, che nasce dall’occupazione da parte degli operai dello stabilimento della Maflow, multinazionale operante nel settore della componentistica auto, chiuso definitivamente nel 2012. La maggior parte degli occupanti ha formato la cooperativa, che ha aperto la fabbrica alla comunità a partire dai mercati dell’usato e da altri progetti territoriali, trasformandola in uno spazio fondamentale dell’economia solidale, ma anche in luogo di lotta e organizzazione politica.
Come scrive Dario Azzellini, ricercatore e studioso delle imprese recuperate, «per tutti i lavoratori e le lavoratrici di queste imprese recuperate le esperienze dell’America latina, in particolare quelle dell’Argentina, sono state di grande ispirazione. Ri-Maflow a Milano ha adottato il motto “ocupar-resistir-producir”».
(www.aggiornamentisociali.it, 24.05.2017)