La sua intervista a Mitbestimmung risale a ottobre 2017, ci aggiorna sul suo percorso professionale e di studio in questi 4 anni?
I quattro anni trascorsi sono stati segnati, a livello generale, da non poche novità. Per l’Italia il 2017 era iniziato a ridosso dell’ennesima crisi di governo, una crisi determinata dal risultato del voto referendario del 4 dicembre 2016, voluto da Matteo Renzi. Non entro in questioni strettamente politiche. La bocciatura elettorale aveva comunque scongiurato l’abolizione del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), considerato da molti un inutile carrozzone, in realtà – a mio parere – espressione, per quanto parziale, del tentativo d’integrazione/rappresentanza sociale a livello costituzionale. A metà del 2017 era uscito, a mia cura, Intervista sul corporativismo (Eclettica Edizioni), libro/intervista finalizzato a ricostruire il pensiero di Gaetano Rasi sul corporativismo e sull’idea partecipativa, anche in funzione di un rilancio del Cnel.
Ho cercato di alimentare, a livello giornalistico, l’attenzione su questi temi, riscontrando – ecco l’elemento di novità – una curiosa attenzione da parte di giovani ricercatori, che autonomamente si erano avvicinati a queste tematiche e con cui ho intessuto un interessante dialogo. Un nome tra questi quello di Francesco Carlesi, autore, nel 2018, di La terza via italiana. Storia di un modello sociale (Castelvecchi), il quale, nel 2020, è stato tra i promotori dell’Ispa (Istituto Stato e Partecipazione) finalizzato ad elaborare studi sul tema della “terza via”, sulla mitbestimmung tedesca, sugli indirizzi partecipativi provenienti dall’Unione Europea. L’obiettivo una crescita culturale costante mirante ad attrarre a sé le migliori forze interessate ai temi sociali e a stimolare riflessioni del più ampio respiro possibile, in un ottica multidisciplinare e capace di ispirare le decisioni politiche locali e nazionali.
Come è nata l’idea di un libro “a tutto campo” sull’idea partecipativa?
Di fronte a questo “fervore” giovanile, mi è sembrato utile offrire una mappa generale, in grado di fissare le tante, diverse esperienze culturali e sociali sul tema. Da qui il mio saggio L’Idea partecipativa dalla A alla Z (Edizioni Pagine, 2020), un vero e proprio dizionario nel quale ho voluto rendere conto delle tante esperienze ed analisi realizzate sul tema, spaziando dalla Dottrina Sociale della Chiesa al socialismo gildista, dal sindacalismo rivoluzionario alla scuola corporativa, dalle diverse declinazioni della democrazia alla mitbestimmung.
Come si è evoluto in questi anni il suo punto di vista sui temi della partecipazione dei lavoratori?
Gli ultimi anni hanno evidenziato i limiti del sistema produttivo mondialista ed il fallimento di una democrazia sempre meno rappresentativa, espressione degli interessi di un liberalismo finalizzato alla privatizzazione degli utili e alla pubblicizzazione delle perdite. Crisi economica e crisi della rappresentanza politica, correlata al tramonto dei grandi partiti di massa, hanno reso palesi il senso più vero delle debolezze strutturali del mondo occidentale. E’ allora ad una democrazia vista come “partecipazione di un popolo al proprio destino” (Moeller van den Bruck), attivata e controllata da un’ampia e complessa trama di gruppi intermedi, di associazioni, di categorie produttive, di funzioni differenziate, di comunità, che credo si debba guardare e lavorare.
Attivando rotture con il passato, ridefinendo limiti, creando ex novo, ma anche recuperando all’attualità, alla riflessione e all’azione sociale quella critica certo non antidemocratica, ma neppure fideisticamente e formalisticamente democratica, in grado di sollecitare, su nuove basi, un rapporto originale con le tematiche della rappresentanza, del consenso e del controllo popolare.
Il resto è sempre più spesso puro chiacchiericcio, buono per animare un dibattito politico asfittico e lontano dai reali interessi della gente. Anche quelli di vedere finalmente rappresentata la propria volontà.
