Benché tutti ne parlino, sono ben pochi coloro che riescono a inquadrare il sovranismo come categoria politica. Soprattutto se lo osserviamo dal punto di vista della questione sociale: spesso, infatti, i partiti cosiddetti «euroscettici» propongono ricette economiche che non si discostano affatto dal paradigma (neo)liberista.
Mercato autoregolato, conti in ordine, demonizzazione del deficit, flessibilità del lavoro e marginalismo sono «mitemi» macroeconomici condivisi praticamente da tutti, globalisti e – veri o presunti – sovranisti. Eppure, senza sovranità economica, senza controllo delle leve macroeconomiche di uno Stato, è sostanzialmente impossibile parlare di sovranismo. Ed è proprio da questo che bisogna ripartire: primato della politica, ricette postkeynesiane e partecipazione.
Un dibattito centrale
Sono un paio di settimane che, negli ambienti più sensibili della nebulosa sovranista, è in corso un dibattito su uno storico cavallo di battaglia della «destra sociale», ossia la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. L’impulso è venuto da un articolo di Mario Bozzi Sentieri pubblicato su Barbadillo, a cui hanno risposto Francesco Carlesi su Destra.it e Francesco Guarente su L’intellettuale dissidente. È un dibattito del massimo interesse e che va salutato con favore, proprio perché è sulla questione sociale che si misureranno la serietà e la tenuta del sovranismo. Se veramente si vuole costruire un’alternativa al globalismo e ai dogmi neoliberisti, infatti, questa alternativa non può che essere radicale. Anche in economia. Questo la sinistra sovranista, per quanto minoritaria, l’ha capito. A «destra», invece, si tende purtroppo a parlare più di flat tax che non di partecipazione.
Partecipazione e avanguardia
Eppure è proprio la tradizione politica della «destra sociale» – come hanno ben ricordato i partecipanti al dibattito – che mostra una ricchezza invidiabile su questo tema. Dalla socializzazione delle imprese alle proposte di Gaetano Rasi, la «terza via italiana» continua a essere rivoluzionaria per due motivi. Innanzitutto, perché la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese non si esaurisce in un paradigma economico, ma possiede un significato più specificamente politico: l’inclusione del cittadino/produttore nello Stato, ossia la sua partecipazione attiva e costante alla politica nazionale. In secondo luogo, perché un sistema economico-politico alternativo genera ipso facto un’alternativa anche sul piano internazionale. La «terza via» ha infatti sempre posto l’Italia all’avanguardia in campo sociale, aprendo scenari di politica estera impensabili per una nazione a sovranità limitata. Pensiamo solo a Enrico Mattei e ai rapporti dell’Eni con il mondo arabo. Insomma, la libertà, la sovranità e la forza dell’Italia passano anche da qui: da una ripoliticizzazione dei lavoratori italiani e da una rinnovata proiezione dell’Italia sullo scacchiere geopolitico mondiale. Tout se tient.