Presentiamo di seguito la sintesi della ricerca in oggetto condotta dal prof. Mario Ricciardi, che ringraziamo per l’invio della documentazione, e dal prof. Luciano Pero.
“L’indagine di cui illustriamo i risultati ha come oggetto la cosiddetta partecipazione organizzativa dei lavoratori nelle aziende, e in particolare nelle aziende cooperative di Legacoop Emilia Romagna.
La ricerca si è svolta tra la fine del 2016 e i primi mesi del 2017, ha coinvolto 12 cooperative indicate da Legacoop tra le aziende di settori diversi e anche di diverse dimensioni perché considerate significative ai fini della nostra ricerca.
Cosa intendiamo quando parliamo di “partecipazione organizzativa”? Per dirlo in modo molto sintetico, intendiamo la possibilità per i lavoratori di aver voce, cioè di collaborare e/o di codecidere nelle scelte organizzative, e in particolare nelle scelte riguardanti l’organizzazione del lavoro delle imprese nelle quali operano.
E’ un tema di attualità anche se bisogna dire che non è un tema nuovo. In realtà il tema della partecipazione attiva dei lavoratori ai processi produttivi ha una lunga storia. Senza voler andare troppo indietro, il tema della partecipazione organizzativa nasce in fondo con la crisi del modello fordista, che consegnava la grande maggioranza dei lavoratori a mansioni meramente esecutive. Le ragioni che hanno ridato più di recente grande rilievo al tema della partecipazione organizzativa sono tuttavia collegate in larga misura alle grandi svolte produttive, tecnologiche e sociali che si sono verificate in questi anni. Sul lato delle imprese, le esigenze di qualità del prodotto e del processo produttivo e di contenimento dei costi e, sul lato del lavoro, il grado crescente di istruzione dei lavoratori che si presentano sul mercato hanno fatto sì che la partecipazione sia oggi sempre più considerata uno strumento per incrementare la produttività, sostenere l’innovazione, prevenire e minimizzare i conflitti.
Tuttavia occorre dire che la scelta di occuparci della partecipazione organizzativa non è stata soltanto il pur necessario omaggio a un tema di attualità. A occuparci del tema della partecipazione organizzativa siamo arrivati per gradi, in un percorso di ricerca ormai quasi decennale, iniziato nel 2010 promosso e fortemente sostenuto da Legacoop Emilia Romagna e che ha riguardato il tema della partecipazione dei soci e dei lavoratori alla vita delle imprese cooperative della nostra regione. L’obiettivo, detto in molto sintetico, era quello di testare lo stato di salute della partecipazione dei soci e dei lavoratori nel movimento cooperativo, in una fase caratterizzata da profonde trasformazioni economiche e sociali. Le domande da cui siamo partiti erano più o meno le seguenti:
- con il trascorrere degli anni, la partecipazione, nelle forme che essa ha tradizionalmente assunto nel mondo cooperativo, è ancora un valore e un’idea forte sentita e condivisa?
- come, e in che misura, le trasformazioni che le imprese cooperative hanno conosciuto hanno inciso sull’intensità e sulle forme della partecipazione?
- come, e in che misura, la partecipazione rappresenta un valore aggiunto per le crescenti esigenze di efficienza e di competitività delle imprese?
Per rispondere a queste domande siamo partiti innanzitutto dall’analisi dei due percorsi in cui si sostanzia tradizionalmente la partecipazione dei lavoratori nelle imprese cooperative: la partecipazione alla governance, e la partecipazione attraverso le relazioni industriali.
Per quanto riguarda la partecipazione alla governance, il dato di fondo che abbiamo registrato nelle prime ricerche, e che poi è stato sempre confermato anche nei passaggi successivi è che la partecipazione sociale resta una componente fondamentale di quello che potremmo definire l’orgoglio cooperativo, cioè la consapevolezza di essere eredi e depositari di valori che sono propri del movimento cooperativo e che è diritto/dovere dei cooperatori di vivere, comunicare e tramandare.
