Danilo Terra – Le potenzialità della codeterminazione strategica nel contesto internazionale e italiano

L’articolo 46 della Costituzione della Repubblica Italiana dichiara:

‘’Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.’’

Tale dichiarazione costituzionale interpreta il principio dell’inclusività aziendale quale leva imprescindibile per garantire la coesione sociale. E la logica di pensiero seguita dai padri costituenti non rappresenta una voce isolata nell’ambiente culturale italiano del dopoguerra, risultando profondamente condivisa dalla visione della tradizione italiana di economia aziendale.

Luisa Bosetti, da ricercatrice universitaria in Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Brescia, scrive in Corporate governance e mercati globali:

‘’La co-determinazione è dunque un elemento giuridico che si associa, sotto il profilo economico-aziendale, all’attuazione del principio per cui i conferenti di risorse primarie (conferenti di capitale di rischio e prestatori di lavoro) hanno il potere di esercitare le prerogative di governo e controllo. In altri termini, tale principio privilegia una visione allargata del soggetto economico-[…] ampiamente enfatizzata in Italia dalla scuola di pensiero economico-aziendale che fa capo a Gino Zappa– sancendone la partecipazione alla corporate governance. I Paesi nei quali la legge prevede l’istituto della co-determinazione sono localizzati nell’area renana (Germania, Austria e Olanda […]) e nell’area scandinava (Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia).’’[1]

Dovrebbero far riflettere gli alti livelli di sostenibilità socio-economica non solo a livello aziendale, ma di sistema Paese, anche e soprattutto in ottica intergenerazionale, di tali realtà, non a caso accomunate dalla diffusa presenza della logica della codeterminazione.

L’attiva collaborazione intersoggettiva genera soluzioni condivise in cui la partecipazione alla definizione strategica viene interpretata come un fondamentale strumento per individuare strategie efficaci, in quanto basate sulle conoscenze  e competenze apportate dai singoli attori, e caratterizzate da una notevole forza motivazionale in fase di implementazione; forza che deriva dalla consapevolezza del perché e del come dell’azione strategica. Ne offrono testimonianze empiriche il virtuoso rapporto tra sistema di istruzione e mondo lavorativo, tra ricerca e innovazione pubblico-privata o i piani di pianificazione-gestione urbana e infrastrutturale nazionale.

Da sottolineare, in particolare, è l’alto livello di rappresentatività e senso di appartenenza percepito sia in ambito microeconomico aziendale che macroeconomico pubblico e perseguito attraverso trasparenza e condivisione lungo l’intero processo definizione-implementazione-controllo delle singole strategie.

Il grado di efficacia e efficienza di un sistema strategico viene in tali contesti considerato come positivamente correlato al livello di informazioni e conoscenze che i diversi attori coinvolti ai vari livelli apportano ex-ante nella fase di pianificazione, elevando il grado di utilità socio-economica degli obiettivi selezionati e delle strategie ad essi associate, e al  livello di partecipazione degli stessi soggetti sociali alla definizione dell’impianto strategico.

Partecipazione vista come indispensabile leva strategica per l’attivazione delle competenze tecniche e sociali, intrinseche ad ogni soggetto, ma necessitanti della motivazione derivante dalla partecipazione inclusiva. Lo stesso soggetto, veicolante lo stesso bagaglio di competenze, apporterà un diverso contributo all’attuazione del sistema strategico in funzione della percezione che  ha del sentirsi coinvolto nelle decisioni.

La codeterminazione strategica rappresenta un elemento fondamentale per elevare l’efficacia e l’efficienza del sistema strategico sia in ottica economica (alto livello di attivazione delle competenze) sia in ambito sociale, andando a rafforzare quel legame sociale che viene in molti contesti indebolito, se non spezzato, dalla mancanza della consapevolezza della dimensione comunitaria di ogni identità individuale.

A livello aziendale coinvolgere gli stakeholders, in primis i lavoratori, nell’individuazione delle migliori soluzioni consente non solo di innalzare il livello di motivazione nell’azione individuale, ma soprattutto di garantire che l’azione aziendale persegua l’interesse aziendale, e non del solo soggetto economico.

Indipendentemente dal sistema di governance aziendale utilizzato e dalla composizione della compagine proprietaria, quel che rileva in ottica di responsabilità sociale di impresa e prevenzione della degenerazione del conflitto di interessi è la condivisione del potere di indirizzo strategico (soggetto economico).

La tradizione di pensiero della scuola aziendale italiana, che trae dal contributo di Gino Zappa la principale sorgente di visione interdisciplinare (non solo economica), risulta pienamente concorde con la fondamentale necessità di un soggetto economico inclusivo implicato dalla codeterminazione. Così Zappa già nel ’57 si esprime:

‘’Nell’impresa esiste’’(o dovrebbe esistere)’’quella comunità di interessi tra soggetto d’impresa, lavoro e capitale la quale sola può addurre ai più alti risultati, riunendo in un dinamico complesso gli sforzi di coloro che in una data azienda cooperano, nella produzione, per l’appagamento dei propri bisogni e per il bene comune della collettività sociale nella quale l’impresa si svolge.’’[2]

