Il 10 luglio è nato l’embrione che punta a fare ciò che finanza ed enti pubblici hanno solo detto di volere davvero. Cuore del progetto: la produzione di cargo-bike e pannelli solari di nuova generazione. I rischi e le incertezze non mancano ma la vicenda è già fonte di preziosi insegnamenti. Economici, sociali ma soprattutto politici.
Dal notaio sono andati in quattordici, ma dietro di loro, al momento di mettere la propria firma in calce all’atto di costituzione della “proto cooperativa”, c’erano idealmente altre migliaia di persone, quelle che negli ultimi due anni hanno seguito e sostenuto la lunga lotta degli operai della Gkn, la fabbrica di semiassi chiusa con un colpo di Pec il 9 luglio 2021.
Lunedì 10 luglio è nato infatti l’embrione di Gff, la cooperativa che si propone di fare ciò che i fondi di investimento, gli imprenditori, gli enti pubblici hanno solo detto e forse finto di volere davvero: la re-industrializzazione dello stabilimento di Campi Bisenzio. È un momento importante, sul piano economico, sociale ma anche politico e perfino emotivo. Quei quattordici -nove soci lavoratori, cinque soci sostenitori- hanno firmato l’atto costitutivo pieni di orgoglio e di emozioni, perché varcare la porta del notaio e dare il via a un nuovo progetto di lavoro è sia un punto di arrivo che un nuovo inizio.
Punto d’arrivo perché il Collettivo di fabbrica Gkn ha detto fin dall’inizio che non c’era da fidarsi di certi progetti di ripresa delle produzioni sbandierati ma sempre rimasti privi di sostanza, e perciò la prospettiva di “far da sé” è sempre stata presente, anche quando non la si dichiarava, coscienti di poterla mettere in campo solo a determinate condizioni: la coesione del gruppo operaio, il forte sostegno della società civile, la capacità di riunire attorno a sé non solo passioni ma anche qualificate competenze. E questo è avvenuto.
Gff ha messo a punto un piano industriale che poggia su due pilastri: la produzione di cargo-bike (c’è già un prototipo in servizio per le vie di Firenze) e soprattutto di pannelli solari di nuova generazione, in partnership con una startup che detiene un innovativo brevetto. Il piano è nato grazie al lavoro di un comitato tecnico-scientifico composto da ingegneri, economisti, tecnici solidali. Sabato e domenica scorsi, alla “festa” per i due anni dai licenziamenti e dall’avvio delle lotte, c’erano anche loro: in maglietta e calzoni corti i maschi, in comodo abbigliamento estivo le femmine; niente divise manageriali ma molta sostanza. E poi le persone, i gruppi organizzati, le associazioni, i tanti giovani studenti e attivisti: attorno al Collettivo di fabbrica si è condensata una mobilitazione che non cessa e rende credibile l’idea di creare, nel post Gkn, una “Fabbrica pubblica socialmente integrata”.
Punto d’approdo, dunque, questa firma davanti al notaio, ma anche punto di partenza, perché non vi sono certezze, se non l’impegno a dare vita a una “fabbrica recuperata” che rispetto alle precedenti esperienze porta una sostanziale novità, poiché non si tratta in questo caso di riavviare le vecchie produzioni, bensì di impiantarne di nuove, cambiando settore produttivo, oltre che modello organizzativo. Pannelli solari e cargo-bike al posto dei semiassi: è un passaggio eco-politico nato non per caso, ma frutto della via scelta dal Collettivo di fabbrica Gkn all’indomani dei licenziamenti: non tanto recriminazioni e corpo a corpo col padrone, quanto apertura al resto della società, condivisione della crisi di sistema in atto (“E voi come state?”, fu la prima sollecitazione pubblica del Collettivo) e ricerca insieme agli altri di una via d’uscita non solo per i 400 e più licenziati ma per tutti, perché, se vogliamo dirla con Fabrizio De André, “siamo tutti coinvolti”. Quindi addio all’automobile e apertura alle energie rinnovabili.
