La partecipazione dei lavoratori costituisce da tempo un pilastro centrale in molti contesti esteri (in particolare dell’area renano-scandinava) che ne hanno saputo fare un fattore strategico in ottica di competitività economica e inclusione sociale; contesti che si distinguono sullo scenario globale per relazioni industriali costruttive e finalizzazione comune verso l’interesse primario aziendale. Quali le potenzialità socio-economiche?
La colpevole inerzia della politica italiana non ha consentito, purtroppo, di sperimentare le potenzialità socio economiche proprie del modello partecipativo, nonostante questo sia stato immaginato e tracciato, con ammirevole lungimiranza, dal nostro legislatore costituente, in particolare all’art. 46 della Costituzione.
La CISAL, nata nel 1957 con la dichiarata volontà di proporre ai lavoratori un sindacato libero da vincoli ideologico/partitici, cioè autonomo, ha sostenuto, inascoltata, la necessità di costruire un modello di relazioni industriali che traducesse in pratica l’articolato disegno costituzionale fondato sulla partecipazione, valorizzandone le potenzialità economico/produttive che passano, appunto, attraverso la crescente fidelizzazione del lavoratore all’azienda delle cui sorti si senta parte e di cui avverta la responsabilità.
Quali gli elementi che ne hanno impedito il decollo in Italia?
Il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese ha da sempre rappresentato per la CISAL il punto di arrivo di un processo che avrebbe dovuto trovare piena attuazione nel nostro Paese, in forza del chiaro e lungimirante disegno del legislatore costituente. Processo, invece, che non è mai seriamente partito anche a causa dei noti ostacoli riconducibili alla storica commistione di ruoli partiti/sindacati. Non ci sono dubbi che un sindacato “senza aggettivi”, quindi “autonomo” per definizione, scelta consapevole e comportamenti coerenti, avrebbe non solo perseguito, ma accompagnato e sostenuto quel processo attraverso il superamento di posizioni pregiudizialmente conflittuali, la valorizzazione della contrattazione con esplicito riconoscimento di pari dignità fra le parti, il pieno coinvolgimento del lavoratore garantendone la massima informazione.
Quali le prioritarie strategie a livello legislativo e di parti sociali, complementarmente ai temi della rappresentanza e della contrattazione, per una riforma sistemica delle relazioni industriali italiane?
Questo Paese, sia pure con ricorrenti difficoltà, ha comunque raggiunto un livello accettabile di democrazia politica. Ebbene, è opinione della CISAL, che ci siano ancora due importanti deficit da colmare, entrambi strettamente legati al modello partecipativo ed al conseguente miglioramento della situazione socio economica italiana. Il primo riguarda, appunto, il deficit di democrazia economica che vede ancora il lavoro ed il lavoratore confinati in una sorta di minorità “per tabulas” e non invece in posizioni assolutamente paritarie con il capitale e le altre componenti essenziale alle dinamiche economico/produttive del Paese. Il secondo, non certo meno importante, riguarda il persistente deficit di democrazia sindacale. La mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione, infatti, ha in concreto realizzato una sorta di monopolio che esclude forzosamente da un corretto dialogo sociale, e quindi dalla partecipazione attiva e consapevole, una parte notevole di lavoratori ai quali si rimprovera di voler essere autonomi, cioè liberi da condizionamenti partitici che ne vincolino le scelte.