Questa consapevolezza è resa evidente anche dall’ intensità con cui si tengono in vita e si aggiornano gli strumenti della partecipazione sociale. Nelle nostre ricerche abbiamo incontrato tante cooperative nelle quali gli appuntamenti sociali sono momenti veri e spesso vivacemente dialettici di vita sociale, abbiamo registrato il rilievo che viene dato in alcune cooperative all’articolazione territoriale anche nella scelta degli amministratori e l’adozione di strumenti innovativi per mantenere viva l’informazione, il rapporto e l’interlocuzione tra la base sociale a gli amministratori. E ci è sembrato di cogliere anche la percezione più generale dell’importanza che lo stile di partecipazione cooperativo riveste non solo come idealtipo imitabile anche da altre aziende, ma come antidoto all’aria acre che talvolta si respira, ai cattivi umori che serpeggiano nella società italiana, e non solo italiana.
Naturalmente questo non esclude che vi siano state e vi siano diverse criticità, che sono in certi casi dovute a un certo indebolimento della forza propulsiva dei valori delle origini, in altri sono un aspetto specifico del calo di partecipazione politica e sociale che verifichiamo in questi anni. Così, in alcuni casi ci è stato segnalato un calo della partecipazione dei soci alla vita della cooperativa, misurabile anche con il calo delle presenze alle assemblee sociali, un calo che è inversamente proporzionale all’intensità dell’interesse dei soci a essere attivi e consapevoli dentro il processo decisionale, e alla forza del legame mutualistico che unisce i soci della cooperativa.
Tuttavia le criticità maggiori si sono riscontrate,ancor più che nei meccanismi della partecipazione sociale, nei meccanismi della governance. Qui abbiamo visto casi non irrilevanti di meccanismi nei quali è stato carente o opaco il bilanciamento dei poteri e il reciproco controllo dialettico tra amministratori e tecnostruttura, in cui mancava da tempo un ricambio anche generazionale ai vertici della cooperativa, e casi limite in cui era molto carente la trasparenza delle scelte strategiche e gestionali. Questi fenomeni sono stati, se non la causa, certamente importanti concause delle drammatiche crisi che si sono verificate in questi anni soprattutto ma non soltanto nel settore delle costruzioni. Vi sono stati insomma, e alla luce della nostra indagine non ci sembra di poter escludere che vi siano ancora, casi in cui l’originario spirito sociale di alcune cooperative si è venuto cristallizzando in una sorta di vetrina identitaria, da rispolverare nelle occasioni rituali ma troppo scarsamente vissuta, alimentata e innovata, avvicinandosi pericolosamente a logiche incapaci di tenere insieme l’anima sociale e l’utilità economica.
Con il procedere della ricerca noi abbiamo potuto tuttavia osservare una crescente consapevolezza di questi limiti e di queste criticità. Da quello che abbiamo potuto verificare in molte cooperative è in corso in questi anni un significativo ricambio anche generazionale, e abbiamo anche notato una crescente sensibilità al tema dei controlli, sia da parte della compagine sociale, ma anche esterni, da soggetti neutrali, sull’attività delle aziende. Accanto a questo c’è un fatto rilevante, ed è la rinnovata attenzione verso un importante documento, le cosiddette “linee guida” sulla governance varate nel 2008, che contengono principi e norme di comportamento fondamentali, ma la cui concreta applicazione è stata forse per troppo tempo trascurata. Il fatto positivo è che sul tema delle regole e degli stili della governance, Legacoop regionale ha assunto un’iniziativa con l’adozione del progetto governance e con l’ istituzione della commissione regionale sulla governance, i cui lavori stanno procedendo, ed è importante mantenere uno stretto collegamento tra quel progetto e il tema della partecipazione nel lavoro di cui ci stiamo occupando oggi.
L’altro aspetto che abbiamo esaminato lungo tutte le tappe della nostra ricerca è stato quello della partecipazione dei lavoratori attraverso gli strumenti delle relazioni industriali, intendendo come tali da un lato sia gli strumenti di tipo più strettamente partecipativo che la contrattazione collettiva.
