E’ possibile creare un sistema finanziario al servizio del benessere delle persone? Può sembrare un’utopia, ma in fondo è una delle finalità di base dell’economia: distribuire le risorse equamente per massimizzare i benefici. Come fare? Intanto offrire una formazione adeguata a tutti, indipendentemente dallo status socio-economico.
Poi è importante incoraggiare politiche che agevolino l’accesso ai servizi finanziari e promuovano l’uguaglianza di opportunità per tutti. «Si deve allargare la democrazia, il concetto riguarda non tanto il passaggio da un sistema rappresentativo a uno diretto, quanto l’aumento degli spazi e degli ambiti in cui la persona viene presa in considerazione nella molteplicità dei suoi ruoli di consumatore, investitore, produttore», dice Lorenzo Caselli, Professore emerito dell’Università di Genova, docente di etica economica. In questo modo, l’equità si estende al consumo, alla finanza e alle imprese».
In poche parole, promuovere investimenti etici e socialmente responsabili per creare un sistema finanziario che sostenga lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale. «La democrazia economica è un processo multidimensionale che coinvolge vari soggetti, tra cui individui, famiglie, istituzioni e associazioni di volontariato. In questo modo, contribuisce al bene comune, che deve essere tanto individuale quanto collettivo».
La democrazia economica è un principio già applicato in Europa…
«Un esempio è quello della Germania, dove c’è il fenomeno del Mitbestimmung. In italiano si può tradurre con il termine “codeterminazione”, in cui i rappresentanti dei lavoratori partecipano al governo dell’impresa. Ciò può portare a una maggiore produttività e ottimizzazione dei processi».
In che modo contribuiscono alla governance?
«Se un’azienda, come alcune italiane, adotta il sistema duale, essa avrà un Consiglio di Sorveglianza e un Consiglio di Gestione. All’interno del primo, i rappresentanti dei lavoratori e degli azionisti saranno equamente distribuiti, con una proporzione del 50% ciascuno. Nel caso in cui un’azienda non adotti il sistema duale ma quello tradizionale, composto da un Consiglio di Amministrazione e un Collegio Sindacale, i rappresentanti interni avranno comunque uno o due posti nel Consiglio di Amministrazione, a seconda della specifica trattativa. Adottare questi sistemi rafforza la società in diversi modi. Innanzitutto, ancorandola al territorio, si evita un’eccessiva finanziarizzazione e si privilegia l’economia reale. Inoltre, la partecipazione dei lavoratori favorisce un aumento della loro motivazione, creando un clima di fiducia e consenso all’interno dell’organizzazione».
Può essere un incentivo per il lavoratore a restare all’interno dell’azienda, invece di andare via e cercare lavoro altrove?
«Certamente, questo è un aspetto cruciale, poiché abbiamo assistito al fenomeno delle Grandi Dimissioni, con centinaia di migliaia di lavoratori che lasciano le aziende, anche se non hanno un nuovo posto, per cercare un miglior equilibrio tra lavoro, vita personale, famiglia e realizzazione di sé stessi. Però attenzione, la democrazia economica certamente ha il fulcro in questo fenomeno di partecipazione dei lavoratori al governo delle imprese, ma ne esistono anche altre forme. Il mercato è composto da offerta e domanda, e noi, come consumatori, possiamo influenzare l’offerta organizzandoci per promuovere sostenibilità, qualità e servizi. Questo si riflette in iniziative come gruppi di acquisto e associazioni di consumatori. Però oltre che la domanda, noi siamo anche l’offerta».
Di che cosa?
«Forniamo gratuitamente e senza controllo i nostri dati, informazioni e messaggi alle grandi aziende tecnologiche. Anche in questo caso, è importante avviare un dibattito sulla riservatezza. ChatGPT, ad esempio, solleva importanti interrogativi in merito a questi temi».
Ci sono altri esempi di democrazia economica, anche a livello locale?
«Sì, in alcune città, come Bologna, vengono adottati i bilanci partecipativi e i bilanci di quartiere. In questi casi vengono assegnate determinate risorse al quartiere e i rappresentanti decidono come spenderle. È importante che la popolazione possa interagire con l’amministrazione comunale e partecipare alle decisioni riguardo agli obiettivi da raggiungere. Si potrebbero organizzare assemblee per discutere e decidere insieme su questi bilanci partecipativi. Coinvolgendo anche i giovani in questo tipo d’iniziativa, il Comune potrebbe mettere a disposizione un budget specifico e chiedere loro come vorrebbero impiegarlo. Ciò potrebbe rafforzare il senso di responsabilità e coinvolgimento dei giovani nelle decisioni locali. Il compito di decidere come utilizzare i fondi li renderebbe più consapevoli e attivi all’interno della comunità. Tuttavia, mettere in atto questo approccio non è semplice e richiede sperimentazioni, ma anche il raggiungimento di un consenso. È importante lasciare spazio alle nuove idee, poiché la democrazia non è un concetto statico, ma un processo in continua evoluzione. Grazie ad essa, la collettività cresce, crea relazioni e migliora il modo in cui interagisce con l’ambiente e gli altri aspetti della vita sociale». Il Bilancio partecipativo di Bologna è una forma di democrazia diretta che coinvolge i cittadini nel processo decisionale. Attivato dopo una prima sperimentazione nel 2017, consente ai residenti di ideare e votare le proposte che ritengono più utili e importanti per la città. Nel 2023, la Fondazione per l’Innovazione Urbana, che coordina l’edizione, ha distribuito 3 milioni di euro tra i vari quartieri. Ogni bolognese ha avuto la possibilità di votare tra 43 proposte selezionate e pubblicate sulla piattaforma partecipativa del comune emiliano».
