Ieri è stata una giornata storica per l’Italia e per la sua industria. L’accordo tra Arcelor Mittal e i sindacati, per il rilancio di Ilva, è stato firmato: si è arrivati a 10.700 assunzioni immediate – come avevamo previsto un mese fa – a fronte degli attuali 13.500 dipendenti; per i 2.800 che sino al 2023 resteranno in carico all’amministrazione straordinaria per occuparsi delle bonifiche c’è invece la garanzia di Arcelor di riassunzione a fine piano.
Al di là dell’importante risultato occupazionale, la ripartenza di Ilva è un grande segnale per il nostro Paese: nell’era di Industry 4.0 l’Italia deve capire se vuole riaffermare la sua vocazione industriale; del resto, restiamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa.
Da questo punto di vista, l’operazione Ilva è importantissima, in primis, per quanto concerne la siderurgia italiana e il valore del nostro acciaio (parliamo dell’1% del Pil); in secondo luogo, metà dell’investimento di Mittal (in tutto 5 miliardi di euro) sosterrà l’intervento di recupero ambientale che, come dice il primo cittadino di Taranto, Rinaldo Melucci, “non ha precedenti nella storia”.
L’industria è un bene e oggi più che mai – nell’era segnata dalla precarietà del lavoro – ne va tutelata la presenza. Nondimeno, l’intera questione dello sviluppo industriale e della sua sostenibilità vede nella centralità della persona il suo pilastro: innovazione, sicurezza, ambiente sono parole vuote se le persone non sono al centro del cambiamento. Per questo, forse, la “partecipazione al lavoro” assume oggi un significato nuovo. L’innovazione è un potente stimolo a trovare soluzioni concrete e originali a questioni spesso antiche e, affinché si percorra la via verso il mondo nuovo, occorre fare leva sulla partecipazione attiva di imprese e lavoratori. Da qui la centralità di organizzazioni quali le associazioni imprenditoriali e i sindacati, dal cui atteggiamento di apertura o chiusura può dipendere molto del nostro avvenire.
Lo sforzo di raggiungere l’obiettivo della produttività sostenibile deve tenere conto dei problemi ambientali emersi con sempre maggiore chiarezza e urgenza negli ultimi decenni. Trovare una soluzione per il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, il rischio di acidificazione degli oceani, è una missione che non investe soltanto la politica (nazionale e internazionale), ma che chiama in causa anche i principali attori sociali. Nel passato, infatti, la crescita dell’economia e dell’occupazione ha spesso scaricato i propri costi esterni sull’ambiente e sulle generazioni future.
Adesso non è più possibile cavarsela con la battuta sul lungo termine, nel quale saremo tutti morti: forse i protagonisti di quella fase disordinata ed entropica dello sviluppo industriale sono defunti, ma nel lungo termine ci siamo noi. Il livello di ricchezza materiale che abbiamo raggiunto ci mette nella condizione di prendere sul serio i problemi che abbiamo davanti.
La sfida della produttività, in sintesi, non può essere sganciata da quella della sostenibilità. Taranto è una città ferita dall’industria, come del resto lo sono altre regioni d’Italia. Il rilancio di Ilva è il futuro dell’industria, quello che concilia produzione e ambiente. Anche per questo, oggi si è scritto il primo capitolo di una storia molto importante.