Il decreto legislativo n.6 del 17 gennaio 2003 introduce, all’interno di una più ampia riforma del diritto societario, la possibilità per le società per azioni di adottare altri due modelli di governance alternativi rispetto al tradizionale: il monistico e il dualistico, ma senza traccia di codeterminazione.
Considera auspicabile, soprattutto nel contesto italiano caratterizzato da un elevato potenziale conflitto di interessi nei gruppi piramidali, un graduale percorso di lungo periodo che arrivi a inserire strategici elementi di compartecipazione, quali ad esempio la nomina e la revoca degli amministratori, indipendentemente dal sistema di governance adottato dall’impresa?
E’ sicuramente la direzione da seguire nel lungo periodo, partendo dalla formazione alla cooperazione e smantellando le logiche conflittuali tra i vari stakeholders. Bisogna investire da subito sull’istruzione e la formazione alla logica cooperativa, che ha dato prova della propria sostenibilità intergenerazionale nelle realtà renano-scandinave.
Il contesto di relazioni industriali italiane risulta caratterizzato da una maggiore conflittualità tra capitale e lavoro rispetto all’area renano-scandinava. Un maggior ruolo del confronto diretto a livello aziendale potrebbe avere un effetto di graduale smantellamento delle logiche conflittuali?
Per un passaggio da una logica della gestione dei conflitti a una cooperativa è fondamentale l’evoluzione del finalismo aziendale: se mantengo l’esclusiva ricerca della massimizzazione del valore per l’azionista, non posso che alimentare conflitti e avere una governance che sta lì a cercare di gestire quei conflitti.
Se viene posto al centro del confronto l’interesse dell’azienda, la trasparenza informativa e la condivisione possono svolgere un ruolo importante nella creazione della cultura aziendale e aprire la strada alla codeterminazione, un percorso verso l’azienda bene comune, comunità.
Creare un sistema di contrattazione in cui il contratto nazionale di settore fissi il quadro legale nel rispetto del quale la contrattazione aziendale trovi soluzioni adeguate allo specifico contesto aziendale può formare, ove necessario, la cultura imprenditoriale e delle risorse umane alla logica cooperativa?
Ogni azienda è diversa dal punto di vista della governance e degli assetti proprietari; il poter adattare un sistema legale alla fattispecie concreta è un punto di forza, prevenendo l’applicazione standardizzata non sempre adeguata alla realtà aziendale. Avere un quadro legale da rispettare e trovare soluzioni adeguate alla finalizzazione verso l’interesse aziendale condiviso.
Creata una cultura aziendale fondata su tale finalizzazione, non restano che da disciplinare quei conflitti di interesse che definisco residuali, veicolati da soggetti devianti dalla logica diffusa e predominante in azienda.
Anche in Italia alcune imprese hanno volontariamente intrapreso un percorso di istituzionalizzazione della partecipazione dei lavoratori, non solo limitatamente alla distribuzione del valore (sistemi di partecipazione ai risultati aziendali, azionariato), ma anche nella fase di creazione dello stesso. Ne danno testimonianza i primi Contratti Integrativi di Partecipazione Aziendale, finalizzati al miglioramento sia nella competitività che nell’inclusività sociale con procedure e commissioni di stabile confronto impresa/lavoratori in area organizzativa e remunerativa.
Ritiene opportune proposte legislative in ambito di tassazione e semplificazione degli iter di stipula che ne favoriscano il consolidamento e la diffusione?
Certamente. Le aziende che già hanno stipulato tali Contratti hanno visto anche una convenienza economica, oltre a quella che potrebbe essere una motivazione intrinseca; evidentemente hanno compreso che il miglior modo di condurre il business nel lungo periodo è arrivare a questa cooperazione con i lavoratori.
E’ un processo che va nella direzione della creazione di valore sostenibile; creazione che prevede l’inclusione dei lavoratori e di tutte le categorie di stakeholders. Un approccio multistakeholder da saper gestire nel senso di aver la capacità di giungere a una sintesi in termini di finalizzazione verso l’interesse aziendale primario di sopravvivenza e sviluppo.
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