Il contesto delle relazioni industriali nelle cooperative emiliano romagnole è tradizionalmente caratterizzato dalla presenza di un sindacato forte, e relazioni sindacali storicamente caratterizzate da uno scambio tra condizioni retributive e normative spesso migliori rispetto alle altre aziende concorrenti, e una sostanziale pace sociale. Come è venuta evolvendo la situazione negli anni più recenti? La situazione è molto varia. C’è una parte di aziende nelle quali le cose non sembrano essere molto cambiate rispetto a quanto descritto, e i rapporti con i sindacati e le RSU seguono ancora l’equilibrio tradizionale. In un numero significativo di casi tuttavia la situazione delle relazioni industriali sembra essere in rapido cambiamento, nel senso che dalla parte delle imprese si sottolinea il fatto che gli assetti contenuti e cristallizzati nella relazioni sindacali e nella contrattazione collettiva degli anni trascorsi sono meno sostenibili, e questo si riverbera anche nelle difficoltà di rinnovo di alcuni contratti, nazionali e aziendali. Questo è in parte certamente frutto della crisi, ma in eguale misura sembra essere effetto dei problemi che i cambiamenti organizzativi e tecnologici introducono nei rapporti di lavoro. Rispetto a questo emergono significative criticità nelle relazioni industriali, anche per la difficoltà, che i nostri interlocutori di parte aziendale sottolineano con frequenza, di far comprendere e accettare alle controparti questo nuovo terreno di confronto. Naturalmente le osservazioni che abbiamo raccolto da parte aziendale meriterebbero un approfondimento e un adeguato riscontro anche dalle controparti. Ci si può chiedere tuttavia se questa difficoltà nelle relazioni industriali nasca, oltre che dalla lunga fase di crisi, anche, nel caso specifico delle cooperative, dal fatto che i sindacati hanno avuto e hanno come interlocutori aziende che assicurano ai lavoratori relativamente maggiore stabilità e qualità dei diritti sociali, disincentivando l’interesse a incamminarsi sulla strada molto più scoscesa e rischiosa del confronto sul cambiamento organizzativo.
Questa situazione è complicata dal fatto che il quadro generale delle relazioni industriali in Italia è oggi meno strutturato e stabile di quanto fosse qualche anno fa. Questo è dimostrato a livello macro dalla difficoltà di individuare regole generali di funzionamento del sistema, difficoltà alla quale si cerca di dare una risposta anche con il recentissimo accordo tra Confindustria e confederazioni sindacali, e nella realtà concreta dalla fragilità di quelli che erano considerati alcuni punti di riferimento stabili.
Noi siamo stati abituati a pensare ad esempio– e di questo abbiamo anche avuto conferme nella nostra ricerca – che le imprese più dinamiche, aperte all’innovazione e più disponibili al rapporto con il sindacato siano quelle che hanno sistemi di relazioni sindacali più stabili. Nella nostra regione vi sono, e spesso vengono portati come esempio, casi importanti di relazioni sindacali fortemente innovative e non stiamo ovviamente parlando soltanto delle aziende in cui le buone relazioni sindacali e l’influenza dei sindacati sulle decisioni d’impresa sembrano essere trainate, per dir così, dai modelli relazionali propri della cultura della proprietà tedesca. Non si può tacere, tuttavia, che proprio a due passi da qui abbiamo avuto di recente la dimostrazione che l’equazione impresa dinamica=buone relazioni industriali non sempre funziona, e che le sorprese sono sempre dietro l’angolo. E anche nella nostra regione sono in certi casi gomito a gomito le imprese 4.0 e i gironi infernali della logistica infettata dalle false cooperative. Come fronteggiare dunque l’incertezza, o peggio, evitare la possibilità che si verifichi una contrapposizione abbastanza sterile tra sindacati che si collocano a difesa delle posizioni acquisite nel tempo e imprese che si aspettano di più in termini di comprensione dei mutamenti indotti dalla crisi e dai cambiamenti tecnologici e organizzativi ? Ovviamente non c’è una ricetta miracolosa, né soluzioni che possano garantire un’immediata efficacia.
Una prima strada da percorrere può essere certamente quella di potenziare gli strumenti di osservazione, comprensione e supporto stabile alle imprese cooperative sul terreno delle relazioni industriali, con la creazione di luoghi di raccolta di dati e di scambio di informazioni, di osservazione e confronto sulle linee di tendenza, di diffusione delle migliori pratiche, di formazione del personale, anche attraverso iniziative di confronto e formazione congiunta con gli interlocutori sindacali.
