La centralità strategica assegnata alla responsabilità sociale di impresa nella visione dell’economia sociale di mercato e il conseguente ruolo cruciale nella tessitura del legame sociale implicano una specifica concezione della struttura e della modalità di gestione del sistema aziendale.
L’inclusività del sistema relazionale aziendale rappresenta in tale visione una leva strategica fondamentale non solo a livello microeconomico di singola impresa: il benessere sociale generale si costruisce dal basso attraverso la coesione sociale dei singoli corpi intermedi (sussidiarietà), tra i quali l’impresa gioca un ruolo cruciale secondo una logica di interdipendenza tra dimensione economica e sociale della vita della persona umana. La partecipazione inclusiva dei vari stakeholders aziendali, in primis i lavoratori, viene considerata una strategia indispensabile per prevenire il potenziale anonimato alienante di imprese operanti con l’esclusiva finalità della massimizzazione del profitto (shareholder theory), causando esternalità negative in termini di coesione sociale macroeconomica. Scrive Alfred Müller-Armack:
‘’L’impresa moderna colloca il lavoratore in un contesto in cui questi non riesce a vivere unitariamente. Egli, in particolare, si vede esposto alle insufficienze umane e alla insicurezza delle congiunture che cambiano. Gli viene inevitabilmente incontro il carattere minaccioso della sua esistenza, che distrugge la sua fiducia nella società umana. Questa insicurezza porta non solo al fatto che i singoli gruppi nell’impresa […] tentino di limitarsi l’un l’altro […] allo scopo di ottenere almeno una parziale sicurezza, ma porta anche a una sfiducia generale nei confronti dell’intero ordine sociale. La conformazione dell’impresa dal punto di vista organizzativo nell’ottica delle relazioni tra persone non è stata quindi al passo con il progresso tecnico.’’1
Il pensiero dell’economia sociale di mercato a livello di impresa risulta totalmente coerente con la visione a livello di sistema economico: come il capitalismo storico deregolamentato generava tensioni sociali interclassiste che sfociavano nella ricerca di vantaggi divergenti rispetto al benessere sociale generale, così all’interno dell’impresa, in assenza di un’organizzazione inclusiva e partecipata, si generavano processi conflittuali non solo tra i fattori capitale e lavoro, ma anche tra i lavoratori stessi con forze centrifughe rispetto alla finalizzazione dell’azione aziendale comune. Il dissolvimento della coesione aziendale e la conseguente creazione di posizioni ostruzionistiche nella struttura, avverse al dialogo costruttivo e alla condivisione decisionale strategica a tutti i livelli della gerarchia aziendale, determinavano la degenerazione del sistema aziendale sia in termini di competitività economica che di sostenibilità sociale: il rischio potenziale non era rappresentato solamente dalla non massimizzazione della performance economica, ma dalla non durabilità nel lungo periodo dell’edificio aziendale per il cedimento delle fondamenta sociali. L’indissolubilità tra dimensione economica e sociale, tratto costante nella visione dell’economia sociale di mercato, implica la concezione di un modello organizzativo aziendale inclusivo finalizzato alla partecipazione della persona umana alle decisioni strategiche aziendali e una conseguente azione consapevole, poiché indirizzata verso obiettivi (e implementata con processi) condivisi. La condivisione del sistema valoriale veicolato dalla cultura aziendale e delle scelte aziendali, da essa ispirati attraverso l’orientamento strategico di fondo, rispondeva al principio strategico di rispondere ai bisogni morali (e non solo economici) intrinsechi al lavoratore, rispondenza risultante in una finalizzazione sistemica dell’azione aziendale.
