La Cisl ha presentato di recente una proposta di legge di iniziativa popolare: “Partecipazione al lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”. L’obiettivo è dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione, riconoscendo il diritto dei lavoratori a essere coinvolti nella gestione delle aziende attraverso una cornice normativa che lo regolamenti nelle sue diverse forme.
Si tratta dell’ennesimo tentativo, con proposte ormai in tutte le legislature, di disciplinare la partecipazione dei lavoratori nelle imprese; è un tema sul quale ci siamo già soffermati in precedenti articoli, ma con alcune peculiarità sulle quali è utile soffermarsi.
Innanzitutto, merita la lettura la relazione di accompagnamento, utile non solo per un inquadramento generale delle finalità della proposta e delle diverse e frammentarie norme che in tutti questi anni hanno visto la luce, ma anche perché fa capire, attraverso una rapida carrellata delle esperienze sul campo, come le dinamiche della partecipazione si siano già diffuse nella realtà del nostro sistema imprenditoriale. Una nuova cornice legislativa le può quindi ulteriormente valorizzare.
Il filo conduttore è quello della partecipazione dei lavoratori agli organi di governo delle imprese e dei piani finanziari per l’acquisizione di titoli rappresentativi del loro capitale. Innanzitutto, si prevede (articolo 3) che nelle società per azioni amministrate con il sistema dualistico almeno un quinto dei componenti del consiglio di sorveglianza debba essere costituito da rappresentanti dei lavoratori; invece, in quelle governate dal sistema tradizionale nel consiglio di amministrazione ci dovrà essere almeno un rappresentante degli “gli interessi dei lavoratori dipendenti”.
Sul versante della partecipazione economica e finanziaria sono ipotizzati due interventi. Le somme percepite dai lavoratori, entro il limite di 10 mila pro capite, a seguito della distribuzione di non meno del 10 per cento degli utili lordi, sono assoggettate all’Irpef, comprese le addizionali comunali e regionali, con l’aliquota del 5 per cento. Le somme derivanti dalla partecipazione agli utili diventano del tutto esentasse se impiegate in forme pensionistiche complementari o in contributi di assistenza sanitaria.
Viene inoltre regolamentata la possibilità per i lavoratori di sottoscrivere quote del capitale sociale delle imprese che li occupano. La partecipazione ai piani finanziari può avvenire attraverso la trasformazione in azioni dei premi di risultato oppure destinando a questo scopo una parte della “retribuzione aggiuntiva alla retribuzione ordinaria, in misura non superiore al 15 per cento della retribuzione globale di fatto”.
Per facilitare e organizzare l’esercizio dei diritti amministrativi, potranno essere stipulati accordi di affidamento fiduciario per la gestione collettiva (articolo 8), con l’evidente scopo di dare più peso alla “voice” dei dipendenti nelle assemblee societarie.
I lavoratori possono dedurre dal loro reddito, per non più di 10 mila euro l’anno, gli importi investiti nei piani finanziari. Entro lo stesso limite di importo le imprese sono incentivate a promuove i piani finanziari con la deduzione dal loro reddito ai fini “fiscali dell’intero valore dei titoli in caso di assegnazione gratuita o la differenza tra il loro valore e quello al quale sono state offerte al dipendente per la sottoscrizione oppure l’importo della somma, e dei relativi interessi, prestata al lavoratore per consentirgli l’acquisto delle azioni o delle quote di capitale” (articolo 19).
Prime osservazioni
Il progetto è molto più complesso e dettagliato rispetto alla rapida sintesi che ne abbiamo fatto ed è auspicabile che le misure proposte, alcune delle quali decisamente innovative (ad esempio l’accordo fiduciario), aprano approfondimenti e dibattito.
Ci sono in particolare due indirizzi di fondo sui quali sviluppare una riflessione. In primo luogo, qualunque iniziativa intrapresa in attuazione delle disposizioni previste dal progetto di legge deve sempre essere il risultato dei contratti collettivi di lavoro. Che si tratti della partecipazione agli organi di governo della società o dei piani di partecipazione finanziaria, tutto deve rientrare nella negoziazione tra le parti. Inoltre, il passaggio dalla contrattazione collettiva diventa la sola condizione per beneficiare delle possibili agevolazioni fiscali sia da parte dei lavoratori, sia delle imprese. In questo, contesto si prevede (articolo 21) anche la creazione di un nuovo soggetto il “Garante della sostenibilità delle imprese” che opera come meccanismo di certificazione della sostenibilità delle imprese, una qualifica alla quale contribuisce l’adozione degli strumenti partecipativi prima richiamati, con la possibilità, alla luce della certificazione, di ulteriori misure premiali (non specificate) definite dal ministero delle Finanze.
Sono direttrici che pongono non pochi interrogativi sull’esigenza di “spingere” le imprese sul terreno della responsabilità sociale attraverso meccanismi incentivanti, soprattutto alla luce di un’asimmetria con l’evoluzione della legislazione comunitaria notoriamente sempre più indirizzata verso regole prescrittive.