Danilo Terra ha intervistato Tiziano Treu, Presidente della International Society for Labour and Social Security Law, già Ministro del Lavoro.
Ci parli di lei e del suo punto di vista sulla democrazia in azienda…
Mi sono sempre occupato molto di questo tema non solo nell’attività scientifica e politica italiana, ma anche per le mie frequentazioni europee.
Ancora negli anni Ottanta verificavo a Bruxelles come l’Europa stesse promuovendo non solo a livello nazionale esperienze di partecipazione, ma costruendo quelle che poi sarebbero state le direttive sui diritti di informazione, sui consigli europei dei delegati e sulla società europea; i tre filoni europei della partecipazione.
Ho sempre ritenuto che la partecipazione fosse parte del modello sociale europeo e che l’Italia dovesse andare su questa strada.
Cosa pensa dell’attuale livello di partecipazione dei lavoratori nel contesto italiano?
Le ultime versioni delle direttive europee lasciano aperte diverse vie nazionali alla partecipazione, non solo la versione tedesca. Ad esempio l’ultima direttiva sulla Società europea lascia aperte diverse modalità partecipative.
Me ne sono occupato in Italia quando ho contribuito al protocollo Iri che è stato uno dei primi esperimenti di partecipazione in un grande Gruppo a partecipazione statale. E’ una delle versioni italiane, non la presenza negli organi societari, ma forme negoziate di compresenza di sindacalisti e uomini dell’azienda per istruire le grandi questioni; quindi comitati paritetici che avevano il compito di coinvolgere entrambi nelle scelte sia organizzative specifiche sia strategiche. Ecco questo è stato uno dei punti di sperimentazione italiana, fuori dalla legge, perché in realtà la via italiana della partecipazione è soprattutto una via negoziata.
Poi negli ultimi tempi queste sperimentazioni si sono arricchite: ho avuto modo di seguire forme di partecipazione, sempre negoziate, come quelle dell’Eni, della Finmeccanica che hanno avuto un significato parallelo all’esperimento che ha fatto Castro in Zanussi.
Adesso siamo al punto in cui stiamo vedendo l’importanza che ci sia una legislazione in Italia in questa direzione.
Sia io che Castro abbiamo sostenuto molto quella norma, all’interno della legge Fornero, che aveva una delega per sostenere per via di legge le varie forme di partecipazione; non si imponeva nessuna forma, si dava alle parti la possibilità di scegliere tra varie modalità, compresa la partecipazione negli organismi di vigilanza o di amministrazione.
Purtroppo questa delega non è stata attuata, perché c’è stata un’opposizione soprattutto di Confindustria per la parte imprenditoriale e una certa timidezza da parte della Cgil; quindi la delega è stata lasciata cadere.
Sarebbe bene, visto che le esperienze si stanno moltiplicando, che si riprendesse il discorso a livello legislativo. Anche il premier Renzi all’inizio aveva indicato la volontà di procedere in questa direzione, poi il Job Act non l’ha ripresa, però mi auguro che non sia tramontata.
Ci sono molti esperimenti partecipativi in Emilia, anche per l’influenza di molte aziende che sono partecipate dai tedeschi; per esempio il recente accordo della Ducati è molto interessante.
Quindi secondo me la via italiana c’è, seppur parziale, e mi auguro che si riprenda l’iniziativa legislativa.
C’è infine la probabilità di qualche intervento nella Legge di Stabilità, da quello che ho sentito e lo sapremo tra pochi giorni. Si vuole incentivare la contrattazione aziendale, non solo nella versione monetaria tradizionale (per esempio con la detassazione dei premi di rendimento e dei premi di produttività), ma sostenendo forme di profit sharing accompagnate da forme partecipative. Non è una legge sulla partecipazione, ma sarebbe un incentivo del legislatore fiscale a chi fa esperimenti di partecipazione.
C’è anche un incentivo per i piani di welfare che sono un modo, sia pure diverso, di coinvolgere le persone per obiettivi di benessere.
Se queste norme nella Legge di Stabilità venissero approvate, le imprese che imboccano questa strada avrebbero qualche vantaggio fiscale che finora non c’è stato.
Quali le potenzialità in termini di competitività economica e inclusione sociale?
Contrariamente a quello che qualcuno diceva, si dimostra che le aziende che hanno esperimenti partecipativi anche in Italia vanno bene.
Ho avuto testimonianze di aziende come Zanussi Electrolux, Luxottica, Ducati. Quelli che hanno sperimentato queste formule dicono “guardate che la partecipazione aiuta a migliorare soprattutto la qualità, la produttività di qualità”.
E’ la prova che vanno nella giusta direzione.
In un’ottica di inclusione bisognerebbe che la partecipazione venisse estesa a livello di territorio, poiché gli esperimenti che abbiamo in Italia sono prevalentemente di grandi aziende; sono una prova di responsabilità sociale di impresa, ma riguardano zone di élite.
Se volessimo avere effetti di inclusione, bisognerebbe che queste forme venissero estese sul territorio anche nelle piccole aziende, dove ci sono esperimenti ma ancora limitati.
Le potenzialità ci sono, ma occorrerebbe che sia il sindacato che le associazioni imprenditoriali si facessero promotori di queste forme diffuse di partecipazione sul territorio che avrebbero un effetto anche inclusivo.