Un ulteriore elemento di notevole attualità di visione consiste nella consapevolezza di come tale coesione aziendale rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente in ottica di responsabilità sociale di impresa: la finalizzazione dell’azione aziendale deve complementarmente porre obiettivi che siano coerenti processualmente con le responsabilità socio-ambientali verso la comunità di riferimento. In tal senso significative sono le parole dello stesso Müller-Armack:
‘’Tutte le iniziative di riforma collettiva, nella grande impresa industriale, in quanto più importante cellula funzionale nella società industriale, necessitano di una apertura senza riserve nei confronti delle maestranze e delle relative rappresentanze. Un’opera di progressiva informazione […] con riguardo a tutti i compiti esterni e interni, nonché sui successi e insuccessi dell’impresa crea, nel migliore dei modi, la necessaria atmosfera di fiducia. Solo con una tale apertura e con un consapevole riconoscimento della responsabilità pubblica può essere ottenuta nel più lungo periodo una riforma dell’istituzione-impresa che porti a un nuovo spirito d’impresa all’interno dell’ordine sociale.’’2
Fiducia all’interno e verso l’esterno, dunque, quale indispensabile fattore produttivo intangibile strategico con una potenziale funzione di moltiplicatore del valore socio-economico condiviso. Ne offre evidenza empirica la realtà dei distretti industriali tedeschi, valorizzanti le tradizioni e i valori radicati nel territorio, creando valore sia a livello economico (si pensi alla competitività degli outputs di tali filiere sia sui mercati interni che come esportazioni su scala globale) sia su un piano socio-ambientale, rafforzando un’ identità relazionale comunitaria basata sulla reciproca fiducia tra i soggetti sociali. Si vuole in quest’ambito sottolineare la profonda differenza di tale testimonianza con quella rappresentata, ad esempio, dai piani di incentivazione esclusivamente finanziario-economici, imposti a manager di alcune imprese multinazionali che troppo spesso, dietro operazioni di marketing formale di responsabilità sociale di impresa, nascondono una condotta economica che, sfruttando opportunisticamente le asimmetrie regolamentari di contesto, distrugge valore sociale e crea destabilizzazione sul piano della fiducia interpersonale e inter istituzionale, indebolendo quel legame sociale fondamentale per una società sana e sostenibile nel lungo periodo.
Nel quadro regolamentare tedesco a livello organizzativo aziendale un elemento portante è rappresentato dalle innovazioni legislative introdotte nella Repubblica Federale Tedesca nel 1951/52 (German Works Costitution Act), leggi che diedero un impulso fondamentale alla diffusione del modello di governance dualistico nella versione renana con l’introduzione dell’istituto giuridico della codeterminazione, Mitbestimmung, alla quale contribuirono anche le leggi del ’72 e ’76. Tale sistema interpreta la partecipazione degli stakeholders aziendali, in primis lavoratori e banche, al processo decisionale come una imprescindibile leva strategica per la sostenibilità del sistema aziendale nel contesto in cui è immerso (modello di governance network-oriented o relationship-based). La principale differenza tra il modello di governance dualistico renano e gli altri sistemi di amministrazione e controllo (tradizionale, monistico anglo-americano e altre forme dello stesso dualistico, come quella italiana introdotta nel 2003) è costituita dalla diverso grado di formalizzazione del coinvolgimento degli stakeholders aziendali attraverso la struttura di governance: il modello renano prevede, infatti, la presenza di un consiglio di sorveglianza, Aufsichtsrat, costituito da rappresentanti non solo della proprietà aziendale (comprendente una notevole quota di proprietà delle banche in rappresentanza anche dei piccoli azionisti), ma anche dei lavoratori, indipendentemente dalla loro iscrizione al sindacato o dal possesso di quote del capitale sociale. Consiglio che nomina/revoca il consiglio di gestione, Vorstad, approva il bilancio di esercizio e partecipa al processo decisorio sulle strategie aziendali di maggiore rilevanza attraverso un processo decisionale condiviso. La peculiarità del sistema dualistico renano risiede nell’obbligatorietà per le medio- grandi imprese (superiori ai 500 dipendenti) della presenza di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza e nella partecipazione delle banche alla nomina del consiglio stesso in virtù della partecipazione al capitale sociale. Oltre alla composizione, è la ‘’funzione di supervisione e indirizzo (e non solo controllo di legalità e correttezza)’’3 del Aufsichtsrat a caratterizzare il modello renano in ottica di cogestione, funzione basata sul potere strategico di nomina/revoca degli amministratori e di approvazione del bilancio di esercizio (e della relativa ripartizione degli utili o delle perdite), rafforzata dalle indicazioni dello statuto aziendale circa le materie gestorie del consiglio di gestione sottoposte a regime autorizzativo del consiglio di sorveglianza, tipicamente riguardante le principali decisioni di politica strategica di lungo periodo e le operazioni gestionali di natura straordinaria.
