Impresa e crescita inclusiva: il ruolo dell’impresa nel creare lavoro di qualità.

Il convegno della Fondazione Feltrinelli “Il lavoro conta?“, Milano, 13 Giugno 2018.

Coordinatore: Federico Butera (Fondazione IRSO)

Rapporteur: Niccolò Comiero (LIUC Business School)

Partecipanti al tavolo:

Raffaele Secchi (LIUC Business School), Alberto Gherardini (Università degli Studi di Firenze), Francesco Seghezzi (Adapt), Luciano Pero (Politecnico di Milano), Simone Pulcher (Università di Milano), Francesco Paolo Reale (Fondazione Adecco per le Pari Opportunità), Marco Tognetti (LAMA), Antonio Verona (CGIL), Giuseppe Aiello (Talent Garden), Stefano Arduini (Direttore Vita). Luca Natali (Fisac CGIl).

Abstract

Rielaborando i dati Credit Suisse relativi al 2016, Oxfam ha recentemente attestato come 8 persone possiedano da sole la medesima ricchezza della metà più povera del pianeta; o ancora, l’1% della popolazione ha accumulato una ricchezza superiore a quella del restante 99%. Anziché ridursi, questa forbice tende sempre più a crescere, soprattutto nei paesi occidentali; in Italia, ad esempio, la metà più povera della popolazione era in possesso di appena il 7,3% della ricchezza nazionale netta. È solo promuovendo una crescita più inclusiva che si potrà ridurre tale disparità di reddito, favorendo una maggiore inclusione sociale.

Il lavoro viene generato dalle imprese, dalle pubbliche amministrazioni, dal non profit, dalle professioni autonome. Può l’impresa assicurare ad un numero crescente di persone lavori la cui qualificazione e i cui salari siano in grado di assicurare non solo un lavoro degno e una buona qualità della vita ma una riduzione progressiva di tale disparità? Oppure nelle imprese il lavoro verrà progressivamente sostituito dalle tecnologie e parte di quello che rimane verrà ridotto a lavoro precario e mal pagato e a gig jobs?

All’interno di questo scenario, qualcuno indica l’impresa, nelle sue dimensioni più ampie, come una potenziale nemica, distruttrice del lavoro umano? Altri pensano invece che attraverso un’opportuna riprogettazione delle dimensioni di tecnologia, organizzazione e lavoro nella quarta rivoluzione industriale in atto, l’impresa può essere generatrice di un numero non decrescente di lavori decenti ed essere un attore positivo di un processo di professionalizzazione di tutti, aumentando la produttività, la qualità della vita, e la cittadinanza?

È da questi brevi, ma decisamente non semplici, interrogativi che si è intrapresa una profonda discussione, con la duplice finalità di individuare dapprima una serie di questioni chiave su cui concentrarsi, per poter poi giungere a delle proposte di azione concrete da rivolgere a chi è attivamente impegnato in azioni di policy making.

Sintesi questioni chiave

  • È possibile e necessaria la riqualificazione dei lavori tradizionali. Si manifesta la necessità da parte delle imprese di riconvertire le competenze di tutti quei lavoratori che sono oggi considerati “obsoleti”. L’integrazione di tali competenze “emergenti” con le competenze pregresse accumulate potrà portare a un aumento della qualità del lavoro stesso.
  • È possibile e necessaria una rivisitazione generalizzata dell’idea di cultura aziendale e di responsabilità sociale. Le aziende devono cambiare approccio con i dipendenti e agire in senso più ampio, rinnovando la propria cultura aziendale, ponendo maggiore attenzione a quelli che sono gli obiettivi da perseguire. All’interno di tali obiettivi, è ormai opportuno inserire stabilmente anche dimensioni sociali misurabili e quantificabili. La mancanza di tale trasformazione culturale renderà difficile apportare le innovazioni necessarie al mondo del lavoro.
  • È necessario e possibile generare consenso e condivisione. È obiettivo istituzionale delle imprese la massimizzazione del profitto. Per far ciò le imprese si impegnano a perseguire e amplificare il consenso tra i clienti, in quanto destinatari ultimi dell’attività d’impresa. Ma le aziende hanno bisogno di un più ampio “consenso sociale”, che includano anche ai lavoratori dell’impresa stessa, in quanto generatori di valore.
  • Una gestione in maniera differenziata delle diverse popolazioni lavorative e delle differenti tipologie aziendali. Molto spesso si parla della minaccia che l’avvento delle nuove tecnologie sta avendo o avrà nel prossimo futuro, sul mondo del lavoro. Storicamente, sebbene nel breve periodo l’innovazione tecnologica abbia portato disagi ad alcune categorie di lavoratori, nel medio/lungo periodo ciò ha sempre aumentato il benessere collettivo. Questo non è certo nella quarta rivoluzione industriale a causa della natura pervasiva delle tecnologie e della inedita velocità delle trasformazioni. Inoltre, il mondo del lavoro non è certamente un’entità omogenea, ma anzi è quanto di più eterogeneo possa esistere: il cambiamento impatta in modo diverso sulle diverse categorie di lavoratori, sui diversi livelli di formazione, sui giovani e sugli adulti prossimi alla pensione. La gestione differenziata della transizione è la vera sfida.

