Non tutto va bene, madama la marchesa. Mentre iniziano i lavori preparatori per il rinnovo del contratto nazionale del chimico-farmaceutico e la nuova legge di Stabilità è in fase di approvazione, i sindacati del settore farmaceutico riconoscono il buono stato di salute del settore. Ma sottolineano anche la presenza di aspetti problematici che vanno risolti quanto prima.
A cominciare dalla crisi occupazionale di alcune figure professionali come gli informatori scientifici (50% in meno negli ultimi dieci anni) e dalla necessità di investire di più e meglio sulla formazione degli occupati per non farsi spiazzare dalla disruption della quarta rivoluzione industriale. Il punto di vista, con le naturali differenze di priorità e di sensibilità, è di due esponenti delle sigle più rappresentative del comparto: Sergio Cardinali, del dipartimento chimico farmaceutico nazionale di Filctem-Cgil, e Gianluca Bianco, segretario nazionale Femca-Cisl.
Il patto per innovazione e occupabilità siglato da Farmindustria, Federchimica e i sindacati del settore farmaceutico chimico
L’occasione per riflettere su luci e ombre del settore arriva dal patto per promuovere innovazione, produttività, occupabilità e responsabilità sociale sottoscritto a ottobre da Farmindustria, Federchimica, Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil. L’accordo è stato stipulato in vista dell’apertura delle trattative per i rinnovi del ccnl, che scatteranno, secondo le previsioni, nell’estate del 2018. Sia le associazioni di categoria che i sindacati del settore farmaceutico confermano la piena disponibilità al dialogo e al confronto. D’altronde, nel settore, le relazioni industriali sono state sempre contraddistinte da una bassa conflittualità e da un clima di collaborazione reciproca.
Scaccabarozzi (Farmindustria): “Risorse umane fattore di attrattività, vogliamo investire”
“La qualità delle risorse umane è il primo fattore di attrattività del nostro Paese – ha detto Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria commentando il patto – ed è quindi fondamentale per la crescita. Per questo vogliamo continuare a investire, in un confronto costante e propositivo con le parti sociali – per rilanciare la nostra capacità di contribuire ancora di più alla ripresa economica dell’Italia. Occupazione qualificata, e per buona parte ‘rosa’, produzione, export, investimenti in r&s e in fabbriche sul territorio, welfare: tutti punti di forza di un’industria che è un fiore all’occhiello del Paese. E vuole continuare a esserlo facendo leva su innovazione e internazionalizzazione”.
I punti di forza del settore
I punti di forza dell’industria farmaceutica messi in evidenza da Scaccabarozzi sono confermati dai numeri presentati nel giugno scorso da Farmindustria. La produzione, nel 2016, è aumentata del 2,3% arrivando a 30 miliardi. L’export, che rappresenta il 71% del settore, è pari a 21 miliardi e, dal 2010, ha fatto registrare un incremento del 52%. Il numero di occupati è cresciuto di circa seimila unità raggiungendo quota 64 mila. Se si considera anche l’indotto, gli addetti complessivi del settore sono 228 mila. Gli investimenti nel 2016 sono stati 2,7 miliardi, con un’impennata del 20% in tre anni.
I dati della “ripresina” italiana
Allo stesso tempo, da tutta l’economia del Paese arrivano segnali incoraggianti. Ad agosto 2017, in base ai più recenti dati Istat disponibili, si è registrato un aumento degli occupati di 36 mila persone rispetto a luglio e di 375 mila rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Il tasso di occupazione è salito al 58,2% (+1% rispetto all’agosto 2016) e la disoccupazione è scesa all’11,2%. La produzione industriale, trainata proprio dal farmaceutico, ad agosto è andata su del 5,7% E a conferma dell’evoluzione delle relazioni industriali, non solo nel pharma, si può notare che il numero dei contratti di secondo livello – aziendali e territoriali – depositati è arrivato a 25.658 (dati ministero del Lavoro – settembre 2017).
