Aldo Amoretti è un sindacalista esperto e preparato. In un recente contributo di pensiero pubblicato da Mitbestimmung ha provato ad affrontare il tema delle domeniche e delle festività suggerendo una provocazione interessante.
Bypassare i vincoli legislativi prossimi venturi attraverso una contrattazione tra le parti che provi a conciliare lavoro e vita privata e reciproci interessi economici. Amoretti ha passato una vita nella Filcams, il sindacato del commercio della Cgil. Soprattutto in anni dove non era facile dare uno sbocco riformista e costruttivo alla spinta che proveniva dal basso, soprattutto dai lavoratori della Grande Distribuzione che mettevano a dura prova le direzioni del personale di allora con richieste di ogni tipo.
Sono gli anni dell’affermazione della contrattazione aziendale che aveva sia il compito di superare i contratti nazionali sia quello di prepararne i contenuti per i rinnovi successivi. Anni di richieste folli ma anche di innovazione sugli orari e sull’organizzazione del lavoro. Ha sempre esercitato un ruolo di equilibrio e di proposta anche quando altre organizzazioni, soprattutto in alcune regioni, esercitavano una forma di populismo sindacale ante litteram che tanti guasti avrebbe portato in seguito anche alla stessa iniziativa sindacale.
Che a quella forza d’urto e a quelle richieste spesso sganciate dalla realtà e dal contesto seguisse, per la legge del pendolo, analoga durezza delle imprese non appena la legislazione sul lavoro e i rapporti di forza fossero cambiati era assolutamente prevedibile. Amoretti era tra i pochi ad averlo compreso per tempo. Per questo l’invito a riflettere su un tema di frontiera mi stimola. Parto da una certezza comune.
Affidare alla legge, alle istituzioni locali o centrali la determinazione di ciò che dovrebbe essere in capo alle imprese e al lavoro è un errore. Se e quando aprire un’attività, come esercitarla, cosa riconoscere a chi vi opera è un tema che non può essere lasciato alla politica. Sia quando vorrebbe decidere di liberalizzarne orari e aperture, sia quando vorrebbe imporre restrizioni o chiusure. Abbiamo visto cosa è successo.
Detto questo esiste un problema di fondo.
Il sindacato del commercio (o del terziario) oggi non solo non conta praticamente nulla nella GDO ma il livello di interlocuzione e di negoziazione a livello aziendale e di gruppo ha ormai natura eminentemente concessiva/restitutiva. Lo stesso errore compiuto di seguire Federdistribuzione (chi più, chi meno) sul suo terreno ne ha compromesso la credibilità complessiva che solo una forte interlocuzione confederale potrebbe recuperare. E’ chiaro che le domeniche e le festività sono un passaggio importante per recuperare peso e credibilità. Innanzitutto sarebbe interessante capire il pensiero e quindi l’orientamento di Filcams, Fisascat e Uiltucs su questo tema. Non è secondario sapere se ritengono che il problema sia di ruolo e di potere delle parti sociali e di riconoscimento economico o, al contrario, la loro posizione in tutto o in parte si accoda alla volontà abolizionista del governo giallo verde. Ad oggi una posizione chiara e netta non è ancora pervenuta. In secondo luogo sembra addirittura manchi una visione del settore, delle sue evidenti difficoltà e delle sue profonde differenziazioni. L’impressione e che il lavoro di consapevolezza e di crescita dei sindacalisti del settore si sia fermata alla fase di sviluppo costante del comparto e alle disuguaglianze create tra vecchie e giovani addetti.
La mancanza di una negoziazione di comparto e l’incapacità di produrre risposte accettabili a chi ne aspetta il rinnovo da anni sommata all’incapacità di chiederne conto agli organismi preposti ha messo il sindacato del settore fuori gioco. Pensare di rientrarci come se non fosse successo nulla non credo sia un’ipotesi percorribile.
Fatta questa premessa l’idea è interessante e degna di approfondimento. Amoretti sostiene: ”La via vera sarebbe il passare a un regime di partecipazione dei lavoratori alla gestione degli orari per rispondere alle esigenze dell’impresa conciliandole con quelle dei lavoratori, e con adeguate compensazioni retributive a chi fa gli orari disagiati.” Condivido che lasciare alla volontarietà del singolo la decisione di aderire o meno è una sciocchezza.
Occorre garantire i riposi, favorire le rotazioni, adeguare le compensazioni. E queste sono materie da discutere in sede negoziale. Terrei fuori livelli istituzionali locali e regionali che non portano alcun valore aggiunto e definirei quali festività a livello centrale (3 civili e 3 religiose) devono essere garantite come chiusure per tutti. Il resto lo lascerei al giudizio delle parti.
E’ una materia difficile e potrebbe essere un azzardo affidarlo alla negoziazione però da qualche parte bisogna pur partire. Però condivido che, su questo tema, ad altissima sensibilità per le imprese del comparto, potrebbe rinascere una disponibilità al confronto oggi perduta.
ci vorrebbe la cultura pragmatica di Sassi ed Amoretti per far andare avanti il Paese.
Dispiace vedere, specie ai livelli di maggiore responsabilità, sindacalisti (anche di impresa) con mentalità burocratica, propensi ad aspettare che sia la legge a risolvere i problemi e rinunciano ad assumere la responsabilità di governo delle dinamiche sociali ed organizzative che dovrebbe spettare al sistema delle relazioni collettive.
Bisogna riconoscere che l’intervento legislativo spesso svolge una funzione di supplenza rispetto a decisioni che dovrebbero essere prese dalle parti sociali. Purtroppo la legge spesso i problemi li complica e peraltro risente dei variabili orientamenti delle maggioranze parlamentari. Una cosa è sicura: l’aumento di importanza degli uffici vertenze e dei magistati, che il lavoro lo svolgono nella prospettiva della cura di interessi individuali e non collettivi.