Donne e impresa: la managerialità al femminile è un fattore di successo e sviluppo.

Si tende spesso a pensare che il ‘fare impresa’ sia una cosa prettamente maschile, ancorati ad un retaggio che ha spesso visto l’uomo, più che la donna, descritto quale ‘capitano d’impresa’. Eppure la storia, l’economia e i molti esempi di successo, in campo aziendale, politico e sociale, ci raccontano una realtà ben diversa. E oggi più che mai, primi tra tutti i fondi di investimento e poi le aziende si stanno dotando di regole e strategie che facilitino l’accesso delle donne ai ruoli apicali.

Essere donna è un driver di successo del fare impresa, e molte delle idee più lungimiranti e visionarie in materia di management sono state ipotizzate e messe in pratica dalle donne. Anche il nostro passato ci offre degli esempi di donne coraggiose, che hanno dato per prime pieno valore al concetto più generale di ‘women leadership’ e ‘women empowerment’, e che hanno dimostrato che la managerialità è donna.

Sono molte le donne che, con i loro pensieri, visione e capacità imprenditoriale, hanno contribuito all’evoluzione del management, portando all’emersione di un modo nuovo di fare impresa, ora divenuto il mantra delle aziende e delle organizzazioni complesse moderne, che sempre più modificano il loro statuto legale per diventare b–corp o società benefit.

E serve sottolinearlo: non parliamo solo di diritti umani. Un tema imprescindibile, quello del rispetto della dignità del lavoratore e che certo appartiene alla visione della leadership, gentile e inclusiva propria delle donne manager, ma che rischia, se non contestualizzato correttamente, di restringere il forte operato e l’apporto delle donne quali manager d’azienda.

Eppure la storia dell’economia e del business è fatta di donne forti, veri esempi di parità e leadership. Donne che hanno per prime posto l’accento su temi fino ad allora inesplorati. Donne che hanno provato a scardinare i preconcetti di genere, mostrando al mondo intero le qualità immense dell’imprenditoria al femminile. Un primo esempio, tra molte, è quello di Beatrice Webb, fondatrice della London School of Economics, una delle più importanti scuole di economia al mondo. Già alla fine del 1800 introduce il concetto di democrazia industriale, sottolineando come “la partecipazione dei lavoratori al governo delle aziende può coesistere con una gestione aziendale efficiente: un management democratico”, sociale, inclusivo.

La partecipazione dei lavoratori al governo delle imprese – che si ritrova ora nell’azionariato diffuso, per esempio, così come in molte forme di rappresentanza sindacale e sociale nelle aziende – era fino ad allora un modello impensabile e non attuabile. Una visione innovativa, quella della Webb, che, a posteriori si dimostra primordio del concetto di ‘ambassador aziendale’: individuare nei dipendenti i primi testimonial dell’azienda stessa. Un concetto poi rafforzato, negli anni Venti, da un altro esempio di leadership industriale al femminile: quello di Mary Parker Follett, studiosa e consulente internazionale. Follett distingue tra varie forme di potere: dal ‘potere-su’, il dominio, che impedisce lo sviluppo dei lavoratori e quindi dell’azienda, al ‘potere-con’, condiviso con chi lavora, stimolando la creazione di una leadership diffusa. E quanto anche di questo ritroviamo ora nella moderna disciplina economica, che punta sull’emersione delle nuove istanze sociali quale valore condiviso per le aziende.

Un altro esempio, un’altra storia di successo, sempre al femminile. Joan Woodward, già professoressa di Philosophy, Politics and Economics presso l’Università di Oxford, negli anni Sessanta del secolo scorso si rifiuta di insegnare teorie economiche prive di una possibile verifica empirica. Comincia così una ricerca personale in materia di management, che la porta a smentire l’idea accademica secondo cui esiste un solo modello organizzativo ottimale e universale, valido per tutte le imprese. Il modello più efficace di governance aziendale – afferma nel suo celebre manuale ‘Organizzazione industriale. Teoria e pratica’ – va cercato e applicato caso per caso, guardando alla realtà contingente dell’azienda. Una donna forte, con una visione chiara, che la portò ad essere emarginata dal dibattito accademico del tempo. Un’idea innovativa, troppo avanzata per quello che era l’allora dibattito in materia.

Storie di leadership d’azienda, quelle menzionate, tutte al femminile. Un filo comune tra tutte, la visione dell’impresa come rifiuto del potere manageriale inteso quale dominio, comando e controllo. Comune a tutte loro, una sensibilità e un’apertura decisa verso i temi etici, che sembra derivare dalla ‘comune sofferenza’ di aver vissuto sotto un potere patriarcale molto forte, che ancora oggi non si fatica a ritrovare in alcuni aspetti della società.

L’azienda per la leadership femminile è il luogo in cui convergono soggetti con interessi diversi, e di tutti questi bisogna tenere conto perché danno valore, arricchiscono il confronto e il dialogo. Offrono spunti diversi e permettono di analizzare i problemi in modo variegato. Questo è, in fin dei conti, il nuovo ruolo del manager ‘gentile’: mantenere l’equilibrio, promuovere le intese. Un management attento anche agli interessi di chi lavora, che non pensa al lavoro come un costo da razionalizzare.

Le donne nelle aziende sono fonte di innovazione, gentilezza ed esempio positivo. Contribuiscono alla creazione di una leadership diffusa ed inclusiva, capace di identificare l’azienda, la cultura e le sue prassi. Un ruolo quasi politico, nell’accezione più alta del termine. Occorre portare avanti le lungimiranti leggi istituite per facilitare l’accesso delle donne al mondo del lavoro, così come tutti quegli strumenti che supportano le aziende a mantenere un equilibrio interno, come il bilancio e la certificazione di genere. E allora largo alle donne, manager d’impresa, capaci di trasformazioni profonde nel mondo del lavoro e di rendere l’azienda un posto più inclusivo per tutti, per raggiungere obiettivi altrimenti neanche immaginabili.

(Fortune Italia)

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