Ma accanto a questo, e in aggiunta a questo, le ricerche condotte fin qui ci hanno indotto a ritenere che proprio quella fondamentale caratteristica identitaria dell’azienda cooperativa, che è la partecipazione, sia una risorsa fondamentale per migliorare le relazioni industriali, e insieme per responsabilizzare i dipendenti nella ricerca di competitività e di sviluppo di fronte alla competizione internazionale. In particolare, ci è sembrato necessario approfondire l’aspetto della partecipazione organizzativa, che essendo una forma di partecipazione non soltanto affidata a istituti di rappresentanza e a momenti istituzionalizzati ed isolati nel tempo, ma che si concretizza attraverso strumenti, come ad esempio il lavoro in team, i suggerimenti dal basso, la lotta agli sprechi, è una forma di partecipazione che da un lato integra e completa le forme di partecipazione più istituzionalizzate e dall’altro meglio si presta a migliorare la produttività e a corrispondere a esigenze profonde di valorizzazione del lavoro e di autorealizzazione dei lavoratori.
Questo ci ha indotto ad orientare la nostra attenzione per verificare quali e quante forme di partecipazione organizzativa siano già presenti nelle aziende cooperative, quali siano le possibilità della loro crescita, quanto la prospettiva della partecipazione organizzativa sia condivisa dagli operatori nella prospettiva di una gestione delle relazioni industriali insieme più innovativa e più coerente con le attuali condizioni economiche e di mercato. Ed è questo, appunto, il contenuto del terzo, più recente, filone della nostra ricerca .
Il primo dato da sottolineare è che praticamente tutte le cooperative da noi osservate sono state interessate negli anni recenti da profonde innovazioni nell’organizzazione del lavoro, determinate in parte dalle tecnologie, in parte da cambiamenti intervenuti nella domanda e nei mercati.
Una prima distinzione, un primo “asse di divisione” per quanto concerne la partecipazione organizzativa può forse essere individuato, con un buon grado di approssimazione, nel settore a cui appartengono le cooperative.
Nelle cooperative di produzione lavoro, in particolare dei settori industriali, vi sono forti innovazioni di prodotto e di processo. Vi è sia la ricerca di innovazione nelle produzioni più tradizionali, che di diversificazione verso produzioni più sofisticate. Le aziende che abbiamo osservato sono di dimensioni medio-grandi, ben collocate sul mercato internazionale, curano fortemente l’innovazione attraverso la ricerca interna e il rapporto con centri di ricerca universitari italiani ed esteri. In queste cooperative, accanto a un’intensa partecipazione sociale vi è una prassi consolidata di gruppi di partecipazione all’organizzazione del lavoro, ai quali prendono parte sia soci che non soci, ai quali spetta di proporre innovazioni nell’organizzazione della produzione, miglioramenti nella sicurezza e nell’ergonomia, circolazione delle migliori pratiche tra le diverse unità produttive. Qui va detto che le relazioni sindacali sono buone, il sindacato e le RSU non sono direttamente coinvolti nei gruppi di partecipazione, ma non sono ostili, anche perchè il livello dei salari, l’aumento della occupazione e il buon livello delle condizioni di lavoro non alimentano conflitti.
Nel settore delle cooperative sociali l’organizzazione del lavoro è condizionata da prescrizioni legislative e regolamentari, da precisi protocolli soprattutto nei due settori principali, le scuole materne e le residenze per gli anziani. Qui l’innovazione sembra concentrarsi soprattutto nello sforzo di migliorare la qualità della prestazione, determinato anche dal fatto che, stante il ristagno o il calo di una committenza pubblica sempre più orientata a rivedere le prestazioni e a ridurre la spesa, diverse cooperative si rivolgono in misura crescente alla committenza privata, che sfiora ormai, in una delle maggiori cooperative da noi ascoltate, il 30 per cento del mercato complessivo. Per quanto riguarda la partecipazione all’organizzazione del lavoro, nel settore c’è tradizionalmente una percentuale piuttosto elevata di lavoro qualificato, che si accompagna a una tradizione consolidata di gruppi di lavoro, denominati “collettivi”, nei quali si discute della programmazione del lavoro, del miglioramento qualitativo, dei turni, della formazione per i nuovi ingressi e si scambiano esperienze sulle migliori pratiche.
Anche nel settore dei servizi, ci sono stati cambiamenti rilevanti. I cambiamenti sono in parte tecnologici, ma anche legati al tipo di servizi, nei quali si tende a ridurre l’impegno nelle attività a più basso valore aggiunto per spostarsi verso attività più specializzate. Per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori, la partecipazione organizzativa sembra essere meno sviluppata in questi settori, e pur essendovi attività e riunioni di gruppi di lavoratori concernenti l’organizzazione del lavoro queste sembrano essere organizzate in maniera più gerarchica, anche come conseguenza della qualificazione mediamente più bassa del personale addetto.
