La partecipazione dei lavoratori costituisce da tempo un pilastro centrale in molti contesti esteri (in particolare dell’area renano-scandinava) che ne hanno saputo fare un fattore strategico in ottica di competitività economica e inclusione sociale; contesti che si distinguono sullo scenario globale per relazioni industriali costruttive e finalizzazione comune verso l’interesse primario aziendale. Quali le potenzialità socio-economiche?
Le potenzialità socio economiche sono rilevanti e rappresentano una vera sfida per le associazioni datoriali e alcune organizzazioni sindacali italiane che, molto più di quanto non si riesca ad immaginare, hanno fondato sulla conflittualità o comunque sulle divisioni tra lavoro e impresa la loro rappresentanza, le politiche sindacali, costruendo attraverso la conflittualità un ruolo e un peso politico nei confronti delle istituzioni.
Almeno fino a qualche governo fa, oggi tutto è cambiato e quella cinghia di trasmissione tra sindacato e politica si sta sfilacciando. Con la partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati delle imprese – il modello per cui si batte da oltre 65 anni l’Ugl, che ha ereditato la tradizione della Cisnal – avremmo in Italia una rapida attenuazione della conflittualità tra lavoro e aziende e un altrettanto rapido ‘decentramento’ delle responsabilità e della rappresentanza all’interno di tutte le organizzazioni sindacali e delle associazioni datoriali. Da un punto di vista squisitamente economico, la condivisione delle responsabilità, delle scelte e dei risultati tra lavoro e impresa porterebbe a grandi risultati sia nelle singole aziende sia nell’intero sistema, attraverso un vero e proprio circolo virtuoso. Ciò di cui abbiamo più bisogno in tempo di crisi. Agli scettici possiamo rispondere di guardare proprio all’area renana-scandinava per comprendere le potenzialità per l’economia e per la società della partecipazione dei lavoratori. Per tutte queste ragioni ho scelto come slogan del 1° maggio di quest’anno “Italia, Lavoro, Partecipazione”.
Quali gli elementi che ne hanno impedito il decollo in Italia?
Gli ostacoli sono sempre stati, e credo siano ancora, di ordine politico e ideologico. La partecipazione, sancita nell’articolo 46 della Costituzione, come molti sanno, ha scontato per decenni il fatto di trovarsi nel solco del riformismo socialista, di alcuni ambienti liberali, della componente nazionale e sociale della destra, senza dimenticare l’importante contributo svolto dalla dottrina sociale della Chiesa. Pensiamo ad esempio alle encicliche sociali di Leone XIII, Pio XI, Giovanni XXIII e quelle dei pontefici più recenti Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Da qui la scarsa attenzione da parte di alcune organizzazioni sindacali verso la partecipazione che oggi, sebbene più apprezzata, sembra essere accettata in chiave europea ovvero come diritto del lavoratore ad essere informato. Per noi non basta, è fondamentale la condivisione delle scelte e degli utili per avviare quel circolo virtuoso aziendale e “di sistema” di cui parlavo prima. Da non dimenticare il ruolo più determinante, quello delle imprese, nell’ostacolare la realizzazione di un principio di rango costituzionale. Temevano e temono ancora di perdere potere decisionale, di non poter avere la totale ‘padronanza’ delle aziende. Come associazioni temono di perdere rappresentanza e rappresentatività. Non riconoscono infatti il beneficio della condivisione che ovviamente lega tutti i lavoratori e tutti i rappresentanti dei lavoratori al conseguimento di un obiettivo e al benessere dell’azienda stessa.
Quali le prioritarie strategie a livello legislativo e di parti sociali, complementarmente ai temi della rappresentanza e della contrattazione, per una riforma sistemica delle relazioni industriali italiane?
Vorrei ricordare il contributo che la Cisnal-Ugl ha dato a livello legislativo alla partecipazione dei lavoratori. Dal 1955, con il suo fondatore, presidente e segretario generale Gianni Roberti, fino al 2013, con la delega al governo presentata dall’ex segretario generale dell’Ugl e oggi On. Renata Polverin (FI), vice presidente della Commissione Lavoro alla Camera, la Cisnal-Ugl ha contribuito a circa 23 proposte di legge a cui ha dato vita o direttamente, attraverso suoi rappresentanti impegnati in politica, o indirettamente. Dal punto di vista legislativo gli strumenti ci sono, basterebbe un governo volenteroso per esercitare una delega. Visto che l’iniziativa per cancellare l’articolo 18 è stata tempestiva, bisognerebbe chiedersi perché da una parte si esalta il modello tedesco e dall’altra non lo si segue o lo si vorrebbe emulare solo nelle sue declinazioni più aberranti, come i mini job. Ciò detto, vedo nella spinta da parte delle imprese e del governo verso la contrattazione decentrata un’occasione pragmatica, concreta per dare vita ad un modello partecipativo. Penso anche ad un “contratto di comunità” che ha come cardine proprio la partecipazione dei lavoratori. L’aspetto ‘comunitario’ di questo modello contrattuale di secondo livello sta proprio nella condivisione tra lavoro, impresa e territorio di una scommessa produttiva, piccola o grande che sia, con risvolti quindi non semplicemente economici ma anche sociali.