La partecipazione dei lavoratori costituisce da tempo un pilastro centrale in molti contesti esteri che ne hanno saputo fare un fattore strategico in ottica di competitività economica e inclusione sociale; contesti che si distinguono sullo scenario globale per relazioni industriali costruttive e finalizzazione comune verso l’interesse primario aziendale. Quali le potenzialità socio-economiche?
Numerosi studi hanno dimostrato che i sistemi economici d’impresa più efficienti sono quelli in cui sono maggiormente diffuse relazioni sindacali partecipative.
La contrattazione, oggi, senza la partecipazione, rischia di rimanere un’arma spuntata a disposizione di un sindacato costretto alla marginalità, perché la produttività dipende da variabili che non sono più esclusivamente il frutto (solo) del lavoro impiegato e perché è possibile distribuire e scambiare solo ciò che c’è e che si vede, non ciò che la finanza sottrae, attraverso i dividendi distribuiti agli azionisti o ciò che rimane intrappolato in scelte di bilancio assai spesso opache ed inaccessibili al sindacato.
Per questo la partecipazione, nelle sue diverse forme (partecipazione economica ai risultati dell’impresa, partecipazione finanziaria al capitale azionario, partecipazione strategica nei presidi di governo e controllo dell’organizzazione del lavoro) può contribuire ad allargare gli spazi di incisività del lavoro nella dimensione finanziaria dell’impresa e sulle variabili che determinano la produttività totale dei fattori.
Inoltre, in uno scenario di competitività crescente, la migliore correlazione fra il salario accessorio e gli incrementi di produttività contribuisce a rendere maggiormente sostenibile il costo del lavoro per l’impresa. Da questo punto di vista qualche segnale positivo c’è e riguarda le norme inserite nella legge di stabilità per il 2016 che aumentano il tetto del premio di risultato detassabile, nell’ipotesi in cui esso sia erogato dalla contrattazione collettiva integrativa, realizzata in imprese dove si pratica la partecipazione organizzativa.
Si tratta di un principio importante, che si basa sull’idea che più il salario contribuisce alla crescita della produttività e allo sviluppo del sistema economico delle imprese, più la collettività, deve riconoscergli benefici, mediante la fiscalità agevolata.
Quali gli elementi che ne hanno impedito il decollo in Italia?
Sul piano storico – sindacale i diritti di informazione e consultazione, la partecipazione alla governance e la partecipazione economica e finanziaria sono sempre rimasti confinati nell’alveo delle esperienze storiche e delle buone prassi realizzatesi nel territorio e nelle aziende, e non hanno costituito, invece, il prodotto di una strategia condivisa e di un insieme consolidato delle relazioni sindacali.
Si registrano ancora molte resistenze, sia nel campo imprenditoriale e sindacale, accompagnate da una disattenzione della politica, anche se la concezione europea delle “ buone pratiche” ed il metodo del “dialogo sociale” negli ultimi anni hanno consentito di superare antichi tabù e steccati ideologici.
Quali le prioritarie strategie a livello legislativo e di parti sociali, complementarmente ai temi della rappresentanza e della contrattazione, per una riforma sistemica delle relazioni industriali italiane?
L’accordo di CGIL, CISL, UIL, “Un moderno sistema di relazioni industriali”, del 14 gennaio 2016 assume la partecipazione come un “pilastro del nuovo sistema di relazioni sindacali”.
L’aver riconosciuto il contributo che essa può fornire “alla qualificazione organizzativa, professionale e salariale del lavoro nell’ambito della innovazione dei processi produttivi, alla qualificazione strategica, competitiva e socialmente responsabile della produzione” costituisce una novità di non poco conto, perché incanala il conflitto verso un sistema di regole ed una pratica fondata sul dialogo, e realizzata attraverso una costanza di relazioni e di accordi contrattuali.
Il secondo elemento innovativo è rappresentato dalla robusta comparsa, nel documento unitario, della partecipazione alla governance, privilegiando la partecipazione nel Consiglio di Sorveglianza, nelle imprese societarie che adottano il modello di gestione “duale”, ma senza rinunciare ad altre forme partecipative nelle funzioni amministrative o nei processi gestionali, in assenza di strutture duali di impresa.
Se si cambia il rapporto tra aziende e lavoratori, tra imprese e sindacati e da questo rapporto derivano benefici per l’intera collettività, anche il fattore istituzionale deve, però, entrare in gioco.
La CISL intende far maturare, nel contesto politico/parlamentare italiano, una maggiore consapevolezza dell’importanza che la partecipazione può avere nel rilancio economico del paese e al mantenimento della coesione sociale. Oltre che sul piano fiscale, tale prospettiva va incentivata e rafforzata, promuovendo l’adozione di una normativa di legge promozionale e di sostegno alla contrattazione, in grado di mettere a disposizione nelle aziende e nei territori tutti gli strumenti di partecipazione dei lavoratori.
Occorre riprendere il cammino interrotto nell’ormai lontano dicembre 2009, quando le parti sociali sottoscrissero l’avviso comune sulla partecipazione. Pur ritenendo che il potere legislativo non possa surrogare l’iniziativa e la competenza delle parti, la salvaguardia tipica della figura del lavoratore-azionista dovrà essere garantita da un adeguamento regolamentare che renda efficaci queste nuove forme di partecipazione e le inquadri in un processo di evoluzione strutturale dell’economia. L’accordo sulla riforma contrattuale può costituire la premessa per riprendere la discussione sul tema.