Da un anno sono operatore confederale della Cisl in tema di contrattazione, sia per lo sviluppo dei modelli e delle politiche contrattuali sia in tema di contrattazione decentrata rispetto alla quale la Cisl vanta lo straordinario strumento di OCSEL, l’osservatorio sulla contrattazione di secondo livello avviato da Uliano Stendardi e gestito dalla collega Anna Rosa Munno che conta ormai un patrimonio di oltre 7.500 accordi censiti.
Provengo da una plurale esperienza di sindacato di categoria e di contrattazione, avendo all’inizio del mio percorso svolto diversi ruoli nella categoria Cisl dell’industria alimentare e successivamente ricoperto il ruolo di segretario generale della Fim Cisl Lombardia nei primi anni 2000, gli anni dei non facili “accordi separati” per i rinnovi dei CCNL. Più recentemente negli anni della crisi e della grande recessione ho ricoperto il ruolo di segretario della Cisl Lombardia con delega alle tematiche del mercato del lavoro.
A poco più di un anno dalla “fotografia” OCSEL scattata per Mitbestimmung da parte di Stendardi e Munno, come si è modificato lo scenario della contrattazione di secondo livello in Italia ?
La contrattazione aziendale si sviluppa in sintonia con la congiuntura economica che ha visto l’attenuazione della fase recessiva unitamente a segnali di ripresa a “macchia di leopardo”. Fino al 2013 potrei dire che la contrattazione è stata mirata fondamentalmente alla gestione delle crisi aziendali, quindi un uso difensivo dello strumento negoziale. Oggi il tema più trattato è tornato a essere la retribuzione ma con modalità differenti rispetto alla situazione pre-crisi: le relazioni sindacali si sono fortemente evolute e focalizzate sulla produttività come indicatore del benessere di un’impresa e, di conseguenza, sulla misurazione dei risultati per il rilancio della componente salariale variabile. Ma non più nella logica del premio uguale per tutti, bensì nella personalizzazione dello stesso per fasce professionali; la forte incentivazione alle pratiche di welfare aziendale ha, peraltro, rafforzato l’attenzione del datore di lavoro sulla personalizzazione delle tutele per il lavoratore. Certo, dobbiamo tenere conto di una diffusione ancora parziale e disomogenea di queste pratiche, con il Meridione e le piccole imprese in generale a fare i conti con gli elevati costi di gestione delle piattaforme di welfare. In ottica partecipativa, guardiamo con attenzione alla crescente adesione delle imprese, oggi al 10% circa, alle pratiche di coinvolgimento dei lavoratori, mirate in particolare ad affrontare di comune accordo la trasformazione tecnologica in atto e l’integrazione della catena di produzione con i Clienti e i Fornitori. E’ una partecipazione che parte dal basso e che si fonda sulla formazione permanente di tutta la forza-lavoro, Management incluso, come fattore di vantaggio competitivo.
La sensazione, magari sbagliata, è che le pratiche partecipative inserite nella contrattazione siano una formalizzazione di modalità preesistenti, quindi poca innovazione e scarsa crescita culturale.
E’ indubbio che la defiscalizzazione abbia impresso una forte accelerazione alle pratiche partecipative dichiarate dalle aziende, ma se solo la metà di queste avesse colto l’opportunità di rafforzare o consolidare i processi organizzativi e decisionali in termini di informazione, consultazione e coinvolgimento dei propri dipendenti, potremmo dire che la strada imboccata è quella giusta. Sicuramente abbiamo bisogno di diffondere questi modelli virtuosi presso la grande audience delle PMI e noi come CISL stiamo esercitando forti pressioni sul Ministero affinchè le “best practices” siano messe a disposizione della comunità economica e delle parti sociali. La partecipazione strategica è un orizzonte che non vogliamo abbandonare, ma sappiamo che non possiamo limitarci a copiare modelli stranieri fondati su scelte legislative maturate dopo decenni di graduale sperimentazione.
Produttività, premi di risultato, flessibilità contrattuale: termini di grande attualità certamente più datoriali che sindacali.
Quando parlo con i colleghi stranieri, restano sempre stupiti dall’importanza che attribuiamo alla componente variabile della retribuzione, ma mi è facile rassicurarli spiegandogli che la parte fissa è sempre il punto di partenza di ogni piattaforma negoziale e la struttura premiale è un indicatore del coinvolgimento effettivo dei lavoratori nella gestione dell’impresa. La via partecipativa resta senza dubbio molto impegnativa, ma non vediamo una concreta alternativa in un mondo nel quale prevalgono gli obiettivi di breve-brevissimo periodo e, pertanto, l’informazione chiara, trasparente e tempestiva consente di tutelare l’occupazione e garantire sostenibilità economica alle aziende. Dobbiamo entrare nell’ottica, tutti ma noi sindacalisti in primis, della formazione permanente, perchè solo tornando sui banchi di scuola possiamo condividere i destini delle nostre imprese e partecipare quotidianamente alla loro crescita.