Identificazione della principale questione chiave identificata dal tavolo

È fuorviante distinguere tra «imprese cattive» e «imprese buone»: il problema sono le imprese «non capaci» di cogliere le sfide e le opportunità presenti e future e di progettare in maniera integrata tecnologie, organizzazione e lavoro. Chi dimostra la capacità imprenditoriale di combinare tecnologia, organizzazione e lavoro riesce, e riuscirà in futuro, a fronteggiare i fenomeni evolutivi, traendone beneficio. Al contrario il management che è privo di questa capacità, danneggia l’impresa, i lavoratori e l’economia.

Identificazione della proposta di azione da rivolgere a chi è impegnato in un’azione di policy making e a un impegno di governo

Proposta: Una progettazione partecipata dell’innovazione integrata di tecnologia, organizzazione e lavoro, articolata nei punti di cui seguito:

  • Guardare alle tecnologie, all’organizzazione e al lavoro come dimensioni da sviluppare e integrare insieme, assicurando la massima cura nel progettarle e svilupparle al massimo livello di eccellenza e di adeguatezza agli obbiettivi di sviluppo dell’impresa, della sostenibilità, della qualità della vita di lavoro.
  • Job design: progettare identità, ruoli, mestieri, professioni, competenze, modalità di cooperazione, in modo da aumentare la produttività e l’innovazione, assicurare un adeguata qualità della vita di lavoro, assicurare la sostenibilità. Da questa necessaria rifondazione della natura del lavoro indotta dalle nuove tecnologie e dalle nuove forme di organizzazione, emerge anche la necessità di ripensare il sistema delle qualifiche lavorative, oggi basato su un sistema di inquadramento vecchio di almeno 40 anni.
  • Aumento della «capacità assorbitiva»: occorre potenziare la capacità di interagire in maniera positiva fra imprese, istituzioni formative e di ricerca e sviluppo. Si assiste spesso a una mancanza, da parte del tessuto imprenditoriale e/o della classe dirigente, di progettazione con un’ottica di medio/lungo periodo.
  • Dialogo. Occorre attivare luoghi di dialogo sociale.
  • «Partecipazione progettuale»: modalità concordata tra azienda, istituzioni, sindacati e persone per promuovere e governare i progetti di innovazione e sviluppare le forme di partecipazione diretta dei lavoratori.
  • Identificare percorsi nuovi per nuovi equilibri tra tempo di lavoro e tempo di vita. Se è vero che le nuove tecnologie porteranno a una minor necessità di lavoro “umano”, ciò non va visto esclusivamente con un’accezione negativa. Ciò potrebbe suggerire una riduzione dell’orario lavorativo medio, promuovendo il miglioramento della qualità della vita nel tempo liberato: salute, socialità, cultura, civismo. Sono gli stessi lavoratori a dichiarare soventemente di voler lavorare qualche ora di meno per avere più tempo a disposizione per loro stessi.
  • Guardare ai bisogni nuovi, che generano nuovi prodotti e servizi, ma anche nuove forme di organizzazioni e nuovi lavori. Storicamente, si è assistito a un cambio continuo dei bisogni: per cercare soluzioni nuove sia a livello lavorativo che a livello organizzativo occorre guardare ai nuovi bisogni emergenti.
  • Potenziamento della formazione continua e dei saperi. Occorre un aumento di attività formative e di metodologie di apprendimento, supportando processi di “re-skilling” e “lifelong learning”.

(A. Zucca, www.irso.it)

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