Le possibili misure della prossima legge di Stabilità
Sul fronte delle decisioni, la manovra 2018 varata dal governo, in attesa dell’esame del Parlamento, tende alla riconferma delle misure che più sembrano aver contribuito alla “ripresina” degli ultimi mesi. Per l’occupazione, per esempio, l’intervento di punta è lo sgravio contributivo per tre anni al 50% per le assunzioni a tutele crescenti fino a 29 anni, con limite a tremila euro. L’agevolazione sarebbe del 100% per assunzioni nelle regioni del sud e, a prescindere dell’età, per ragazzi provenienti da apprendistato e alternanza scuola/lavoro. In più, per il solo 2018, riguarderebbe anche i nuovi ingaggi di giovani fino a 35 anni.
Ancora incentivi per Industria 4.0
Quanto alle misure per incrementare investimenti e produttività, gli incentivi di Industria 4.0 (superammortamento, iperammortamento, credito di imposta per la formazione 4.0) dovrebbero essere prorogati, anche se probabilmente con qualche ritocco al ribasso. Insomma, lo scenario pare piuttosto roseo. Ma, come detto, i sindacati del settore farmaceutico, rappresentati in questo caso da Cardinali e Bianco, sostengono che non tutto è perfetto.
L’intervista/Come sta l’industria pharma italiana secondo i sindacati del settore farmaceutico? Ci sono zone d’ombra per quanto riguarda l’occupazione?
(Risponde Sergio Cardinali) Di sicuro, visti i numeri, ci sono tante luci, soprattutto per quanto riguarda la produzione. Ma le ombre non mancano, e non sono di poco conto. Per esempio, c’è una questione comune a tutti i settori: l’allontanarsi dell’età pensionabile. Ci sono molti lavoratori che diventano anziani e si confrontano con un’industria hi tech e molto innovativa rischiando di non stare più al passo. Bisognerebbe trovare sistemi per agevolare l’uscita di chi ha più anni: scivoli, part time senza perdere i livelli salariali, forme di sovrapposizione giovani/ anziani. Non essendoci strumenti legislativi per affrontare in termini economici questa situazione, affronteremo questo tema in occasione delle trattative sul prossimo rinnovo contrattuale cercando soluzioni tra sindacato e industria.
Poi c’è il grosso problema dell’informazione scientifica. Molti isf, soprattutto anziani, vengono licenziati attraverso procedure di esubero collettive o individuali. E al loro posto è assunto personale più giovane, magari attraverso aziende controllate: secondo un nostro calcolo, ogni dieci licenziati che escono, ci sono almeno sei assunzioni fatte con modalità diverse. In più, si fanno uscire persone inquadrate con contratto della chimico-farmaceutica ed entrano altre con contratto di agente di commercio Enasarco. Non è accettabile. E a nostro parere cozza con la legge. Infine, c’è il problema della ricerca. Per quanto il settore investa in r&s più rispetto ad altri, diversi centri di ricerca gestiti dalle aziende negli ultimi anni hanno chiuso. Questo ha portato a una contrazione dell’impiego in quest’area e non ci sono stati interventi per porre rimedio.
(Risponde Gianluca Bianco – a sinistra nella foto) I dati parlano chiaro: export che cresce, 15% di investimenti in r&s, secondo posto per la produzione, occupati in aumento. Il settore è senza dubbio in buona salute. Ma bisogna trovare una soluzione alla questione degli informatori scientifici: negli ultimi dieci anni c’è stata una riduzione del 50%. È vero: con la genericazione di molti farmaci, l’isf tradizionale è meno necessario per medici e pazienti. Ma il mestiere dell’informatore ha un grandissimo valore, soprattutto per la tutela della salute dei cittadini. Quindi bisogna intervenire sulla formazione per rendere questi professionisti ancora più qualificati e al passo con le innovazioni.
