Sempre più labile il confine tra lavoratori e datori di lavoro. Mai come ora, infatti, è stata sentita l’esigenza da parte dei lavoratori di essere parte integrante dell’azienda per cui lavorano. E se questo vuol dire scommettere anche parte dei propri guadagni, ben venga. Una ricerca condotta dall’Economist mostra, infatti, come ben 32 milioni di lavoratori americani negli ultimi anni abbiano deciso di partecipare all’economia dell’azienda.
Chi investendo una parte della propria pensione, chi acquisendo quote che gli danno il diritto di partecipare in parte agli utili, chi ancora ha scelto la strada della compartecipazione. Un panorama vario che si appresta ad essere uno dei temi per la campagna elettorale di Hilary Clinton. La candidata, infatti, ha più volte parlato della necessità di instaurare un tavolo di discussione ad hoc sul tema. I vantaggi legati ad iniziative di questo tipo, inoltre, vanno riscontrati anche a livello di rendimento. Lo studio condotto, infatti, mostra come un numero significativo di lavoratori che aderiscono ad opzioni di questo tipo sono più produttivi ed innovativi e hanno, inoltre, meno problemi per quanto riguarda la gestione dei turni di lavoro. Non è tutto ora, però, quello che luccica. Investire nella proprietà di un’attività, infatti, ha anche dei lati negativi. Uno su tutti è il rischio che i lavoratori concentrino tutti i loro sforzi su un’attività che rischia, in un secondo momento, di non essere più redditizia. A rischio, quindi, non solo il posto di lavoro ma anche il loro futuro pensionistico. Il secondo problema, poi, è rappresentato da quello che potrebbe essere definito radicamento nell’azienda. I sostenitori della proprietà dell’azienda in capo ai lavoratori sostengono che una scelta di questo tipo aiuta il rendimento aziendale nel lungo periodo, mentre per i detrattori della tesi sostengono che il radicamento e quindi il minor turnover possa ridurre potenzialmente la competitività dell’azienda che si cullerebbe nello status raggiunto. Infine, il terzo rischio è legato ai diritti acquisiti. La più forte tesi a favore dell’aumento di quote di proprietà da parte dei lavoratori sostiene, infatti, questi soggetti saranno i primi a lavorare duramente e ad avere un rendimento migliore. Allo stesso modo, però, chi non è coinvolto potrebbe applicarsi di meno.
(B. Migliorini, www.italiaoggi.it, 26.08.2015)