Il recente commento di Mario Bozzi Sentieri apparso su Destra.it e Barbadillo sulla partecipazione dei lavoratori alle imprese riaccende i riflettori su uno dei temi chiave per il futuro del nostro paese nonché di tutta l’Europa. Chi scrive pensa sia arrivata l’ora per le forze patriottiche e «sovraniste» di fare un salto di qualità e smarcarsi da tentazioni liberiste, «forziste» o meramente assistenzialiste e impostare politiche rivoluzionarie sui temi sociali.
Riprendere in mano le «chiavi di casa», ammesso che qualcuno sia in grado di farlo, sarà inutile se non si sapranno impostare politiche industriali di lungo periodo, piani infrastrutturali mirati e importanti, sinergie innovative tra pubblico e privato illuminate da una nuova etica incentrata sulla Responsabilità. In questo senso le parole di Bozzi Sentieri riprendono il filo di una nobile storia: democrazia economica e partecipazione consapevole dei lavoratori agli utili e alla gestione delle imprese, per «costruire» cittadini che non siano solamente meri atomi chiamati a votare ogni cinque anni su temi spesso troppo grandi per loro e inquinati dalla propaganda mediatica. Per non fare più del lavoro una «merce».
Il patrimonio culturale italiano in questo senso è una inesauribile fonte di ispirazione, che sarebbe opportuno riprendere e attualizzare senza sterili nostalgismi. Mazzini fu uno dei primi apostoli della collaborazione di classe e della spiritualità applicata alla politica e all’economia, seguito nella prima metà del ‘900 da nomi illustri come Marinetti con la Democrazia futurista e D’Annunzio e De Ambris con La Carta del Carnaro. Nel mondo cattolico si sviluppò un filone estremamente interessante che dalla fine dell’800 arrivò fino ai “corporativisti” Fanfani e Vito, passando per l’enciclica Quadrigesimo Anno del 1931, dove si parla di «operai cointeressati o nella proprietà o nella amministrazione, o compartecipi in certa misura agli utili ricavati». Il nazionalista Filippo Carli lanciò L’Idea partecipativa, anticipando il fermento della «terza via» tra le due guerre. Nella rivista «L’Economia Italiana» del ’33, ad esempio, si poteva leggere: «Non è ammissibile che problemi come quelli del macchinismo, della razionalizzazione, del riordinamento e dello sviluppo tecnico delle aziende debbano interessare solo i datori di lavoro e non le organizzazioni operaie (…); ciò per le conseguenze economiche, sociali e politiche sulla disoccupazione, per le inevitabili variazioni dell’incisione dei salari sui prezzi di costo, per la preparazione di nuove maestranze tecniche idonee alle nuovissime necessità. È evidente pure che ogni benefizio ottenuto dai nuovi perfezionamenti tecnici, dai nuovi razionali investimenti del risparmio debbano andare equamente ripartiti fra tutti i fattori della produzione». Temi che ci ricollegano alle sfide attuali dell’innovazione e della formazione continua dei lavoratori. Tra luci, ombre e difficoltà, queste pulsioni gettarono le basi per la socializzazione delle imprese del ’44 durante la Rsi. Nel dopoguerra, il passaggio socializzatore costituirà la stella polare non solo di ampi settori dell’Msi e della Cisnal, ma anche un pezzo importante della Costituzione «nata dalla Resistenza». Gli articoli sociali sono lì a ricordarcelo tutti i giorni, in particolare il 46 sul «diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Armi che potrebbero essere oggi più utili che mai per fronteggiare la deindustrializzazione e la finanziarizzazione dell’economia che stanno ponendo una seria ipoteca sul destino del nostro popolo, ampiamente previste da Giano Accame nel profetico La Destra Sociale. Inoltre, gli aspetti sociali della carta costituzionale potrebbero costituire gli anelli di congiunzione tra coloro i quali vogliono superare il neoliberismo al di là delle divisioni e delle appartenenze ideologiche.
Davanti alle incognite dell’«industria 4.0», degli squilibri sociali e del precariato sarebbe ora che un ampio fronte, che coinvolgesse l’effervescente mondo dei giornali, della case editrici e delle riviste fino agli elementi politici più accorti della cosiddetta «destra» si battesse per questa sfida di civiltà. Anche per il sindacato il tema è a dir poco centrale, in particolare per l’Ugl, da sempre portabandiera di un modello sociale alternativo al liberismo e alla lotta di classe. Questa sigla d’altronde appoggiò Lavoro è partecipazione, un puntuale manifesto di azione sindacale firmato dallo stesso Bozzi Sentieri ed Ettore Rivabella nel 2012. Programmazione e partecipazione costituirebbero «non espedienti efficientistici per una maggiore produttività, ma strumenti concreti di elevazione e di liberazione. In altre parole, per dirla con il poeta, per realizzare finalmente, per tutti, la trasformazione del lavoro in “fatica senza fatica”», scrisse Gaetano Rasi. Apriamo il dibattito per fare del lavoro il soggetto dell’economia e lanciare un nuovo modello di comunità.