Quali sono le vertenze più significative in corso? Ci sono situazioni di emergenza?
(S.C.) Al momento, la vertenza più impegnativa è quella relativa ad Alfasigma, impegnata in una riorganizzazione successiva alla fusione tra Alfawassermann, Sigma-Tau e Biofutura. (L’azienda ha annunciato 358 esuberi e 87 trasferimenti di sede ma nei primi giorni è stata definita un’ipotesi di accordo per cui gli esuberi passano da 456 a 300 e vengono predisposti piani di uscita volontaria, ndr). Anche in questo caso, il dato che salta all’occhio è il coinvolgimento di 274 isf, che sono quelli che ne fanno più le spese. In più, in un periodo in cui si parla di informatizzazione, circolazione del lavoro sulle reti, Industria 4.0, fa specie notare che ancora si spostano decine di lavoratori da una città a un’altra. È una scelta che va in controtendenza.
(G.B) Quest’anno le vertenze sono quasi solo nell’ambito delle riorganizzazioni. Ma non ci sono state ristrutturazioni molto pesanti. L’unico caso è Alfasigma. Tutto sommato, però, il progetto dell’azienda, al di là dell’alto numero di esuberi, può essere un’opportunità per il settore e, tra l’altro, a proprietà italiana. La società si è presa in carico un’operazione molto impegnativa: la situazione di Sigma-Tau era molto critica. Mentre in questa prospettiva ritrova slancio. E un sito produttivo come quello di Pomezia può uscirne bene.
A che punto è la contrattazione di secondo livello nel settore e che tipo di risultati sta dando?
(S.C.) La contrattazione nel pharma è sostanzialmente positiva. Quella di secondo livello si fa diffusamente in quasi tutte le aziende. Di fatto, però, si cerca un tipo di contrattazione aziendale molto flessibile, che permetta di coprire le oscillazioni nella produzione quando determinati farmaci perdono la tutela brevettuale e scatta la genericazione. Quando non ci sono medicinali nuovi che possano rimpiazzare le entrate di quelli vecchi, le aziende chiedono strumenti flessibili per poter agire sul costo del lavoro. Se invece producono farmaci innovativi in grado di generare ritorni, gli alti fatturati si trasformano spesso in dividendi per gli azionisti.
Quanto al welfare aziendale, anche attraverso la contrattazione di secondo livello si è arrivati a buoni risultati. C’è però una criticità da non dimenticare. Fintanto che vige la detassazione per la scelta di trasformare le risorse dei premi in benefit ricompresi nel welfare aziendale, il sistema funziona bene. Ma se un domani, al di là delle rassicurazioni provenienti dalla politica, la detassazione venisse meno, anche la bontà dello strumento sarebbe rimessa in discussione.
(G.B.) Di contrattazione aziendale se ne fa molta: approssimativamente, nel farmaceutico, arriva al 90%. D’altronde, il nostro è un settore dove la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’azienda è buona. E anche gli osservatori aziendali previsti dal contratto nazionale sono stati implementati molto meglio dal pharma. Sono strumenti interni alle imprese in cui i lavoratori possono informarsi e affrontare temi cruciali, dall’organizzazione del lavoro alla formazione. Lo hanno attivato tutti i maggiori gruppi presenti in Italia. È un modello di partecipazione “all’italiana”, diverso da quello tedesco, ma comunque con elementi e prospettive interessanti.
Come sono le relazioni industriali al momento tra le aziende e i sindacati del settore farmaceutico?
(S.C.) Questo settore ha da sempre una cultura in cui le relazioni industriali hanno un peso importante. C’è poca conflittualità. Se si arriva all’agitazione, è per casi veramente critici. Poi, ovviamente, da questi buoni rapporti può scaturire anche un miglior uso di alcuni strumenti. Per esempio, gli osservatori congiunti azienda-sindacato sono diretti, tra le altre cose, a conoscere meglio il ccnl. Bene, ma oltre ad affrontare i temi contrattuali, perché non li usiamo per ragionare a fondo sull’evoluzione del lavoro e sull’importanza della formazione?
