La nuova etica pubblica della spesa veloce.

Qualcuno si sarà chiesto a che cosa sia dovuta la generosità fiscale dell’Erario, che ha detassato integralmente il cosiddetto “welfare aziendale”. Oggi i servizi pagati direttamente dall’impresa a una o più categorie dei propri dipendenti – dalla badante per i nonni alla baby-sitter per i bebé, dai corsi di inglese alla palestra, dai buoni-pasto alla ludoteca, o allo spettacolo teatrale – siano essi previsti da un contratto aziendale o da un regolamento emanato unilateralmente, non concorrono a determinare il reddito imponibile dei dipendenti stessi.

Perché tutto questo? Che cosa c’è di socialmente progressivo in un ticket-restaurant? Per quale ragione il beneficio della palestra o del corso di inglese dovrebbe meritare di essere escluso dal reddito imponibile? In linea di principio astratto non lo meriterebbe affatto. Il fatto è, però, che quel modo di pagare ai lavoratori una parte della retribuzione ha un pregio straordinario: li induce a spenderla subito, generando subito nuova domanda di servizi e di beni, così mettendo subito  in moto lavoro e quindi creazione di ricchezza. Donde anche un gettito fiscale e contributivo che comunque ripaga in breve l’Erario del sacrificio iniziale. In quest’epoca di grande incertezza riguardo al futuro, che induce la gente a non spendere per paura dell’imprevisto, non solo l’Erario, ma anche l’intera economia ha bisogno di gente che spenda invece immediatamente quel che guadagna, di denaro che circoli rapidamente. Così si afferma una nuova etica pubblica, contraria alle formichine risparmiatrici, le quali vengono oltretutto penalizzate dai tassi di interesse bassissimi voluti dalle Banche centrali, e molto favorevole alle cicale, che il fisco in questo modo incoraggia: “se vi godete subito quel che guadagnate, non vi tasso”. Tutto bene; ma, se è così, perché chiamarlo “welfare”?

(P. Ichino, www.pietroichino.it, 20.07.2016)

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