Anche Mitbestimmung ha partecipato al convegno di Pescara; di seguito alcuni appunti di Danilo Terra focalizzati sugli interventi in tema di partecipazione.
Il convegno, svoltosi presso l’Università degli Studi G. d’Annunzio il 25/26 settembre e organizzato dall’Associazione Italiana di Studio delle Relazioni Industriali (AISRI), è stato pensato con l’obiettivo di sviluppare un’analisi comparata del contesto italiano sia rispetto al Centro-nord Europa sia all’area mediterranea.
Il confronto ha affrontato tematiche quali la varietà delle relazioni industriali europee, la convergenza o meno e la maggior o minor importanza delle stesse, l’evoluzione della struttura di contrattazione (centralizzazione, decentramento) e il tema della rappresentanza connesso alla partecipazione dei lavoratori all’azienda.
E’ stata in più interventi sottolineata la necessità di un confronto su quest’ultimo tema, complementarmente al dibattito sul più efficace livello di equilibrio tra contrattazione collettiva e decentrata.
Il bisogno di un cambio di passo nel coinvolgimento dei lavoratori nella vita aziendale per ridurre il gap con alcuni Paesi europei sia in termini di competitività che di rappresentanza e inclusione sociale.
Di seguito sintetizziamo in ordine di intervento alcuni passaggi in tal senso:
Walter Cerfeda (Ires)
‘’Dovremmo essere in grado di costituire nel nostro Paese un funzionamento delle regole e di ispirazione di modelli di relazioni industriali che siano sincroni a quello che sta avvenendo come dinamiche e tendenze indiscutibili in tutta Europa, specialmente continentale:
1 Semplificazione: il mercato aperto ha spostato il centro della contrattazione sul luogo dove si realizza la ricchezza materiale e contratto di riferimento di garanzia (diritti normativi universali fissati da un contratto collettivo nazionale e difesa potere d’acquisto dei salari rispetto all’inflazione/deflazione; ultimo contratto dei metalmeccanici in Germania di 4 mesi fa chiude con 3,4% di aumento salariale lungo 18 mesi, come si può ottenere la salvaguardia del potere d’acquisto dei salari assegnandosi a un contratto di 3 anni che è un’era geologica nell’economia moderna? E’ talmente sbagliata questa impostazione che vengono inventate formule che non esistono quali l’IPCA che ha prodotto situazioni in cui i lavoratori devono restituire soldi all’impresa.
In tutta Europa sono 12, 18, massimo 24 mesi. Impedisce questo la contrattazione aziendale? Assolutamente no, non è assolutamente vero che servano 3 anni per includere la contrattazione aziendale, è una visione del secolo scorso; i metalmeccanici tedeschi fanno contrattazione aziendale).
2 Corresponsabilizzazione: quale contrattazione aziendale? Certamente non quella del secolo scorso. Ma contrattazione decentrata basata sul principio della corresponsabilizzazione per fissare dentro i cancelli dell’impresa la stabilità sociale ed economica per affrontare l’instabilità esterna. Il che cambia il tempo della contrattazione; siamo abituati a una contrattazione decentrata ex post, mentre in tutta Europa è ex ante, anticipa i processi. E per essere anticipatrice deve giovarsi non del rito della piattaforma rivendicativa, ma della contrattazione quotidiana con schemi bilaterali attraverso cui il flusso della produzione e il flusso del lavoro vengono regolati continuamente e mentre lo regoli fissi i criteri di produttività e la redistribuzione della ricchezza.
3 Inclusione: la crisi ha indotto divisione; la catena del valore aggiunto si è allungata tra committente e committenza lungo forniture, subforniture, appalti di I, II e III livello fino al lavoro nero. Si è allungata la catena del valore frantumando la catena dei diritti e se non hai un’operazione di inclusione nel sistema contrattuale, non superi le disuguaglianza prodotte dalla crisi. Come fai mentre si sta riducendo il peso del contratto collettivo? Salario minimo legale, in tutta Europa la risposta è questa, tutela di carattere universale compensativa. E in Italia c’è questa esigenza in un contesto in cui il tasso effettivo di applicazione del contratto collettivo è di gran lunga inferiore al tasso nominale di copertura.’’
Fausta Guarriello (Università di Chieti-Pescara)
‘’In questa sessione parliamo di contrattazione collettiva, ma ci sono altri strumenti che dovremmo ridiscutere e pensare di valorizzare, penso alla partecipazione. La partecipazione è un tema negletto nel nostro sistema di relazioni industriali al di là di qualche caso importante studiato ed enfatizzato, però non gode di un sostegno istituzionale forte. A fronte della debolezza che minaccia la contrattazione collettiva, non c’è alcun contrappeso dal punto di vista della partecipazione dei lavoratori.
Quando parliamo di contrattazione collettiva, in realtà dovremmo avere aperto uno spazio per capire come intervenire con altri strumenti che potrebbero aiutare a ristabilire equilibrio.
Partecipazione da intendere in tutte le sue varie applicazioni: dalla semplice informazione alla consultazione alla corresponsabilizzazione come ci ha detto oggi Cerfeda. E’ un elemento importante soprattutto dal punto di vista della competizione delle imprese e dei contenuti innovativi per innervare la contrattazione collettiva di elementi di conoscenza delle strategie dell’impresa. Può servire per migliorare i processi di contrattazione collettiva oltreché per mettere in piedi un’altra gamma del sistema di relazioni industriali che nel nostro Paese è sempre stata estremamente gracile per non dire quasi inesistente.’’