(G.B) Introduco la risposta con una battuta che sentii una volta al ministero del Lavoro. Mi dissero: “ma voi del chimico-farmaceutico qui non vi vediamo mai”. A dimostrazione che le questioni le risolviamo quasi sempre attraverso solide relazioni industriali. Sappiamo gestire sia fasi positive che negative. Ora iniziano i lavori per il rinnovo del contratto nazionale, le cui trattative si apriranno la prossima estate. Di punti all’ordine del giorno ce ne sono. Per esempio, uno che potrebbe ulteriormente migliorare le relazioni potrebbe essere quello di riattivare l’Osservatorio nazionale contrattuale del settore farmaceutico in cui affrontare i problemi in campo. Ora ne abbiamo uno per tutto il contratto: ne servirebbe di nuovo uno specifico per il pharma.
Qual è il vostro giudizio sulla politica industriale degli ultimi anni per il settore e su quella che si va profilando con la prossima legge di Stabilità?
(S.C.) Prendiamo per esempio un tema di cui si discute molto: Industria 4.0. Mi convincono poco tutte queste agevolazioni solo sull’acquisto di nuovi macchinari. Se un’azienda rinnova il proprio parco tecnologico e nell’investimento non è previsto un collegamento con l’occupazione c’è il rischio che al crescere dell’automazione corrisponda una riduzione degli occupati. Visto che questi investimenti sono supportati dai soldi dei contribuenti è giusto che sia garantito un ritorno positivo sull’occupazione. Sennò si rischia di non aumentare gli occupati e di dare risorse a multinazionali che poi portano dividendi all’estero: qualcosa nel Paese deve rimanere se i soldi sono pubblici.
Si potrebbe prevedere, ad esempio, che una parte delle risorse che le aziende risparmiano possano essere destinate a investimenti in uscita – quindi scivoli – per i lavoratori più anziani e a più assunzioni di giovani. Sarebbe tra l’altro anche conveniente perché il personale più giovane costa di meno ed è più produttivo. In questo senso, se il governo intervenisse in maniera decisa su pensioni e inserisse misure per agevolare questo ricambio generazionale, sarebbe una cosa positiva.
(G.B.) Per quanto riguarda il lavoro, alcuni effetti positivi si sono visti. Ma sulle politiche industriali c’è da fare di più: l’eventuale conferma degli incentivi sugli investimenti e tutti gli interventi Industria 4.0 non sono la soluzione a tutti i problemi. Bisogna incidere ancora su sistema normativo, formazione, energia, infrastrutture. L’incertezza normativa crea grande incertezza in tutti i settori, compreso il pharma. Bisogna lavorare per agevolare l’ingresso di nuovi farmaci nel mercato, in particolare quelli innovativi, che sono molto onerosi. Su questo tema, siamo allineati con le richieste delle aziende: solo in presenza di aziende forti, sane e produttive, si può restituire benessere ai lavoratori e ai cittadini.
Quanto a Industria 4.0, finora non abbiamo notizia di riorganizzazioni che abbiano prodotto effetti negativi sui livelli occupazionali. Stiamo cercando di capire il fenomeno. Senza dubbio ci sono molte operazioni che possono essere sostituite da macchine gestite attraverso tecnologie digitali. E questo qualche problema lo porrà, soprattutto se non aumenta la professionalità degli operatori. Ecco perché assume un ruolo ancora più strategico la formazione. In ogni caso, tutte le rivoluzioni hanno portato a grandi cambiamenti nel lavoro. Ma hanno anche portato anche nuovi lavori e più professionalizzati. Si tratta di accettare le sfide, a patto di avere gli strumenti per gestirle.