La forza innovativa di tale visione si basa sull’ interpretazione dei bisogni dei soggetti agenti nell’impresa, specificatamente i lavoratori, come non meramente economici, ma umani: la persona ha la necessità di percepire la propria considerazione nella definizione delle strategie ai diversi livelli organizzativi. I più alti risultati non vengono intesi da un punto di vista esclusivamente economico, ma di più ampio soddisfacimento dei bisogni umani e  l’ottica di valutazione dell’azione aziendale si pone ad un livello di comunità di riferimento: la finalizzazione sistemica aziendale deve puntare verso obiettivi coerenti con l’interesse sociale dell’impresa, a sua volta coerente con l’interesse sociale del sistema di cui l’impresa fa parte.  Airoldi, Brunetti e Coda, analizzando tale visione nel contesto della definizione dei nuovi assetti organizzativi del dopoguerra, scrivono:

‘’L’ipotesi sottostante era che una riforma strutturale dei rapporti fra capitale e lavoro e degli organismi di governo dell’impresa fosse la via migliore per instaurare un clima costruttivo di collaborazione indispensabile per la sopravvivenza e prosperità di lungo periodo dell’impresa. In realtà quel dibattito, a parte la ‘cogestione’ introdotta nell’ordinamento della Repubblica Federale Tedesca, non approdò a realizzazione per l’opposizione delle parti interessate.’’[3]

La durabilità aziendale non poteva che esser perseguita attraverso una collaborazione attiva nella generazione del valore, condizione cui contribuiva in misura determinante la codeterminazione del sistema strategico per una conseguente azione consapevole nella relativa implementazione.

Sebbene l’impianto costituzionale e culturale italiano in tema di economia aziendale creassero le premesse già dagli anni 50 per la diffusione di forme di codeterminazione aziendale, tuttavia né la prassi organizzativa né il sistema legale hanno recepito in misura significativa tali fondamentali messaggi, se non nella forma della semplice partecipazione ai risultati aziendali (come nel caso della partecipazione azionaria o i premi produzione), che rappresenta solo una minima parte del concetto di codeterminazione, centrato invece sulla partecipazione dalla fase di creazione del valore.

Il principale ostacolo di contesto alla creazione di sistemi aziendali inclusivi è rappresentato dalla logica del conflitto, radicata sia sul versante imprenditoriale che su quello dei lavoratori: la ricerca e la difesa di interessi privati, divergenti rispetto al fine sistemico aziendale di creazione di valore, generarono negli anni perdita di competitività economica e sociale. Fenomeni quali le partecipazioni a cascata dei gruppi piramidali italiani con un elevato grado di conflitto di interessi in assenza di adeguati sistemi di governance o la politicizzazione della lotta sindacale a ‘difesa’ dei diritti dei lavoratori senza partecipazione diretta nella struttura decisionale aziendale rappresentano solo alcune delle conseguenze di tale logica;  strumenti di potere, rispettivamente di controllo aziendale e di rappresentanza passiva, testimonianti il rifiuto di un dialogo costruttivo basato sulla partecipazione decisionale e sulla finalizzazione dell’azione comune per la competitività aziendale e di sistema Paese.

La logica del dialogo costruttivo intraziendale, interaziendale e interistutuzionale genererebbe un notevole impatto liberatorio in termini di creazione di valore, soprattutto in virtù delle elevate potenzialità del tessuto produttivo italiano in termini di tradizioni territoriali e capacità creative innovative che nell’attuale contesto competitivo globale potrebbero rappresentare una fonte di differenziazione competitiva difficilmente imitabile per l’alta percentuale di conoscenze tacite veicolate dalle produzioni; tale fonte, tuttavia, necessita di esser alimentata attraverso la creazione di piattaforme infrastrutturali reticolari (fisiche e relazionali) per potersi imporre sui mercati internazionali, liberando tutte quelle sinergie potenziali ancora intrappolate dalla mancanza di un approccio olistico. I benefici derivanti da una simile evoluzione riguarderebbero sia l’ambito economico, con un aumento del livello competitivo del sistema paese, sia la coesione sociale che la partecipazione alla creazione di valore codeterminata genererebbe in termini di identità locali, sistematicamente edificanti la più generale identità Paese, e di prevenzione della degenerazione del conflitto di interessi ad ogni livello dell’organizzazione sociale.

Più che di innovazione culturale, sarebbe più adeguato parlare di riscoperta di una capacità di saper fare impresa inclusivamente che i sistemi territoriali italiani hanno storicamente dimostrato di saper veicolare, valorizzando le identità locali in termini di capacità produttiva reticolare di eccellenza, ma che le forze centrifughe della logica relazionale conflittuale dal XIX secolo, insieme alla crescente pressione competitiva non sempre regolamentata, hanno messo in discussione. La dimensione globale della competizione contemporanea genera rischi e opportunità socio-economiche, sta al sistema Paese dimostrare di essere all’altezza di perseguire un sentiero sistemico sostenibile intergenerazionalmente.

 

[1] Luisa Bosetti, Corporate governance e mercati globali, Franco Angeli Editore, 2011

[2] Gino Zappa, Le produzioni nell’Economia delle imprese, vol. II, Giuffrè, Milano, 1957

[3] G.Airoldi, G.Brunetti, V.Coda, Lezioni di economia aziendale, Il Mulino, Bologna, 1989, pp.315 in P. Nelli, La comunicazione interna nell’economica dell’azienda. Evoluzione, teoria, tecnica Vita e Pensiero ed., 1994

Estratto tesi di laurea, anno accademico 2012-13, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

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