«Un martello può piantare un chiodo o schiacciare un dito. La responsabilità di ciò che accade è nostra». Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha esordito con questa analogia al convegno “Industria 4.0 e lavoro” promosso ieri, venerdì 19 ottobre, dall’Istituto Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense, insieme all’Ufficio diocesano per la pastorale sociale e alle fondazioni “Etica ed Economia” e “Tarantelli”.
Di fronte alle sfide della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” – dell’economia finanziaria e della tecnologia digitale e robotica -, che «impone una riorganizzazione del lavoro», per il ministro non ci sono «destini ineluttabili» ma «la ragione deve guidare le scelte e i cambiamenti vanno governati», con «l’obiettivo di migliorare la condizione umana. La regola generale deve essere la qualità della vita e la dignità delle persone, non la massimizzazione del profitto».
Il problema del lavoro, dunque, è principalmente etico. E richiede un cambiamento di paradigma culturale e di organizzazione. Per Poletti, «le categorie classiche non funzionano più»: il lavoro regolato in orari, inquadramenti, rapporti gerarchici, una sede fissa. «E questa è una sfida per il mondo dell’impresa e per il legislatore». Serve una nuova regolamentazione del lavoro, attraverso le leggi, «poche e chiare», che stabiliscano i principi e le regole generali e una riorganizzazione con nuove forme di partecipazione, per «lo sviluppo di un nuovo paradigma». Tra i nuovi “strumenti” suggeriti dal ministro, «la partecipazione dei lavoratori all’impresa, in termini di governance e di profitto». Restano, come «fattori di sviluppo decisivi, il sapere e la conoscenza, insieme alla formazione permanente. Siamo in una fase di choc continui, con cambiamenti velocissimi. Le imprese che investono in innovazione aumentano l’occupazione; chi non investe è destinato a chiudere. In un mondo che cambia velocemente, anche la nostra capacità di interpretazione e di reazione deve essere veloce».
Anche per Luciano Pero, docente alla School of Management del Politecnico di Milano, la crisi del lavoro è causata «dall’assenza di conversione», non dall’automatizzazione dell’industria, che «aumenta produttività ed esportazioni, non ha effetti sull’occupazione». Le imprese competitive allora sono quelle «con la partecipazione diretta dei lavoratori e che investono nell’innovazione»; quelle che puntano sulla riduzione dei costi, dei salari e degli occupati, sono, secondo Pero, «il “ventre molle” della società, su cui dovrebbero agire i sindacati e la politica, per promuovere una nuova cultura manageriale e nuove forme di partecipazione all’impresa». L’area “strategica” è «la progettazione, che dovrebbe essere fatta in modo congiunto e collaborativo tra imprenditori, lavoratori, sindacati e utenti».
Il giurista del lavoro Pasquale Passalacqua, docente alla Pul, ha ricordato i più recenti interventi normativi per il lavoro, con i quali, tra l’altro, è stato introdotto il «lavoro agile», Nelle nuove forme di lavoro, «il datore di lavoro è diventato spesso impalpabile e il lavoratore non sa a chi rivolgersi per la tutela dei suoi diritti». In questo contesto, «il sindacato va riformato», anche per «riappropriarsi della sua funzione di mediazione tra il lavoratore e l’impresa». Sulla necessità di una riforma del sindacato è intervenuto anche il giuslavorista Ciro Cafiero. «Se il lavoro è fuori dell’azienda, anche il sindacato esce dall’azienda», ha evidenziato, ribadendo la necessità di garantire «un minimo salariale e di diritti» ai “nuovi lavoratori”. L’urgenza, insomma, è di rimettere al centro delle politiche sul lavoro la persona umana. «La cooperazione uomo-robot è da ripensare alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, per promuovere la dignità della persona umana e la qualità della vita», ha concluso Gianni Manzone, docente di Teologia morale economica alla Lateranense.
(E. Bambara, www.romasette.it, 20.10.2017)