Anche nel settore del consumo ci sono cambiamenti, per quanto, come ci ha detto uno dei manager intervistati, l’ organizzazione sia rigida e il lavoro più flessibile. Qui infatti l’organizzazione del lavoro ha dovuto adattarsi a orari di apertura praticamente continui ma con un andamento fortemente discontinuo delle attività, e quindi a un consistente ricorso a rapporti di lavoro a termine e a part time. Di recente assume rilievo la crescente automazione delle mansioni più semplici e ripetitive mentre altre attività, come quelle dei banchi vendita, ritrovano alcune caratteristiche del commercio tradizionale, come una maggiore attenzione e personalizzazione del rapporto con il cliente. Qui però i rapporti con il personale sono lasciati praticamente soltanto alle relazioni industriali tradizionali con le rappresentanze sindacali, e sembrano essere più rare le esperienze significative di partecipazione dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.
Un secondo “asse di divisione” riguarda il livello di formalizzazione e istituzionalizzazione delle prassi partecipative, e i loro contenuti.
Nelle imprese che abbiamo visitato, abbiamo visto infatti “casi” nei quali la partecipazione organizzativa è ormai formalizzata, con gruppi di miglioramento stabili che con cadenza predeterminata si riuniscono per esaminare l’andamento della produzione, la rotazione e la distribuzione dei compiti, allo scopo di individuare le soluzioni e i miglioramenti, e le cui segnalazioni arrivano ai livelli organizzativi competenti e fino al grado di direttore delle business unit. Qui la partecipazione dei lavoratori nel processo produttivo rappresenta davvero una fondamentale componente del successo dell’impresa, determinando un forte coinvolgimento dei lavoratori, un loro impegno nel miglioramento continuo e la trasformazione della gerarchia in senso innovativo e antiburocratico. Questi “gruppi di miglioramento” si inseriscono peraltro in una fitta rete di confronti e bilanciamenti tra consiglio d’amministrazione e management, e in alcuni casi con strutture di advisor esterni che rappresentano un ulteriore elemento dialettico rispetto alla gestione. Le aziende che si avvalgono di questi strumenti più sofisticati sono peraltro quelle che sembrano dare maggiore importanza anche alla partecipazione dei soci, come si vede dal numero di assemblee, ma anche alla partecipazione dei lavoratori non soci, che vengono ovviamente coinvolti nelle forme di partecipazione organizzativa. In questi casi, insomma, è stretta e visibile la correlazione positiva tra intensità della vita associativa secondo il modello cooperativo, e una maggiore propensione all’innovazione organizzativa e al coinvolgimento dei dipendenti.
Accanto a queste forme di partecipazione organizzativa “forte” ve ne sono altre che si colgono soltanto se si scava un poco più in profondità, non limitandosi alla corteccia più formalizzata. Vi è un tema che sembra essere abbastanza trasversale in tutti i settori, ed è quello dell’orario di lavoro. Bisogna ricordare che vi sono settori nei quali è diffuso il part time, altri nei quali vi è una organizzazione del lavoro basata sui turni. La partecipazione, e in qualche misura perfino l’ autogestione dei diversi segmenti di orario tra i lavoratori sembra essere piuttosto diffuso e costante. Vi sono poi casi in cui la partecipazione all’organizzazione del lavoro sembra incunearsi, per dir così, sia pure all’interno di un’organizzazione del lavoro più gerarchizzata, magari perché compressa dentro “protocolli” rigidi, come in alcuni casi di cooperative sociali e dei servizi. Anche in questi casi, però, scavando un poco nelle prassi comunemente adottate si vede che nei gruppi di lavoro i lavoratori fanno sentire la loro voce, e il loro contributo spesso serve proprio a migliorare non solo le condizioni di lavoro ma l’efficienza del servizio. Certo, molto dipende anche dal tipo di prestazioni , dalla stabilità occupazionale e dall’esperienza, dal livello scolastico-culturale degli addetti. In una stessa cooperativa può esservi molta differenza, ad esempio tra gli operatori che devono distribuirsi nell’assistenza domiciliare per anziani, con interventi che si esauriscono a malapena in quarantacinque minuti ciascuno, e gli educatori e i pedagogisti dei nidi e scuole dell’infanzia, con il corredo di coordinatori scientifici e di tutto quanto si può immaginare.
