L’utopia del lavoratore scontento. Avere un capo che si informi delle sue aspirazioni professionali, del suo grado di appagamento, ne raccolga le lamentele. In una parola, lo ascolti. Ma anche avere un padrone che gli spieghi l’andamento dell’azienda, gli indichi gli obiettivi da raggiungere, illustri i bilanci e suddivida una parte degli utili in busta paga. In altri termini, trasparenza e partecipazione ai processi produttivi. Si potrebbe continuare con la possibilità, per il subalterno, di segnalare le disfunzioni del sistema, proponendo soluzioni. Con la certezza di essere ascoltato e di non apparire come un inguaribile scontento o un piantagrane.
Il nuovo orizzonte dell’imprenditore illuminato. Coinvolgere i dipendenti anche nelle scelte strategiche dell’azienda, pur nella consapevolezza della diversità dei ruoli. Motivare i salariati indicando il raggiungimento di obiettivi comuni, spiegando che coincidono con il benessere dell’impresa e quindi con interessi condivisi. Ridurre sprechi e mugugni, incentivare flessibilità interne per rispondere alla crisi. E disegnare relazioni industriali nuove, dirette, senza mediazioni. Ereticamente, oltre il sindacato.
Di questo sogno ad occhi aperti, una piccola grande lezione viene da un’azienda di Rosà. Non a caso nella terra del paternalismo d’azienda, ma quello apparteneva ad altri secoli. Oggi siamo in un altro mondo. Infatti il sociologo Daniele Marini, esperto dell’evoluzione industriale a Nordest, in un recente lavoro ha elogiato ciò che la Mevis sta facendo. «È una forma di co-gestione innovativa dell’impresa. Sempre più spesso i giornalisti di fuori vengono qui per verificare ciò che accadrà in Italia nel prossimo futuro». Siamo andati a vedere.
A parte la modernità della fabbrica, segno di bilanci positivi consolidati nel tempo, ciò che colpisce è la varietà delle occasioni offerte ai dipendenti per dare il proprio contributo, che non è solo quello di fare molle o componenti per le auto. Ma è quello di farlo bene. «La partecipazione è nel nostro Dna – spiega Federico Visentin, presidente e amministratore delegato – ce l’ha insegnata nostro padre. E la prima forma di partecipazione riguarda il risultato economico, con una percentuale del margine operativo netto che ogni anno viene suddivisa tra i lavoratori». È quantificata in ore di lavoro e gode di un beneficio di defiscalizzazione. Quest’anno saranno 50 le ore di lavoro distribuite. Equivalgono a poco più di una settimana di lavoro. Ma ai tempi d’oro si è arrivati anche all’equivalente di 227 ore, un mese abbondante di lavoro.
«Non è soltanto far arrivare un po’ di soldi in busta paga. Èun modo di coinvolgere i dipendenti nella gestione» spiega l’ad Visentin, che è anche vicepresidente nazionale di Federmeccanica. Le assemblee aziendali sostituiscono in qualche modo quelle sindacali. La prima è in giugno, tutti sono invitati, ci vanno almeno 250 dei 350 dipendenti della sede bassanese. «Lì rendiamo trasparenti i dati, i bilanci, gli utili. Mostriamo i video dei prodotti per far capire che una molla non è solo un pezzo di ferro, ma serve ad aprire la porta di una Golf». A settembre si studiano le strategie aziendali. «Cerchiamo di avere un approccio non calato dall’alto, aiutiamo a sviluppare proposte dal basso e sui temi strettamente produttivi ascoltare i dipendenti».
Un esempio? Il “muda” giapponese, la produzione che elimina gli sprechi. Si chiede a tutti di dare suggerimenti per risolvere subito i problemi. «Cerchiamo di sviluppare una nuova cultura d’impresa, motivando le persone che ne fanno parte, consapevoli che i risultati si raggiungono perchè sono persone in carne ed ossa a farlo». Una bella lezione, se si pensa a tante imprese dove vige la legge del comando sospettoso.
«Non abbiamo risorse umane, le risorse umane sono io» assicura Visentin. E c’è un “comitato delle contrattazioni” che una volta all’anno esamina uno per uno i dipendenti, le loro aspettative, eventuali criticità che a volte si risolvono con semplici spostamenti più funzionali alle caratteristiche personali. I principi? «Meritocrazia ed equità».
Non è che la crisi non sia passata dalle parti della Mevis. Nel 2008 il calo del fatturato è stato del 14 per cento. «Abbiamo saputo reagire rapidamente, con poca cassa integrazione condivisa da tutti. La gente ha manifestato una grande disponibilità. – conclude Visentin – Non c’è stato neppure bisogno di chiedere flessibilità e maggiore impegno. Hanno capito che era interesse di tutti rimboccarsi le maniche».
(G. Pietrobelli, www.ilgazzettino.it, 28.10.2015)