La nascente Gff ha una montagna da scalare e la partenza è subito in salita e piena di incognite, come nessuno si nasconde. Ci sono ancora molti nodi da sciogliere, a cominciare dalla sede operativa: sull’area della fabbrica avrebbe messo gli occhi il consorzio genovese Abaco, che una volta acquisito lo stabilimento favorirebbe l’insediamento nel “parco industriale” di varie attività produttive, incluse quella della Gff, che affitterebbe gli spazi necessari. C’è poi il nodo dei finanziamenti, piuttosto ingenti, visto che si tratta di acquistare macchinari nuovi di zecca: le premesse sono buone, poiché ci sono partner pronti a intervenire e la Regione Toscana è disponibile a sostenere il progetto con ammortizzatori sociali ad hoc, ma tutte le tessere del puzzle dovranno andare al loro posto al momento giusto, in un gioco di incastri e di alleanze che avrà bisogno di grande cura. E poi c’è da pensare a tutto il resto: la costituzione della cooperativa vera e propria e il suo organigramma, con l’acquisizione di alcune competenze tecniche dall’esterno; l’avvio e il collaudo delle produzioni; la sfida del mercato.
Rischi e incertezze dunque non mancano e l’esito finale non è garantito, ma la vicenda Gkn-Gff è già fonte di preziosi insegnamenti. Diciamo che sono tre.
Primo: ora sappiamo che esiste, nel corpo della società e ai margini del sistema dominante, un insieme di competenze, saperi e volontà di partecipazione che rende possibile portare avanti lotte e progetti collettivi di vasta portata, sul piano politico ma anche su quello economico e sociale, contraddicendo la rassegnazione e la passività ormai diffusi nel mondo sindacale e politico ufficiale.
Secondo: stiamo assistendo alla riscoperta di tradizioni culturali, associative e politiche quasi dimenticate, come il mutualismo, oggi praticato nella ex Gkn attraverso una società di mutuo soccorso, uno sportello interno specifico (anche per assistenza psicologica), il legame diretto con Mag Firenze e Banca Etica, o in gran parte colonizzate dal mercato, come il cooperativismo. Gff sta nascendo grazie al sostegno costante nell’arco di due anni di migliaia di persone, un sostegno espresso nei presìdi, nelle manifestazioni, nell’Insorgiamo tour, nella partecipazione al Festival di letteratura working class, nella raccolta di 174mila euro attraverso un piano di crowdfunding, nella condivisione di un progetto di valenza potenzialmente universale. Come nel mutualismo e nel cooperativismo delle origini, ci si fanno domande sul senso politico del proprio agire -che cosa produrre, come produrlo, ma anche come vivere la propria esistenza, che non è fatta di solo lavoro- e non si nasconde la propria ambizione di costruire un pezzetto di mondo diverso e opposto al mondo così com’è.
Terzo insegnamento: si può fare. Cioè si può pensare, si può agire, si può cambiare lo stato delle cose.
Poi c’è un ultimo punto, il nome. Quelli del Collettivo di fabbrica dicono che Gff non è un acronimo e chiunque può darne un’interpretazione propria (per esempio, ha detto qualcuno, un po’ scherzando un po’ no, Grande fabbrica di Firenze), ma l’idea di chiamare così la cooperativa è venuta pensando allo slogan scelto per il crowdfunding -Gkn For Future- con evidente riferimento ai movimenti giovanili per la giustizia climatica.
Venti e più anni fa, all’epoca di massimo fulgore dei movimenti di lotta contro la globalizzazione neoliberista, c’era chi pensava anche a costruire qualcosa di nuovo, quindi pezzi di società e di economia capaci di prefigurare l’avvenire, un’aggiunta -potremmo dire- alla semplice e pur importante protesta. Si parlava, all’epoca, di “un’economia capace di futuro”, visto che l’economia oggi dominante -con la sua logica estrattiva e la sua ideologia della crescita infinita- un futuro non ce l’ha. Dunque, possiamo interpretare Gff anche e forse soprattutto così: un’utopia concreta, una fabbrica di pannelli solari e cargo-bike, certo, ma anche una fabbrica di idee, un laboratorio aperto, una promessa di altre lotte, di altri progetti. Dopotutto lo slogan del Collettivo è stato fin dall’inizio “Insorgiamo!”, un richiamo esplicito alla Resistenza ma anche al risveglio di risorse e desideri assopiti. Erano in quattordici a firmare, ma Gff avrà un futuro all’altezza dei suoi propositi se troverà un’energia collettiva, forte e rinnovabile.