Forum “Partecipazione incisiva” – Intervista a Raffaele Delvecchio

Delvecchio

Ci parli di lei…

Ho studiato diritto del lavoro con G. Giugni, con il quale mi sono laureato nel 1971; ho fatto parte del Gruppo di studio C.N.R., da lui diretto,  sulle prassi aziendali, i cui risultati sono stati pubblicati da G. Veneto, ”Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro”, Il Mulino, 1974; sono stato borsista della Fondazione  G. Pastore, sotto la direzione di M. Romani e V. Saba. Dal 1975 al 2013 ho lavorato come sindacalista d’impresa presso Olivetti, Confindustria, Enel, Rai, Assotelecomunicazioni, Enel, Assoelettrica: ho riassunto gli esiti di una parte di questa esperienza in Delvecchio, “La contrattazione aziendale, esperienze in Olivetti 1975-1995”, Bruno Mondadori, 2008. Ho insegnato a contratto presso le Università di Firenze , Luiss e Roma 3, presso cui tuttora insegno Storia del lavoro e delle relazioni industriali.

Il suo punto di vista sulla democrazia in azienda? 

Punto di partenza o punto d’arrivo? Un precedente interlocutore ha fatto correttamente riferimento al significato concreto del termine tedesco stimme (voce); senza alcuna pretesa scientifica, conviene ricordare il significato astratto (stimmung/spirito): l’unione delle due parole porta a comprendere il significato del verbo stimmen (accordare, anche nel senso del lessico musicale, quello che probabilmente ha ispirato C.A. Ciampi nel conio di concertazione); si capisce così perché la contrattazione sia stata intesa come prima e compiuta forma di partecipazione.  La partecipazione, per me, non è causa ma effetto di una attitudine stabilizzatrice di entrambe le parti: in questo senso è un punto di arrivo. I tanti anni passati a discutere (dai tempi della proposta Morandi del 1946) spingono i favorevoli a chiedere di imboccarne la strada con maggiore incisività. Le obiezioni che sono state rivolte nel tempo sono riassumibili nel timore di “un’eutanasia delle tensioni classiste” (P.Craveri) e la percezione della borghesia produttiva a vedersi ridotta nel mero “esercizio delle sue capacità professionali” (G. Baglioni). Se teniamo in considerazione questi poli dialettici, e la progressiva maturazione delle parti sociali nella presa di coscienza di pervenire a modelli partecipativi  , e si vuole usare il forcipe della legge, dobbiamo innanzitutto capire come armonizzare contrattazione e partecipazione ed evitare di impostare le norme in termini di potere e contro- potere.

Quali strategie ritiene prioritarie nel contesto italiano e quali i vantaggi socio-economici di una maggior partecipazione dei lavoratori nella creazione e distribuzione meritocratica del valore aziendale?

Quel che ho detto nella seconda risposta riguarda anche la risposta concernente gli strumenti retributivi (volutamente al plurale) evocati nella domanda. Sono necessari più istituti, individuali e collettivi, correlati con la produttività e con la redditività (quindi in questo modo elenco almeno quattro tipi), che riflettono la relazione del lavoratore con i colleghi (il rapporto  verticale, capo/subordinato, è meno complicato e decisivo di quello orizzontale specialmente per le nuove leve). Prima distinguere e poi unire: è preferibile cioè, non disporre di un istituto retributivo onnicomprensivo, ma di considerare la retribuzione come un insieme di tanti spicchi, ciascuno con la propria funzione.

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