La caratteristica che ha maggiormente contribuito al successo socio-economico del modello di governance renano in termini di responsabilità sociale di impresa e competitività economica risulta esser costituita dalla presenza di un soggetto economico multistakeholder: non esclusivamente i manager (public company modello anglo-americano), non esclusivamente l’azionista di maggioranza (modello tradizionale), ma rappresentanti dei lavoratori e dell’azionariato (incluse le banche) detengono di diritto il potere di indirizzo strategico. Non deve confondere la delega dell’esercizio del potere di gestione dal consiglio di sorveglianza a quello di gestione, poiché rimane nelle mani del primo il potere di nomina e revoca degli amministratori. L’inserimento di diverse tipologie di stakeholders nel principale organo decisionale del sistema dualistico, il consiglio di sorveglianza, consente di valorizzare le potenzialità di questo modello di governance in termini di coesione aziendale e salvaguardia dell’interesse sociale, prevenendo condotte egoistiche del soggetto economico; e tale prevenzione si realizza non con un sistema articolato di controlli ex-post o sulla richiesta di fantomatiche richieste di indipendenza e professionalità dei soggetti gestori e controllori, ma attraverso una strategica partecipazione al soggetto economico. Cambia il principal nel rapporto di agenzia rispetto agli altri modelli di governance: gli amministratori gestori, agenti, vengono nominati/revocati dal consiglio di sorveglianza multistakeholder, principal. Questa impostazione ha giocato un ruolo strategico di notevole impatto psicologico e sociologico: il ‘principale’ , con cui tradizionalmente nel contesto italiano si individua il proprietario della quota di capitale sociale maggioritaria o più in generale il soggetto economico, diventa nel contesto tedesco un ‘principale multistakeholder’: lavoratori e detentori del capitale codeterminano l’orientamento strategico aziendale, superando la logica di lotta interclassista con un notevole innalzamento qualitativo del rapporto tra i fattori produttivi capitale e lavoro, cogliendo il senso etimologico della parola competere (dal latino cum-petere: andare insieme verso un medesimo punto), attraverso la finalizzazione dell’azione sistemica aziendale verso obiettivi strategici condivisi e soprattutto una condotta processuale ispirata da una cultura aziendale conforme al contesto valoriale della più generale comunità di riferimento. L’inclusività aziendale generata da un soggetto economico partecipato presuppone una concezione particolare di capitale sociale: esso non risulta esclusivamente costituito dalla semplice somma del valore dei tradizionali conferimenti dei soci, ma include un’altra fondamentale classe di conferimenti, il capitale umano4, da valorizzare attraverso una continua azione formativa e (differenza fondamentale rispetto agli altri sistemi di governance) da includere nel soggetto economico stesso attraverso la partecipazione al potere di indirizzo strategico. Il valore del contributo delle risorse umane, in altre parole, è come se venisse elevato a conferimento in conto capitale, vincolato stabilmente al sistema aziendale, e conseguentemente in diritto di codeterminare i principali elementi dell’impianto strategico, prevenendo il potenziale utilizzo del potere di controllo per finalità di un soggetto economico autoreferenziale (manager nelle public companies e azionista di maggioranza o soggetto di fatto dominante nelle società a capitale concentrato) deviante dall’interesse sociale aziendale.
Un’ulteriore peculiarità del sistema renano è rappresentata dalla specifica funzione svolta da un’altra importante classe di stakeholders aziendali, le banche: il modello dualistico tedesco si caratterizza per la prevalenza del finanziamento bancario sotto forma di capitale di proprietà rispetto al capitale di prestito. Le Hausbank tedesche partecipano al rischio di impresa, finanziando il capitale sociale con il conseguente potere di partecipare all’assemblea dei soci e quindi alla nomina di parte del consiglio di sorveglianza, rappresentando anche gli azionisti di minoranza depositanti le azioni (depotstimmrecht)5. Come per le risorse umane, anche il rapporto impresa-banca si caratterizza in tale contesto per una collaborazione attiva di lungo periodo istituzionalizzata dal vincolo di stabile destinazione delle risorse. Il socio banca garantisce, oltre alla componente monetaria, un apporto fondamentale di competenze gestionali, soprattutto in ambito di sostenibilità finanziaria, acquisite attraverso l’esperienza contingente. Il consistente finanziamento bancario vincolato a capitale riduce considerevolmente l’esposizione delle imprese sui mercati finanziari internazionali e genera un adeguato grado di equilibrio di composizione orizzontale tra fonti di finanziamento e investimento, prevenendo le problematiche connesse alla sottocapitalizzazione aziendale.