Secondo i sindacati del settore farmaceutico, l’Italia è capace di attrarre investimenti in questo comparto? Si riesce a portare nel Paese una quota significativa della produzione delle multinazionali del pharma?
(S.C.) Allo stato attuale, sarei tentato di dire di sì. Il Paese è ancora attrattivo soprattutto per le potenzialità di manodopera qualificata che ha e per l’alta produttività che riesce a esprimere a livello industriale. In più, un altro elemento che continua a far propendere per l’Italia è il buon rapporto che c’è tra il mondo della ricerca nelle università e le aziende. Quando non si traduce in casi di corruzione, è una risorsa di alto valore spendibile anche all’estero. Certo, ci sono alcune criticità del sistema Paese che non possono essere taciute. Una è rappresentata dal costo del lavoro, che resta tra i più alti in Europa. Naturalmente mi riferisco alla tassazione e non ai salari, che invece sono tra i più bassi rispetto ai nostri Paesi. Poi, un altro aspetto negativo è il costo dell’energia. Il pharma è un’industria che ha alti consumi energetici.
(G.B) L’Italia resta un hub di produzione a livello europeo e mondiale. E negli ultimi anni c’è stato un ritorno di produzioni nel nostro Paese che prima erano state delocalizzate in mercati Ue o extra Ue. Stiamo tornando competitivi. Ci sono stati anni bui, durante la crisi, in cui abbiamo assistito a pesanti ristrutturazioni. Si pensi appunto al 50% della forza lavoro isf che abbiamo perso per strada e ai vari centri di ricerca che sono stati chiusi, come quello di Gsk a Verona o quello di Merck & co a Pomezia. Ma ora quegli anni sono alle spalle e si osserva una fase di consolidamento del settore. Si ritorna a investire qui. Penso, per esempio, all’investimento da 35 milioni che la tedesca Merck ha fatto di recente sullo stabilimento di Modugno, agli investimenti fatti negli ultimi anni da aziende come Eli Lilly e Janssen, alla stessa operazione di Alfasigma, che per di più è italiana.
La formazione è il leitmotiv per tenere alta la competitività ed evitare che l’innovazione danneggi l’occupazione. A che punto siamo? Quello che è previsto nel ccnl per valorizzarla viene messo in pratica?
(S.C.) C’è un’attenzione molto alta verso il tema. Il limite è che al momento la formazione è troppo ad appannaggio delle scelte delle aziende. Decidono quanta farne, a chi farla, dove e come. L’idea del delegato alla formazione, previsto dal ccnl, è nata proprio per coinvolgere di più i lavoratori nell’analisi dei fabbisogni formativi. Tuttavia, è uno strumento che non sta funzionando benissimo, perché viene valorizzato poco a livello aziendale e perché – va ammesso – anche i lavoratori stessi non capiscono fino in fondo quanto la formazione sia importante.
(G.B) La formazione è fondamentale per aiutare le figure professionali più in difficoltà e per accompagnare i grandi cambiamenti di questi tempi. Torno sugli isf. Credo che la forte specializzazione di una serie di prodotti innovativi che stanno sbarcando sul mercato indubbiamente spingerà gli informatori verso una qualità di lavoro ancora maggiore. E ancora, abbiamo bisogno di spingere sulla formazione nel campo del biotech, che è in grande sviluppo. La formazione, sinceramente, deve divenire parte integrante del lavoro, non una parte in più. Sennò si perde il treno dell’innovazione.
Nell’ambito della formazione e della riqualificazione, c’è la necessità di rilanciare la strumentazione a sostegno delle politiche attive, ancora in corso attraverso Welfarma, l’unico esempio di gestione condivisa dei processi di riqualificazione e ricollocazione professionale nel panorama contrattuale. Welfarma, costruito nel 2008 e ridiscusso nel 2011, va rimodulato alla luce delle nuove norme, rispetto ai processi formativi di riqualificazione e ai costi.
(M. Di Lucchio, www.fedalisf.it, 13.11.2017)