La partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese è un tema storico sia per il diritto del lavoro che per le relazioni industriali. Di recente abbiamo assistito alla iniziativa del sindacato Cisl, che sul tema ha sempre riservato la sua attenzione. Anche l’Unione Europea (EU), sin dagli anni ’70 , ha sviluppato per decenni una intensa attività normativa, relativamente a diverse forme e gradi di partecipazione, dal diritto alle informazioni, alle consultazioni e fino ai diritti di partecipazione sia nella governance e sia alla partecipazione finanziaria al capitale di rischio delle imprese da parte dei lavoratori.
L’Unione Europea ha approvato lo statuto per la costituzione della Società Europea (SE), cosa mai fatta in Italia, dove ad oggi non esiste uno Statuto per l’Impresa, nel mentre esiste lo Statuto dei Lavoratoti. Le raccomandazioni e le direttive dell’UE di consultazione stabile e di partecipazione istituzionale alle decisioni delle imprese hanno avuto una estensione limitata sia in Italia che in Gran Bretagna, caratterizzate da forti tradizioni contrattualistiche e rivendicative, mentre sono ampiamente diffuse in altri Paesi ove hanno ricevuto esplicito riconoscimento e regolazione per legge, come la Germania, l’Olanda, la Danimarca e la Svezia.
Anche la nostra Costituzione, con l’articolo 46, sancisce e prevede quanto segue: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle imprese”. L’assunto dell’articolo 46 della Costituzione è rimasta una norma incompiuta. E gli ostacoli in Italia allo sviluppo “partecipativo”sono radicati nella nostra storia economica e politico-sociale. Le relazioni nel mondo del lavoro si sono sempre caratterizzate da una marcata conflittualità e da divisioni ideogico-politiche anche fra le maggiori forze sindacali.
Quando il Parlamento Europeo (PE) con la sua risoluzione del 14/1/2014 ha sostenuto i piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori, queste forme di partecipazione hanno una discreta diffusione in gran parte dei Paesi europei, compresi l’Italia, come misura per fidelizzare i propri collaboratori e dipendenti. Gli obiettivi di tali piani di incentivazione e di retribuzione variabile, hanno assunto diverse forme di applicazione, quali:
1) stock option – strumento finanziario con il quale la società conferisce ai propri dipendenti il diritto di acquistare ad un determinato prezzo di convenienza azioni della società;
2) stock purchase – che consiste nell’acquisto di azioni della società per dipendenti e collaboratori;
3) stock grant – quando il piano incentivante prevede che la società assegna gratuitamente ai dipendenti i propri titoli al raggiungimento di obiettivi prestabiliti;
4) restricted share limits – piano incentivi come forma di remunerazione ai dipendenti con assegnazione di azioni della società che rimangono vincolate per un determinato periodo di tempo;
5) phantom stock option – piano che replica i meccanismi di un piano stock option, evitando l’effettiva assegnazione di titoli ma ricorrendo a pagamenti cash.
Ma tali piani di incentivazione, sono lontani dalla effettiva partecipazione dei lavoratori dalla gestione delle imprese, con la presenza di rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione e di sorveglianza. Coinvolgere i lavoratori nella gestione della impresa e nella condivisione degli utili significa creare un fruttuoso patto fra il capitale e il lavoro, superando i conflitti tra i lavoratori e le imprese.
Con la partecipazione si verrebbe a creare un clima di forte appartenenza e con il lavoratore che si sentirebbe investito dalla responsabilità come imprenditore, contribuendo così al successo dell’impresa, non più vista come controparte da lottare e a volte anche da abbattere. Si realizzerebbe così far coincidere il comune interesse tra il lavoratore e l’azienda.