Massimo Visconti – Sindacato unico o sindacato unitario

E` ormai sotto gli occhi di tutti la crisi che i sindacati italiani stanno attraversando e che è dovuta alle vicende che, trasversalmente, interessano le sigle storiche non tanto dovute alle “battaglie sindacali” quanto al gossip che riguarda una volta le retribuzioni gonfiate di un segretario generale, l’altra volta l’elezione irregolare di un altro segretario generale o le spese “non inerenti all’attività sindacale” fatte con carte di credito finanziate con i soldi dei lavoratori oppure dalla fuga di iscritti che sembra aver travolto il primo sindacato italiano.

Insomma siamo in presenza di una perdita di credibilità senza precedenti nella storia moderna delle relazioni sindacali che sta interessando tutte le sigle e offre, per chi vuole annullare il Sindacato come Istituzione, validi motivi per farlo.
Dario di Vico, sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, si domandava se il sindacato era morto e rispondendosi affermava che il sindacato, così come lo abbiamo conosciuto fin qui, non è più sufficiente e che “sia arrivato il momento di trasformare il sindacato, affinché torni a rappresentare i lavoratori. Tutti”. Un’affermazione pesante in quanto sostiene implicitamente che “questo modello sindacale” non ha rappresentato “tutti” i lavoratori ma solo una parte di essi. Questo sindacato “non piace” anche a molti strati confindustriali che stanno invocando una legge sulla rappresentatività e sembrerebbe che il grido degli industriali stia per essere accolto dal governo che, proprio sulla rappresentatività, ha in mente una legge ad hoc. Intanto molte imprese cominciano a prendere le distanze dal “sindacato ufficiale” o dalle loro associazioni di rappresentanza. Ha iniziato la FCA (ex Fiat) con Marchionne che prima è uscito da Confindustria e poi ha disdetto unilateralmente il contratto collettivo ed infine ha, di fatto, “scelto” lui le controparti sindacali con le quali confrontarsi. Atteggiamenti, questi, che, senza una “riforma della rappresentatività” e senza una modifica del modello sindacale attuale, mettono in serio pericolo il diritto all’esercizio della libertà sindacale. Un diritto previsto dalla nostra carta costituzionale che, all’articolo 39 recita testualmente:“L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

Abbiamo voluto riportare pedissequamente tutto l’articolo 39 della Costituzione per dimostrare come questo, al di fuori del primo comma, sia uno dei più inattuati articoli della nostra carta costituzionale.
Andiamo per ordine con il secondo comma si sancisce l’obbligo, per i sindacati, “d’ iscrizione presso uffici locali o centrali” cosa questa che non avviene in nessun caso e con nessuna sigla. L’attuazione di questo articolo è stata contrastata dai sindacati stessi che temevano un controllo sulla consistenza numerica degli iscritti e un controllo sugli orientamenti “politici” dei singoli lavoratori.
Con questo artificio ogni sindacato può “autocertificare” il numero dei propri associati senza che nessun controllo possa avvenire all’interno di un organizzazione che non ha nessuna personalità giuridica come invece prevede il comma 4. Sul comma 3, ordinamento interno a base democratica, stendiamo un velo pietoso in quanto quello che sta avvenendo, in alcune organizzazioni, in questi ultimi tempi non lascia spazio ad interpretazioni. E arriviamo al comma 5 relativo alla prevista rappresentanza unitaria per la stipula di contratti che vincolano solo gli associati.
Oggi si parla di tentativo di semplificare le relazioni sindacali attraverso la costituzione di un “sindacato unico” che, probabilmente, rappresenterebbe un pericolo per la stessa libertà di associazione sindacale. Un “sindacato unico” potrebbe presupporre la nascita di un “partito unico” con le conseguenze che tutti potrebbero immaginare. Avere, invece, alla luce dell’articolo 39 e alla luce della crisi che sta attraversando il sindacato confederale, la possibilità di arrivare ad un “sindacato unitario” dove le singole organizzazioni si fondono in quello che possiamo definire un “consorzio sindacale” sul modello dei consorzi produttivi sembrerebbe la strada maestra da seguire.
Nella situazione di stallo in cui si trovano oggi i sindacati confederali, che non riescono più a far sentire la loro voce in quanto divisi su strategie e tattiche da mettere in campo per contrastare l’azione del governo che sta ridimensionando il potere contrattuale di Cgil, Cisl e Uil, i lavoratori sono sempre più sfiduciati e tendono a revocare le loro deleghe nei confronti di un sindacato che è sempre meno credibile agli occhi dei propri iscritti. Insomma una “palude politica ”nel quale si sono insabbiati, oltre che i movimenti politici tradizionali e di nuova generazione, anche le organizzazioni sindacali. Aggiungiamo che le prese di posizione dei governi degli ultimi 4 anni hanno, oltremodo, agevolato questo tentativo e si capisce perché oggi il sindacato rischia di scomparire. Interessante, invece, è stata la “provocatoria spolverata” del testo originale del testo del vecchio patto della Federazione unitaria del 1972, data dal Segretario Generale della Uil, Carmelo Barbagallo, che partecipando ai lavori della Conferenza di Organizzazione della Cgil ha consegnato, simbolicamente, alla Camusso e alla Furlan il testo dell’accordo di 43 anni fa, “non perché non ce l’abbiano anche loro – ha affermato Barbagallo – ma per farlo riemergere dagli archivi”.