Il livello di partecipazione organizzativa meno intenso non corrisponde insomma necessariamente a una minore volontà partecipativa della leadership cooperativa, né a una minore efficienza o partecipazione “sociale”, ma a volte a fattori strutturali, come la maggiore o minore esposizione a mercati competitivi e le dimensioni delle aziende: le dimensioni medio-piccole certamente aiutano a coltivare relazioni fiduciarie e rapporti interpersonali che agevolano la partecipazione, così come certamente aiuta la struttura relativamente compatta e non troppo dispersa delle unità produttive.
Il compito che si potrebbe immaginare per l’immediato futuro è, dunque, da un lato quello di portare a conoscenza dell’intero mondo cooperativo le esperienze di partecipazione organizzativa più virtuose e consolidate, tenendo adeguatamente conto delle differenze settoriali e strutturali, ma curando di mettere a disposizione prassi e materiali da cui ciascuna impresa può trarre elementi di miglioramento e, dall’altro, di sollecitare le cooperative a riflettere su se stesse e su quel poco o tanto di “sommerso” che può aiutarle a funzionare meglio, e sull’opportunità di dare visibilità e stabilità alle prassi più o meno micro partecipative.
Per quanto riguarda il ruolo che le relazioni industriali giocano rispetto al tema della partecipazione organizzativa, occorre dire infine che nel corso della ricerca i nostri interlocutori ci hanno restituito un’immagine non entusiasmante dell’interlocuzione con i sindacati, descritti come attori che si collocano prevalentemente sullo sfondo dei processi di innovazione che abbiamo descritto. E’ difficile dire se questa difficoltà sia da attribuire a fattori derivanti dalla complessità della materia o da altre dimensioni di natura tecnica e organizzativa, come la difficoltà di focalizzare le proprie risorse intorno ai nodi della condizione organizzativa e lavorativa nelle diverse realtà produttive. Naturalmente, trattandosi di versioni di parte, si tratterebbe di ascoltare anche l’altra “campana” e di verificare in modo approfondito se da parte aziendale si fa abbastanza per stimolare ed incentivare i sindacati ad incamminarsi sulla strada del cambiamento organizzativo. I problemi che si incontrano sulla strada di un maggiore coinvolgimento dei sindacati sul terreno della partecipazione organizzativa sembrano essere insomma di due tipi. Da un lato, mentre alcuni attori aziendali affermano esplicitamente che un loro maggiore coinvolgimento è considerato utile ed opportuno per consolidare le prassi esistenti, e superare gli ostacoli residui, in altre situazioni ci sembra di aver colto un atteggiamento più simile a una certa tradizionale diffidenza degli imprenditori italiani verso il sindacato-ficcanaso. D’altra parte, se è vero che ai vertici dei sindacati si è ormai imboccata la strada dell’accettazione e della promozione della partecipazione nelle sue diverse forme, accettazione riconfermata anche nel recentissimo accordo tra Confindustria e sindacati, è altrettanto vero che nel nostro percorso di ricerca abbiamo potuto cogliere talora almeno i sintomi di diverse velocità, per dir così, nell’adesione a queste nuove linee da parte di sindacati locali, RSU, lavoratori iscritti e non ai sindacati. Ciò deve spingere a riflettere su come creare incentivi per aiutare questo spazio e questa disponibilità a materializzarsi più chiaramente ed in modo più esteso anche a livello dei diversi settori e delle singole imprese, e a interrogarsi e ad operare per favorire una convergenza su questi temi da parte delle aziende e delle rappresentanze sindacali, in coerenza, tra l’altro, con l’attenzione e la disponibilità che spesso i lavoratori esprimono verso il cambiamento organizzativo e la partecipazione. In un contesto per tanti aspetti maturo e favorevole come quello delle aziende cooperative un contributo più convinto e attivo dei sindacati potrebbe rappresentare quel “valore aggiunto” che anche molti nostri interlocutori aziendali considerano necessario per dare maggiore estensione e stabilità alle esperienze più innovative.”
Pingback: La democrazia nelle imprese | CompassUnibo Blog