Uno sguardo al futuro: come rafforzare la cultura della partecipazione in italia?
Il futuro dobbiamo iniziare a pensarlo socialmente e culturalmente da oggi, a partire dalle nuove frontiere della rivoluzione tecnologica e dalle sue ricadute sul mondo del lavoro.
Come ha acutamente notato Yuval Noah Harari (21 Lezioni per il XXI Secolo, Bompiani, 2018) “le rivoluzioni nell’ambito delle tecnologie informatiche e biologiche sono portate avanti da ingegneri, imprenditori e scienziati che sono appena consapevoli delle implicazioni politiche delle loro decisioni, e che di certo non hanno nessuna delega”.
Rispetto alle debolezze strutturali di un sistema pensato e cresciuto nell’era dei motori a scoppio e delle catene di montaggio e fondato sull’idea del cittadino-elettore, sull’onda della nuova rivoluzione tecnologica appare allora urgente rimodellare procedure rappresentative, individuare nuovi processi d’integrazione sociale, ripensare i rapporti tra tecnica (competenze) e politica (decisione). Avendo al centro un’Idea ricostruttiva dell’uomo, del lavoro, della società.
“Non si tratta di distruggere le macchine, si tratta – per dirla con Georges Bernanos (Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, Rusconi 1972) – di rialzare l’uomo, cioè di restituirgli la fede nella libertà del suo spirito, assieme alla coscienza della sua dignità”.
Di fronte a questi principi non c’è algoritmo che tenga. La sfida è aperta, a partire proprio dal lavoro che cambia. Esserne consapevoli è già una buona strada per provare ad uscirne vincenti.
Quali i prossimi passi che suggerisce?
L’idea della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende si sta facendo strada, seppure in modo discontinuo. Qualche mese fa, Enrico Letta, nel corso del suo discorso di investitura ai vertici del Partito Democratico, ha parlato, tra l’altro, di “Economia della condivisione”, auspicando un coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende, attraverso la partecipazione azionaria. Qualche anno fa anche Walter Veltroni ne aveva fatto cenno con riferimento alla tradizione socialdemocratica europea, in particolare quella tedesca, dove la cogestione (Mitbestimmung) è una prassi consolidata. Senza risultati concreti però per l’Italia, laddove invece ben altri, oltre a quello storico della Germania, sono gli esempi che ci vengono da diversi Paesi europei, che lo hanno sperimentato attraverso forme incentivanti, sul piano fiscale, per le aziende. L’auspicio del neo segretario del Pd non va però lasciato cadere, insieme alla “rivalutazione dei corpi intermedi” e al “dialogo sociale” – a cui ha fatto cenno Letta – ulteriori fattori partecipativi da tenere in evidenza. A patto di farne il centro di una battaglia politica e sociale ampia ed inclusiva, come merita il tema, trasformando l’auspicio in concreta azione legislativa.
Sia la Cisl che l’Ugl hanno battuto un colpo e ne va preso atto. In una fase di transizione come l’attuale, tra rivoluzione tecnologica e nuovi assetti geopolitici, riscrivere i termini di un nuovo patto tra capitale e lavoro, facendo sintesi nel nome di obiettivi comuni, è comunque una necessità.
Ad oggi siamo purtroppo ancora alle idee di massima, alle visioni d’assieme, mentre è assente la volontà politico-sindacale di dare forma compiuta alle generiche aperture sul tema. A questo punto occorre che qualcuno le traduca in atti concreti, magari attraverso un protocollo d’intesa, una sorta di “Patto per la partecipazione”, che fissi un vero e proprio “piano strategico e d’azione” sul tema.
Il momento è propizio. Nel rimescolamento degli schieramenti e nel trasversalismo delle opzioni programmatiche, la cogestione può diventare un interessante banco di prova, al di là della destra e della sinistra. Basta crederci ed impegnarsi di conseguenza. A chi – da anni – come Mitbestimmung – è impegnato su questi crinali, con una costante opera di informazione/dibattito, il compito di incalzare il mondo della politica e delle categorie per trasformare gli auspici in impegni concreti ed in azioni sociali.