Abbiamo chiesto a Carmelo Barbagallo il motivo per cui, invece di pensare a qualcosa di nuovo, la Uil ripropone un accordo di 43 anni fa. Il Segretario Generale della Uil, ha dichiarato all’Ultima Ribattuta che “la risposta, che non solo Cgil, Cisl e Uil debbono dare, al tentativo in atto di “cancellare” dalla scena sociale le rappresentanze Sindacali e soprattutto la libertà di ogni singolo lavoratore ad associarsi con chi decide lui, si trovi nella riproposizione, rivista e corretta, del patto Federativo del 1972 che dette vita alla Federazione Unitaria tra Cgil, Cisl e Uil e che resse fino al 1984. Questa volta si tratterebbe – ha proseguito Barbagallo- non di ricostituire una Federazione Unitaria organizzata secondo logiche paritarie, ma di lavorare per una unità più ampia e rappresentativa del mondo del lavoro tenendo conto del peso rappresentativo delle singole organizzazioni” Una risposta e una proposta indubbiamente interessante ma che farà discutere in quanto Barbagallo, quando parla di “unità più ampia e rappresentativa”, apre le porte di una futura ed eventuale federazione unitaria anche ad altre sigle minori che, comunque, sarebbero rappresentate in maniera proporzionale ai loro iscritti. Il problema è chi, in una “federazione” organizzata “tenendo conto del peso rappresentativo delle singole organizzazioni”, certifica il numero degli associati ad ogni singola sigla. Ecco allora che la nostra Costituzione ci viene in aiuto e, praticamente, costringerebbe le associazioni sindacali alla famosa “registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge” e ad assumere quella “personalità giuridica” prevista dall’articolo 39 e che fino ad oggi è stata evitata da parte di tutti i sindacati. Ora bisognerà vedere se ci sono confederazioni che intendono accettare il rispetto della Costituzione italiana e “farsi contare”, unico presupposto per andare avanti, e fare un restyling al passo dei tempi Alla proposta della Uil ha già risposto Taddeo Albanese dell’Ugl che, in attesa si chiarisca definitivamente la questione della segreteria generale, parla a nome della confederazione che fu la ex Cisnal.

Albanese, da noi interpellato, ha dichiarato “che la proposta di Carmelo Barbagallo non può che essere accolta positivamente dall’Ugl in quanto presuppone quel cambiamento epocale che non può essere sottovalutato o ridotto ad una semplice operazione di “maquillage” per restare sulla cresta dell’onda ma avvia un percorso di vera unità sindacale basata sulla ricchezza delle diversità”.
Albanese ha proseguito affermando che “un’ unità sindacale plurale, democratica e soprattutto basata sulla reale rappresentatività delle singole sigle non può ignorare quanto previsto dall’articolo 39 della nostra carta costituzionale e soprattutto non può non tenere conto del fatto che sarà necessario implementare la contrattazione di secondo livello per armonizzare anche le politiche di settore e territoriali. L’Ugl oggi vuole essere in prima fila e fra le quattro grandi confederazioni che propongono questo cambiamento ma oltre l’articolo 39 l’Ugl si batte da sempre anche per l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, che prevede la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa e alla divisione degli utili. Un nuovo modello sindacale e nuove modalità di rappresentatività non possono che portare, quindi, alla totale attuazione della partecipazione tra lavoro e impresa ma una partecipazione che non deve essere intesa – ha concluso Albanese – solo come fatto economico ma come implementazione di una politica organizzativa dell’impresa e dell’utilizzo dei vari fattori della produzione”.

Insomma prove tecniche di sindacato unitario si stanno realizzando sulla scena sindacale italiana. Per adesso gli attori si tengono molto defilati in attesa di leggere attentamente un copione che non può essere scritto solo da una parte ma che dovrà essere il frutto della consapevolezza che o si cambia o si muore. La ripresa economica passa anche attraverso la semplificazione delle relazioni industriali e, si abbia il coraggio di affermarlo, la riduzione delle controparti sindacali. Questo non vuol dire sindacato unico ma “sindacato unitario” allargato che darebbe indubbiamente spazio anche a quelle nuove categorie di lavoratori che di spazio non ne hanno trovato molto nei “vecchi sindacati”. L’argomento è uscito dal congelatore della storia e ora aspettiamo chi è in grado di utilizzarlo per far ripartire un economia basata su un rapporto “partecipativo” non solo fra le rappresentanze sindacali ma anche fra imprenditori e lavoratori. In fondo è proprio la storia che ce lo sta chiedendo.

(www.lultimaribattuta, 07.10.2015)

1 Commento Massimo Visconti – Sindacato unico o sindacato unitario

  1. antonio orazi

    Si fa veramente fatica a capire come mai il sindacato senta ancora, di nuovo, la nostalgia di essere “unico” o unitario, quando tutto il mondo dell’economia è dominato dalla competizione.
    Chiaramente la competizione non esclude la collaborazione, anzi nel mercato moderno si parla spesso di co-petizione, ma bisognerebbe partire sempre da una precisa affermazione identitaria.
    Perciò chi ha una idea chiara di come dovrebbe porsi un sindacato moderno sul mercato delle idee, per essere pienamente partecipe della realtà del lavoro, affiancando i lavoratori, dovrebbe seguirla senza guardarsi indietro.
    Del resto sono ben noti i riti che hanno supportato il mito della unità sindacale, ma è altrettanto noto quanto tale mito fosse vuoto, legato com’era al dogma della pari dignità delle organizzazioni della triplice, ovvero alla ferma volontà di non contarsi mai.
    E anche questa, tra le altre che sono appannaggio del sindacato-istituzione è una rendita di cui il sindacato non dovrebbe più vivere.
    Ora ci si può e ci si dovrebbe contare per poter attivare una sana concorrenza sulla rappresentanza, che sia la base di nuovi, migliori accordi partecipativi.
    Anche così, o soprattutto così, si smette di vivere di rendita.

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