Il modello dualistico renano genera un notevole impatto anche su un piano di prevenzione della degenerazione del conflitto di interessi aziendale: le evidenze empiriche dei frequenti disastri socio-economici, tipicamente causati dalla condotta del soggetto economico manageriale nel modello di governance anglo-americano e dell’azionista controllante in quello tradizionale, derivano principalmente dalla natura del soggetto economico e dalle conseguenti potenziali direzioni strategiche divergenti rispetto alle finalità degli altri stakeholders. I tradizionali sistemi di amministrazione e controllo hanno empiricamente dimostrato i propri limiti nel tutelare non solo gli interessi dell’azionariato diffuso delle public company o degli azionisti di minoranza nelle imprese a capitale concentrato (visione shareholder), ma anche, e soprattutto, di tutti gli altri soggetti appartenenti alla comunità interna e esterna di riferimento. Il soggetto economico democratizzato del modello di governance renano mira a prevenire a monte (e non solo a controllare ex-post) tali degenerazioni attraverso la codeterminazione degli obiettivi e dei percorsi di lungo periodo. Anche il modello renano, come ogni forma contrattuale, è fallibile ed è stato al centro di fenomeni di corruzione dei rappresentanti dei lavoratori da parte del nocciolo proprietario di riferimento, tuttavia la dimensione dell’area grigia del conflitto di interessi e le probabilità di relativa degenerazione, nonché i danni apportati, risultano drasticamente minori rispetto agli altri modelli di governance. Nessun contratto è perfetto quando entrano in gioco le relazioni umane come nella gestione aziendale; la scelta tra sistemi alternativi di governance si deve conseguentemente basare sull’analisi comparata del livello di potenziale degenerazione conflitto di interessi e sul grado di formazione che il sistema formale riesce a imprimere sulla sfera della volontarietà umana. Il modello renano riduce notevolmente il conflitto di interessi complessivo attraverso un soggetto economico partecipato e inclusivo, al ‘costo’ (o meglio ‘investimento’) della generazione di un’ulteriore specifica relazione di agenzia tra i lavoratori e i propri rappresentanti; quest’ultimo è un rischio che si deve sicuramente cercare di ridurre, ma che in ogni caso genera un risultato netto positivo in termini di diminuzione della potenziale degenerazione del conflitto di interessi aziendale. La codeterminazione strategica va dunque a completare il modello dualistico sia da un punto di vista di prevenzione della degenerazione del conflitto di interessi sia in ottica di inclusività aziendale, con un notevole apporto formativo in termini di clima aziendale partecipativo .
La gestione della relazione di rappresentanza dei lavoratori, in particolare, si basa sul principio della diversificazione del rischio attraverso la molteplicità dei canali di rappresentanza: oltre all’operato dei sindacati a livello di contrattazione collettiva generale e di settore, la codeterminazione, per mezzo della sopra analizzata partecipazione ai consigli di sorveglianza nelle medio-grandi imprese e di consigli di fabbrica per tutte le imprese o unità produttive oltre i 5 dipendenti, rappresenta uno strumento rappresentativo fondamentale per la tutela proattiva dei diritti dei lavoratori. La presenza di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza è obbligatoria, indipendente dalla forma giuridica, nelle imprese con più di 500 dipendenti nella misura di un terzo del consiglio, elevata a un mezzo del consiglio per le imprese con più di 2000 dipendenti. Per tutte le imprese e le singole unità operative con più di 5 dipendenti è inoltre previsto obbligatoriamente un altro importantissimo istituto in ottica di democratizzazione del soggetto economico: il consiglio di fabbrica, Betriebsrat. Questo organo decisionale ha la funzione di rafforzare la codeterminazione nelle medio-grandi imprese a livello di unità produttiva e di garantirla anche nelle medio-piccole, non solo vigilando sul rispetto della normativa in tema di sicurezza sul lavoro e contrattazione collettiva, ma anche di codeterminare con il management aziendale decisioni in ambito gestionale: piani di incentivazione in funzione della produttività, flessibilità dell’orario lavorativo in funzione degli andamenti congiunturali, licenziamenti (nulli senza la consultazione e decisi dal potere giurisprudenziale in caso di opposizione), piani di ristrutturazione aziendale (con la codeterminazione, insieme anche alle istituzioni territoriali, di un Sozialplan di valutazione delle migliori soluzioni in termini sociali).
