Con il termine workers buyout si descrive uno strumento che rende possibili operazioni di salvataggio di aziende da parte di lavoratori riuniti in cooperative di soci. Si tratta di una possibilità che contribuisce alla salvaguardia del Made in Italy e che agisce da “ammortizzatore sociale” senza attingere dalle casse pubbliche.
I lavoratori che salvano l’eccellenza italiana
Lo strumento sopra citato fa riferimento a una specifica cornice legislativa: la legge Marcora del 1985 e sue successive modifiche e integrazioni. Dall’entrata in vigore essa ebbe il pregio di creare un fondo destinato alla salvaguardia dell’occupazione e di istituire Cooperazione finanza impresa (CFI), una partecipata del Ministero delle imprese e del Made in Italy che, una volta valutato positivamente un progetto, interviene con una partecipazione di minoranza seguendo poi i lavoratori nella fase di implementazione, controllando la situazione economico-finanziaria e le performance aziendali.
L’attuale crescita dell‘inflazione in atto in Italia da ormai due anni svaluta i salari che nel Paese non crescono adeguatamente. Aumenta quindi la povertà, aggravata dal fatto che tra i poveri si trovano anche milioni di individui che lavorano. Intendere le politiche dei bonus come soluzione per mitigare questa situazione può aiutare nell’immediato ma concorre ad aumentare il debito pubblico.
La cooperazione tra lavoratori che salva il Made in Italy
Nel contesto del caro vita l’attenzione pubblica si sta indirizzando soprattutto verso il rincaro delle bollette energetiche che ha duramente colpito le aziende energivore. Tra queste vi è Ceramiche Noi di Città di Castello, un’eccellenza italiana i cui dipendenti hanno di recente cambiato i propri orari di lavoro per spostare la produzione in fasce orarie energeticamente meno costose, mettendo anche a disposizione dell’azienda ore lavorative gratuite. Il caso può essere inteso solo come un sacrificio dei lavoratori volto a colmare le carenze del settore pubblico se non fosse che i dipendenti, già nel luglio 2019 in risposta a un tentativo di delocalizzazione, avevano deciso di rispondere riunendosi in cooperativa come soci lavoratori e rilevare così l’azienda.
Esistono casi più retro-datati di quello già narrato e che ancora rappresentano casi di imprese del Made in Italy solide e innovative. Esperienze di aziende esistenti dal giorno della nascita dei propri dipendenti che si sono fatti poi attori del salvataggio dell’impresa in crisi come la cartiera Pirinoli nei pressi di Cuneo. Altri casi di realtà occupazionali che rappresentano utili argini allo spopolamento dei territori come Next Elettronica in provincia di Cosenza. Nel caso della falegnameria FM Curvatil il workers buyout ha posto rimedio al problema della successione di impresa.
Il workers buyout alla prova dei fatti
Si apprende dal sito ufficiale di CFI che tra il 2011 e il 2021 il gruppo è intervenuto 146 volte a supporto di 88 progetti per un valore superiore a 365 milioni di euro e un coinvolgimento di 2286 addetti.
In un working paper dell’Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises) del 2015, Marcelo Vieta, professore e ricercatore dell’Università di Toronto scrive: “Dove emergono imprese gestite dai lavoratori, i posti di lavoro sono salvati e le capacità produttive delle comunità sono preservate o migliorate“.
I rilevamenti delle attività da parte dei soci lavoratori, infatti, tendono ad avvenire con maggiore frequenza durante le recessioni, fasi economiche in cui un dipendente licenziato può arrivare a costare allo Stato ingenti somme in termini di cassa integrazione.
Scrive ancora Marcelo Vieta: “Le possibilità sopra descritte rappresentano un’alternativa allo “Stato dei bonus” e la possibilità di uno Stato “guida”, che fa politica industriale dando ai lavoratori una prospettiva diversa rispetto al mero sostegno al reddito“.
Un lavoro sano in una società sana
Considerando il profondo significato che le persone spesso riversano nel proprio lavoro, grazie al quale è possibile affermarsi nella società e avere una vita dignitosa, le parole di John Malesic nel suo libro “The end of burnout” riassumono l’azione che ogni buon governo dovrebbe far propria per perseguire un più diffuso benessere sociale: “Una società ben gestita provvederà a far sì che […] le esternalità negative siano corrette da una legislazione statale che promuova responsabilità e processo di composizione per i danni inferti (dal mercato, nda), grazie a strumentazioni come regolamenti e tasse […] Una società ben gestita, infine, richiede che i governi perseguano […] l’uguaglianza“.