È indubbio che per risanare le falle dell’attuale sistema economico, con tutti i riflessi negativi esercitati sul funzionamento della società, è necessario coinvolgere al contempo i lavoratori, i consumatori e i cittadini secondo principi di solidarietà e sussidiarietà. Si impone all’attenzione un’economia sociale di mercato, quale si configura nei principi del Trattato di Lisbona (art.2, c. 3), che rispecchi in parallelo la compresenza di concorrenza di mercato e l’equità sociale.
Tale modello è stato adottato dai tempi della Repubblica di Weimar, quale rimedio alle aporie del liberalismo puro e contempla il ruolo regolatore dell’autorità statale, un severo ordinamento monetario, misure atte a scongiurare i monopoli e a evitare che le sovvenzioni possano alterare la libera concorrenza, la protezione dell’ambiente e la tutela dei consumatori.
Soprattutto è da perseguire la centralità dell’economia reale rispetto alla finanza, avere di mira equità fiscale, efficienza, competitività, ma anche welfare. In tale quadro imprese e sindacati sono chiamati ad essere responsabili e partecipativi. Il mercato non soddisfa tutti i bisogni della persona, perciò deve integrarsi con la politica sociale secondo le linee della gratuità, della sostenibilità, dell’inclusività. Il sindacato a sua volta deve rivolgere la sua attenzione non solo alla condizioni di vita dei lavoratori rappresentati, ma anche di quelli che non sa rappresentare in modo adeguato.
Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in veritate (2009, n.64) enuncia: “Superando le limitazioni proprie dei sindacati di categoria, le organizzazioni sindacali sono chiamate a farsi carico dei nuovi problemi della nostra società”, ad esempio quello pertinente al conflitto tra persona lavoratrice e persona consumatrice.
Va promosso un discorso di democrazia economica o ancor meglio di democrazia tout court. Così si può rimediare alla destrutturazione sociale e al consolidarsi di nuovi centri di potere difficilmente controllabili, alla miriade di interessi particolaristici, alla frammentazione della convivenza, all’affievolirsi preoccupante dell’ethos collettivo.
Questi i punti di forza per un sindacato rinnovato: 1) collegare aspetti macroeconomici e quelli micro; 2) fare interagire pubblico, privato e privato sociale secondo indicatori di efficienza ed efficacia; 3) mettere in comunicazione produzione, lavoro, consumo e risparmio, valorizzando il terzo settore; 4) rafforzare i poteri di intervento della Conferenza europea dei sindacati per una crescita intelligente, una crescita sostenibile, una crescita inclusiva.
Per il 2020 gli obiettivi riguardano innovazione, economia digitale, occupazione giovanile, politica industriale, povertà, uso efficiente delle risorse. Soprattutto occorre che il sindacato adotti un atteggiamento positivo, non necessariamente antagonistico, senza chiusure corporative o attenzione a pratiche meramente assistenziali e difensive.
Tre i passaggi fondamentali: concertazione, contrattazione, partecipazione. La concertazione vede tutte le parti chiamate a costruire fiducia nella prospettiva di obiettivi condivisi, antidoto al contempo sia al liberismo che al dirigismo. Il pluralismo sociale esige una reciproca legittimazione.
L’industria 4.0, che scaturisce dalla quarta rivoluzione industriale e porterà a una produzione del tutto automatizzata e interconnessa vuole aggredire gli squilibri più pesanti, mentre con la contrattazione si valorizzano le differenze e le potenzialità esistenti nel tessuto produttivo. In primo rilievo la contrattazione di secondo livello, aziendale e territoriale, con un trasferimento organico di competenze, innalzando nel contempo il tasso di partecipazione alla vita e alle decisioni dell’impresa.
Fondamentale e strategico è il ruolo della partecipazione specie nella direzione del governo, delle decisioni e del funzionamento organizzativo, nonché quello della partecipazione collettiva al capitale grazie a propri rappresentanti negli organi societari. In quanto lavoratori si interverrebbe nella definizione delle scelte strategiche (modello tedesco), ma lo si farebbe anche in quanto azionisti. Il possesso azionario deve essere collettivamente gestito attraverso associazioni. Ne deriverebbero in qualche misura stabilità e radicamento all’impresa stessa e si costituirebbe un antidoto salutare contro le divaricazioni tra dinamica reale e finanziaria.
È da perseguire un quadro normativo, istituzionale e contrattuale sostanzialmente omogeneo a livello europeo, come misure giuridiche e fiscali incentivanti, investimenti formativi e informativi, da noi, peraltro, di realizzazione ancora difficile. Si creerebbe stabilità contro il rischio di pressioni speculative di breve termine e si concorrerebbe alla riforma e al consolidamento del capitalismo italiano in prospettiva europea. Il controllo esercitato dai rappresentanti dei lavoratori negli organi societari deve essere svolto in maniera vigile, informata e propositiva. Così si armonizzano mercato e Stato, libertà e regolazione, flessibilità e sicurezza. Massicci gli investimenti da fare nelle intelligenze, nella conoscenza, nell’attenzione alle nuove generazioni.
Il sindacato deve farsi soggetto di modernizzazione e di trasformazione, accettando le sfide dell’innovazione, della flessibilità, della crescente complessità sociale e capire l’importanza di una cultura del progetto.
(www.rmfonline.it, 16.06.2017)