E’ importante sottolineare come sia i consigli di fabbrica che i consigli di sorveglianza, in linea con una logica di condivisione, siano rappresentativi dei lavoratori indipendentemente dall’appartenenza a specifiche sigle sindacali6, prevenendo i fenomeni della politicizzazione della rappresentanza lavorativa e di conflittualità tra le sigle stesse. La contrattazione collettiva generale e settoriale orizzontale viene completata dal fondamentale contributo del confronto a livello aziendale e di singola unità produttiva, in linea con il principio del decentramento decisionale sulla frontiera, con notevoli vantaggi in termini di efficacia strategica socio-economica. Evidenze empiriche sono in tal senso rappresentate dalla elevata produttività generata dalla struttura salariale semi-variabile e dalla capacità di flessibilità aziendale rispetto agli andamenti di mercato.
La condivisione degli orientamenti strategici di fondo richiede un salto culturale nel ruolo della rappresentanza dei lavoratori: il dovere di prendersi la responsabilità della partecipazione alle decisioni aziendali, uscendo dagli steccati culturali di una funzione esclusivamente di sorveglianza legata a dinamiche conflittuali e ispirando la propria attività ai principi della proattività della condivisione decisionale; la reale tutela dei diritti dei lavoratori non può che basarsi sulla partecipazione costruttiva alla definizione e implementazione delle strategie aziendali. Allo stesso tempo la cultura imprenditoriale deve esser aperta alla condivisione diffusa, interpretando la codeterminazione con i soggetti sociali dell’ambiente di riferimento come una leva strategia imprescindibile sia in termini di competitività economica di lungo periodo che di inclusività dell’organizzazione sociale aziendale fondamentale per il benessere sociale sistemico, coerentemente con la visione sussidiaria dell’economia sociale di mercato.
La cruciale importanza assegnata alla codeterminazione del sistema strategico aziendale non è una caratteristica esclusiva della Germania: la logica della condivisione strategica orienta la cultura sociale ed economica, seppur con strutture e strumenti organizzativi variegati, di molti paesi europei quali Austria, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia. Indipendentemente dai sistemi di governance adottati e dalla composizione della struttura proprietaria, la caratteristica che accomuna tali sistemi sociali a livello aziendale consiste nella democratizzazione del soggetto economico e del corrispondente potere di indirizzare il sistema strategico verso il reale interesse sociale attraverso la condivisione degli orientamenti strategici portanti, prevenendo la degenerazione del conflitto di interessi attraverso la minimizzazione delle opportunità di ricercare benefici privati in contrasto con il fine sistemico aziendale. Il fondamentale potere di partecipare all’indirizzo dell’azione aziendale determina un innalzamento del livello quantitativo e qualitativo dei flussi informativi e comunicazionali, finalizzati al coinvolgimento degli stakeholders aziendali (e non solo al controllo ex-post) e differenziati da un punto di vista del linguaggio in funzione del destinatario, e più in generale della trasparenza aziendale, non ostacolata o falsata per celare l’implementazione di strategie devianti.
La logica della codeterminazione influisce, infine, anche sullo stile di leadership, focalizzandolo sulla condivisione decisionale autorevole con valorizzazione della conoscenza di frontiera (piuttosto che sull’autoritarismo) e, conseguentemente, sui percorsi di carriera in cui, oltre alle skills tecniche, si considera il livello di competenze relazionali sostanziali (non di immagine personale formale) in termini di capacità di confronto e dialogo costruttivo intersoggettivo.
1 Alfred Müller-Armack, La società di oggi sulla base della concezione evangelica, 1970
2 Alfred Müller-Armack, Compiti dell’impresa nella società industriale, in La società di oggi sulla base della concezione evangelica, 1970
3 Paolo Montalenti, Società per azioni corporate governance e mercati finanziari, Giuffrè Editore, 2011
4 Concezione fondamentale in ottica di responsabilità sociale di impresa e pienamente in linea con l’attuale crescente attenzione per la tematica degli intangible assets e capitale immateriale.
5 P.Costanzo, M. Priori, A. Sanguinetti, Governance e tutela del risparmio. Best practice, regole e comunicazioni al mercato, Vita e Pensiero editore, 2007
6 Nel consiglio di sorveglianza, in particolare, solo una minoritaria percentuale dei seggi dei rappresentanti dei lavoratori è riservata ad appartenenti ad associazioni sindacali, mentre la maggioranza è costituita da rappresentati dei lavoratori eletti direttamente, indipendentemente dall’iscrizioni a sigle sindacali.
Estratto tesi di laurea, anno accademico 2012-13, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”