Giorgio Benvenuto (fondazione Buozzi)
‘’Oggi la democrazia in azienda è una democrazia in cui, bisogna dirlo non per criticare ma per vedere come si può cambiare, non c’è un meccanismo di verifica e di costruzione delle proposte sindacali. Se non riusciamo a coinvolgere, viene meno la solidarietà. Si rischia all’interno del mondo sindacale il meccanismo della divisione e della competizione che esiste già nelle economie. Non ci può essere solo una posizione difensiva, ma ce ne vuole una propositiva.’’
Tiziano Treu (già Ministro del Lavoro)
‘’Le forme partecipative delle aziende sono importantissime per il tema performance e qualità. Ci sono moltissimi esempi che andrebbero diffusi e sostenuti sia tra le grandi aziende che per le medio piccole; c’è un certo revival dell’azione contrattuale territoriale.’’
Stefania Rossi (BusinessEurope, vicepresidente commissione Affari Sociali)
‘’Crediamo che ci debba essere un rilancio del dialogo sociale, un sistema di maggiore partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori.
Credo che l’accordo fatto da Confindustria con Cgil, Cisl, Uil sulla rappresentanza, che speriamo di rendere operativo il prima possibile, sia testimonianza di quanto Confindustria creda nella stabilità del sistema di relazioni industriali italiano e voglia favorire un sistema più collaborativo e con meno conflitto.
Non a caso in Europa i paesi dove crescono di più i salari sono i paesi in cui è cresciuta la produttività. In Italia l’auspicio è che attraverso un accordo sulla riforma della contrattazione collettiva si riescano a favorire incrementi di produttività, cominciare a far salire i salari e innescare un meccanismo virtuoso che ci porti un po’ più su nelle classifiche.’’
Cesare Damiano (Presidente Commissione Lavoro della Camera)
‘’Subiamo, da un trentennio e oltre, le politiche liberiste a livello mondiale, il pensiero unico; facciamo fatica a trovare degli spazi alternativi se non episodicamente, ma un’alternativa di progetto a sinistra non la vedo, sto parlando di una sinistra riformista, socialdemocratica, europea, integrata nell’accettazione del mercato, ma che vuole temperare le ragioni del mercato con quelle della risorsa umana, delle persone, dello stato sociale, cioè del vecchio equilibrio del modello europeo, forse modello renano persino, che tende a scomparire.
Quando parliamo di ruolo delle parti sociali per trovare un nuovo equilibrio significa a partire dall’Italia accettare le nuove sfide. Sono un forte sostenitore del dialogo sociale, della concertazione, del ruolo delle parti sociali, però non possiamo neanche difendere quel ruolo con le parti sociali per come oggi sono. Bisogna aiutarle a cambiare.
Credo che sia molto giusto incentivare e favorire i negoziati tra le parti sociali: Confindustria, Cgil, Cisl, Uil hanno fatto un ottimo lavoro sul tema della rappresentatività; stanno facendo fatica per quanto riguarda la parte relativa al modello contrattuale. Quindi incentivare questi negoziati, uscire dalla tenaglia ‘non negozio se non mi chiudi i contratti, non ti chiudo i contratti se non negozi’. ‘Negoziamo tendando di fare i contratti’, una via bisognerà pur trovarla o è una paralisi, una sorta di ostruzionismo reciproco che induce taluni rappresentanti del mio partito e del mio governo a dire ‘interveniamo noi’.
Io vorrei chiaramente evitarlo perché credo che il secondo argomento, oltre a incentivare la negoziazione tra le parti sociali, sia quello di andare verso una legislazione di sostegno agli accordi tra le parti sociali sia sul tema del modello contrattuale che della rappresentatività e della rappresentanza.
Sul modello contrattuale sono sempre stato un sostenitore di quello che è stato il modello del ’93, il modello Ciampi di equilibrio tra contratto nazionale e decentrato. Possiamo fare dei passi avanti: credo che di fronte allo sbrindellamento letterale della tenuta dello standard salariale, di fronte agli appalti al massimo ribasso o al caporalato macedone nelle vigne della mia terra a 3 euro/ora, credo che un contratto nazionale che abbia l’obiettivo almeno di difendere lo standard salariale di riferimento e avere una legislazione che certifichi che al di sotto di quello standard non si va sarebbe già un grande successo. Un contratto cornice con un secco decentramento a livello aziendale della negoziazione del salario di produttività, dell’organizzazione del lavoro, della flessibilità organizzativa, dei turni, degli impianti, del rapporto flessibile con il mercato. Credo che questo salto vada compiuto e credo anche che se accettiamo l’idea dello standard, vada abrogato l’art.8 che consente le deroghe ai contratti nazionali e alla legislazione in materia sindacale, perché è l’esatto contrario della difesa di uno standard, perché è la rincorsa al dumping sociale, al corrompimento di regole di base che certificano gli standard contrattuali di retribuzione e di orario della prestazione dei lavoratori.
Un altro punto è quello della partecipazione: penso che si debba porre in termini di negoziato tra le parti sociali e anche di legislazione di sostegno il tema, soprattutto legato alle grandi multinazionali e alle aziende al di sopra almeno dei 5.000 dipendenti, della presenza di un rappresentante dei lavoratori nei consigli di amministrazione votato dai lavoratori. La legge francese ha recentemente disciplinato la materia, me ne sto occupando, mi sto occupando di questo argomento largamente presente a livello europeo, manca solo in Italia. Perché essere esclusi da questo orientamento che per lo meno può portare nel consiglio di amministrazione una voce alternativa per quanto riguarda la delocalizzazione delle imprese, l’acquisizione e la dismissione di parti delle stesse imprese, l’esternalizzazione delle produzioni, la difesa del marchio di fabbrica, del made in Italy, la difesa della radice nazionale delle nostre imprese.’’