In Italia c’è consapevolezza riguardo a questo tipo di iniziative?
«Non sono molto conosciute, sarebbe utile creare un osservatorio per monitorarle. Si potrebbe istituire una piattaforma dedicata alle esperienze di partecipazione e democrazia, come ad esempio Cittadinanza Attiva, l’associazione fondata da Giovanni Moro, figlio di Aldo. Esistono molte iniziative di questo genere, ma non tutte sono note al grande pubblico. Un osservatorio o una piattaforma online potrebbero offrire un accesso più facile a queste informazioni, permettendo alle persone di trarre ispirazione da idee già sperimentate con successo. Se un’esperienza funzionasse bene in un Comune, potrebbe essere adattata e applicata altrove, apportando le modifiche necessarie. Così anche il cittadino potrebbe sentirsi più partecipe della vita della sua città».
Quali modalità specifiche potrebbero aumentare il coinvolgimento della cittadinanza nelle questioni comuni?
«Nel lungo termine, è fondamentale promuovere un’educazione alla partecipazione civica che inizi nelle scuole. Ad esempio, i bambini delle elementari potrebbero essere responsabili della pulizia e manutenzione delle proprie aule, imparando così a prendersi cura del proprio ambiente. Inoltre, associazioni di volontariato e del terzo settore potrebbero proporre iniziative di partecipazione alla comunità locale, collaborando con l’amministrazione comunale. L’aspetto cruciale è cominciare a coinvolgere i cittadini e poi continuare a crescere insieme, sviluppando un senso di responsabilità e appartenenza nella collettività».
Come si può implementare la democrazia economica a livello europeo e internazionale?
«Attualmente, l’Europa si trova in una fase complessa, dovendo affrontare il dibattito sulla creazione di una federazione che preceda gli Stati nazionali e disponga di risorse proprie. Per realizzare la democrazia economica, è necessario condividere responsabilità tra Stato, Regioni e comunità locali. È importante iniziare dal basso, coinvolgendo i cittadini e le persone, affinché diventino protagonisti e acquisiscano consapevolezza del processo. In questo contesto, le scuole e le università svolgono un ruolo fondamentale».
Se le persone investono consapevolmente, le imprese e i risparmiatori ne beneficiano?
«Sì, ciò implica una stretta relazione tra la partecipazione nell’azienda e il cambiamento delle stesse verso un approccio ESG, che cioè valuti l’impatto economico, sociale e di governance. L’ambiente, la vita delle persone e delle famiglie e la governance sono tutti elementi fondamentali per la democrazia economica e una finanza etica. In passato, quest’ultima era valutata principalmente in termini di rendimento e rischio. Ora si tiene anche conto dell’impatto, evitando di finanziare attività dannose al bene comune, come il tabacco o le armi. Un impatto positivo viene anche dal sostenere imprese che promuovono il benessere, l’ambiente, la cultura, la conciliazione tra lavoro e famiglia e la parità di genere. È importante cogliere le interdipendenze e gli snodi su cui agire, considerando che la crisi attuale è stata causata anche dalla finanziarizzazione dell’economia. La finanza, la cui etimologia deriva da “fiducia”, dovrebbe servire l’economia reale, la crescita, il lavoro e lo sviluppo. Realizzare questo obiettivo è la grande sfida che ci attende».
La democratizzazione economica può essere vista come una forma di armonizzazione della collettività?
«Esatto, è responsabilizzazione e armonizzazione: come direbbe Papa Francesco, fraternità. La promozione di questi valori porta alla scoperta di risorse inestimabili, poiché la gratuità è un bene prezioso per tutti. La solidarietà e il rispetto per la natura e l’ambiente possono generare un maggiore controllo sociale. Anche le piccole azioni, come evitare di gettare plastica in mare, possono fare la differenza quando si tratta di migliorare la qualità della vita. Se tutti contribuiscono con piccoli gesti responsabili, questi si trasformano in grandi risultati che rendono più piacevole vivere nel nostro mondo, a partire dai territori e dalle città in cui abitiamo». ©