La recente circolare dell’Agenzie delle Entrate (n. 28/e del 15 giugno scorso) sulla fiscalità agevolata applicabile alla retribuzione incentivante conferma la netta discontinuità tra la disciplina introdotta dall’ultima legge di stabilità e le esperienze degli anni precedenti; questa discontinuità, secondo l’atto ministeriale, sta nel fatto che l’attuale normativa (avente carattere strutturale) riserva il beneficio fiscale ai soli “premi di risultato” (salvo i casi di partecipazione agli utili e all’organizzazione dell’impresa), mentre la disciplina precedente riconosceva il trattamento agevolato alla “retribuzione di produttività”.
Questa nuova impostazione ha un duplice effetto: da un lato, impedisce di detassare le voci meramente retributive, quali ad esempio superminimi e straordinari; dall’altro, impone un approccio più selettivo nell’individuazione delle voci rientranti nel beneficio, in quanto queste devono essere pagate per premiare un risultato collegato a una o più delle aree indicate in maniera puntuale dalla legge (qualità, redditività, produttività, efficienza, innovazione).
In virtù di questa maggiore selettività, l’incremento conseguito in una di queste aree non può essere oggetto di una valutazione generica del datore di lavoro, ma deve essere misurato e misurabile sulla base di parametri oggettivi (di tipo numerico o di altra natura) predeterminati dall’accordo sindacale siglato a livello aziendale o territoriale.
Per definire questi parametri (che la circolare definisce come “criteri di misurazione degli indici incrementali”) la legge lascia ampio spazio alla discrezionalità delle parti sociali, le quali sono libere di decidere quali elementi utilizzare per la misurazione. Per agevolare questa scelta, DM 25 marzo del 2016 elenca – all’interno della dichiarazione di conformità che l’azienda deve presentare al momento del deposito in DTL dell’accordo – alcuni degli indici che potrebbero essere utilizzati.
Tra questi indicatori vi sono parametri finalizzati a misurare gli incrementi di redditività e produttività aziendale (rapporto tra volume della produzione, fatturato o margine operativo lordo e numero dei dipendenti, riduzione dei consumi energetici, riduzione dei tempi di commessa, riduzione del numero di infortuni); altri indicatori misurano soprattutto la qualità dell’attività aziendale (indici di soddisfazione del cliente).
Altri criteri sono volti alla misurazione dell’efficienza aziendale (diminuzione del numero di lavorazioni e rilavorazioni, riduzione degli scarti, percentuali di rispetto dei tempi di consegna, rispetto delle previsioni di avanzamento dei lavori, rapporto tra costi effettivi e costi previsti, riduzione dell’assenteismo, modifiche dell’orario e dell’organizzazione del lavoro e ricorso al lavoro agile), mentre altri paiono più strettamente connessi all’innovazione (numero di brevetti depositati, tempo di sviluppo dei nuovi prodotti). Tutti questi parametri devono essere misurati entro un periodo, deciso dall’accordo sindacale, che deve essere “congruo” rispetto agli obiettivi.
Questi indicatori possono essere usati da soli, in combinazione tra loro oppure essere completamente sostituti da altri indici scelti dalle parti, a patto che venga fatto salvo il principio per cui si può incentivare solo qualcosa che premia un incremento oggettivamente misurabile.
La circolare, infine, precisa che ai fini dell’applicazione del beneficio fiscale è necessario e sufficiente che sia stato realizzato anche uno solo degli obiettivi prefissati nell’intesa collettiva.
(lavoroeimpresa.com, 20.06.2016)