Giornalista, scrittore, un lungo itinerario che dalla destra tradizionale, attraverso la Nuova Destra “alla francese”, mi ha portato a riconsiderare le tematiche partecipative alla luce dell’attualità socio-economica. In mezzo tanti libri, tantissimi articoli, conferenze e dibattiti, qualche esperienza istituzionale all’interno di enti culturali, ultimo, in ordine di tempo, il Consiglio Direttivo del Palazzo Ducale di Genova. Insomma una vita intellettualmente impegnata da “gramsciano di destra” – come mi piace definirmi.
Veniamo alla sua più recente esperienza editoriale. Nel suo ultimo saggio “Intervista sul corporativismo” (Eclettica Edizioni) lei evidenzia il passaggio dell’uomo moderno dalla condizione di lavoratore-dipendente allo status di produttore, mentre l’economia corporativa diviene produttiva….
Il neocorporativismo a cui mi ispiro si fonda su un’economia sociale di mercato coniugata con un ridotto interventismo pubblico, certamente meno invasivo rispetto al passato.
Il sistema di riferimento è quello partecipativo a tutti i livelli, azienda, territorio, stato; un’economia sociale di mercato nella quale la progettualità è prevalentemente di sistema e i lavoratori tutti sono partecipi dei risultati aziendali.
Un sistema partecipativo funziona al meglio solo se vengono pianificati momenti formali di condivisione tra gli attori economici mirati a programmare, modificare e, se necessario, a ripensare il sistema stesso.
Condizione necessaria perché questo si realizzi è una visione strategica di medio-lungo periodo e la valorizzazione delle competenze individuali per selezionare coloro che rappresentano le parti sociali.
Gennaio 2016 la svolta, ora a che punto siamo con la partecipazione dei lavoratori all’impresa in Italia ?
Molto francamente mi sembra che alle buone intenzioni delle parti sociali sia seguito poco. Anche i sindacati più orientati alla pratica partecipativa si sono limitati alle dichiarazioni senza farsi effettivi promotori di una strategia innovativa.
E’ chiaro che la conflittualità datori-lavoratori degli anni 70 sia ampiamente superata dalle logiche globali, le quali richiedono interventi straordinari di riequilibrio sociale; il paradosso è che la partecipazione, strumento potente e idoneo a questi fini, non venga effettivamente utilizzato.
E’ possibile rafforzare la cultura della partecipazione in Italia ?
Il nuovo trasversalismo è l’invito posto alla fine della mia premessa all’ “Intervista sul corporativismo”. Negli ultimi anni abbiamo letto di forti richiami positivi nei confronti della partecipazione da parte di esponenti politici di orientamenti contrapposti, di rappresentanti sindacali che hanno violato il divieto a menzionarla, della Chiesa, che dalla fine degli anni Sessanta, con padre Sorge si è battuta contro l’integralismo e il corporativismo d’antan di alcuni movimenti cattolici, a favore di una presenza diretta nel tessuto sociale, mentre oggi Papa Francesco rilancia e attualizza questa visione citando espressamente la partecipazione quale principio fondante della Dottrina Sociale.
Quindi, sì, è possibile rafforzare la cultura della partecipazione in Italia, a condizione che gli opposti dialoghino e condividano il tema in ottica trasversale.
In questo contesto, quale ruolo devono svolgere le organizzazioni sindacali e datoriali ?
L’impresa e il lavoratore sono rappresentati in modo eterogeneo, comunque ancora restii a inserire la partecipazione dei lavoratori quale priorità in agenda; c’è bisogno di uno scatto d’orgoglio e di aprire la mente alle esperienze di altri paesi al fine di trovare la via italiana alla partecipazione, peraltro tratteggiata nella Costituzione.
Forte e trasversale è la carenza di visione strategica in tutti i partiti politici italiani, privi della capacità di dare visione e prospettiva all’elettorato e concentrati a dare risposte estemporanee a problemi strutturali. La stessa destra politica è assente sul tema della pratica partecipativa: peccato, potrebbe essere un tema vincente per una campagna elettorale.
Quale potrebbe essere il prossimo passo in questa direzione ?
Nessuna piaggeria, ma il vostro osservatorio è già un ottimo strumento informativo e di condivisione che evidenzia quanto da me prima esposto. E’ necessario provocare dibattiti, far sedere gli opposti ad uno stesso tavolo, perché la democrazia rappresentativa è in affanno e tentare una risposta partecipativa è un’opzione. Gli Stati Generali della partecipazione in Italia ? Perché no ? Pensateci, pensiamoci …