Conferenza Cgil. Baseotto ai 921 delegati: “Il coraggio di cambiare per continuare a rappresentare e tutelare i lavoratori”.

Con la relazione introduttiva di Nino Baseotto ha preso il via a Roma la sesta Conferenza d’organizzazione della Cgil. Da tutta Italia sono giunti all’Auditorium di Roma 921 delegati, il 61 per cento dei quali espressione diretta dei luoghi di lavoro o delle Leghe Spi: “È la prima volta – ha sottolineato con orgoglio il responsabile organizzativo della Cgil nel corso del suo intervento – che in un’assise nazionale della Cgil si realizzano sia la sostanziale parità di genere, sia una netta prevalenza di compagne e compagni in produzione o militanti di Leghe Spi”.

La relazione di Baseotto è stata complessa e articolata, ma nella grande quantità di temi toccati non è mai stato eluso il tema fondamentale all’ordine del giorno. E cioè come rispondere agli attacchi spregiudicati e spesso ingiustificati dell’antipolitica al sindacato, e in particolare alla Cgil, senza però arroccarsi in una difesa sterile ma, anzi, accettando la scommessa che il sindacato deve avere “il coraggio di cambiare” per continuare a rappresentare e tutelare i lavoratori, sempre più deboli in uno scenario frammentato e nell’asprezza della competizione globale. “C’è un disegno politico preciso teso a delegittimare il ruolo e le funzioni delle organizzazioni sociali di rappresentanza – ha detto il sindacalista alla platea –: si fa uso di strumentalità e anche menzogne evidenti, ma allo stesso tempo si approfitta di limiti ed errori nostri, che vanno riconosciuti e corretti con rapidità”.

Rappresentanza, contratti e unità sindacale

La sfida di un moderno sindacato deve cominciare, proprio per questo, dal terreno più importante che resta quello della rappresentanza. “La nostra sfida a Governo e controparti è chiara – ha detto il sindacalista –: si traduca in legge l’Accordo interconfederale definendo anche un meccanismo di misurazione della reale rappresentatività delle associazioni d’impresa, come risposta necessaria a fronte di un processo ormai manifesto di frantumazione delle rappresentanze dei datori di lavoro”. Per Baseotto, “rappresentanza e contrattazione sono le risposte migliori agli attacchi al sindacato”. Per questo la Cgil respinge la tattica dilatoria di Confindustria che punta a fermare i rinnovi prima dell’accordo sul nuovo modello contrattuale: “Serve davvero, in questa fase un nuovo modello contrattuale?”, si chiede il sindacalista. “Per noi conviene rinnovare i contratti e aprire una comune rivisitazione della struttura della contrattazione. Proviamo a ragionare di come riduciamo drasticamente il numero dei Cccnl col fine di ricomporre le filiere. Ripartiamo dagli accordi sottoscritti insieme, che indicano la primazia del Ccnl, e definiamo con chiarezza quali materie affidare al secondo livello”.

Da qui dunque, per rendere credibile un’operazione di questo generale la necessità di una forte unità sindacale, perché “nell’attuale fase politica e sociale, ogni elemento di divisione, forse più che nel passato, è un fattore di debolezza complessiva del sindacato”. Per questo, “da questa Conferenza di organizzazione, vogliamo rilanciare una proposta agli amici e compagni di Cisl e Uil: riapriamo il cantiere per la costruzione di una più salda unità d’azione tra di noi. Non si tratta di annullare la competizione tra le organizzazioni, di spegnere o affievolire identità e tradizioni sindacali diverse, ma di far vivere tutto questo nel contesto di un rinnovato rapporto unitario, costruito su obiettivi e priorità. Pensioni, fisco e mezzogiorno sono temi che meriterebbero una più incisiva azione unitaria”.

La contrattazione inclusiva

Dopo aver toccato il tema del Sud (“Il Mezzogiorno deve tornare a essere una priorità nell’agenda politica del Parlamento e del governo”), quello della necessità di un nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori come risposta agli attacchi del governo alla legge 300, e le misure economiche prospettate dal governo (“sarebbe gravissimo se la prossima Legge di stabilità non affrontasse il tema della modifica della Legge Fornero e del rinnovo dei contratti delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici e si producessero ulteriori tagli a sanità e welfare”), Baseotto si è spostato verso il tema centrale della Conferenza d’organizzazione: come rinnovare il sindacato. E qui il sindacalista non è stato affatto autoconsolatorio: “Il nostro giudizio severo sulla crisi della politica non ci spingerà mai verso l’anti politica da un lato e, dall’altro, a non vedere che anche il sindacato, anche la Cgil ha i suoi problemi che dobbiamo affrontare con grande determinazione e con il coraggio di chi non ha mai paura di cambiare se stesso”. Cambiare a cominciare dalla pratica della contrattazione: “Oggi dobbiamo fare i conti con un dato incontrovertibile: il numero di persone tutelate e rappresentate dai Ccnl o dalla contrattazione di secondo livello è in sensibile diminuzione”. Contrattazione inclusiva, dunque, che coinvolga i lavoratori “degli appalti o dei sub appalti, oppure quelli interinali o parasubordinati o atipici, dove la nostra capacità di rappresentanza è ancora insufficiente, a volte residuale”.

I nuovi lavoratori

Non poteva, il segretario organizzativo della Cgil, ignorare le polemiche estive seguite al “falso”, così lo ha definito, di Repubblica sulla perdita di iscritti della Cgil. Tuttavia, “mentre rifiutiamo operazioni strumentali come quella, non ci sottraiamo a riflettere sui problemi che ha il tesseramento”. E questo nonostante che i numeri non siano affatto male, se è vero, ha snocciolato il dirigente sindacale, che dal 2008 al 2014, mentre la base occupazionale in Italia è calata del 4%, gli iscritti alla Cgil tra gli attivi sono aumentati dello 0,6%. Tuttavia questo non basta, ci sono bacini in cui il sindacato può e deve fare di più. I lavoratori under 35, ad esempio sono il 18% degli iscritti, mentre in Italia sono il 22,6% degli occupati; i lavoratori precari – tipici, atipici e partite Iva individuali – sono il 4% degli iscritti alla Cgil, mentre in Italia sono il 17% degli occupati.

“Questi dati – ha incalzato Baseotto – ci dicono che abbiamo uno spazio importante tra gli under 35 e che, soprattutto, dobbiamo lavorare di più e meglio tra i precari. Lì dobbiamo cambiare passo, migliorare decisamente il nostro radicamento, trovare la chiave non solo per mantenere egregiamente il nostro insediamento, bensì per ampliarlo in quantità e qualità”. E non bisogna avere tentennamenti: “Occorre spazzare via rapidamente le tendenze alla burocratizzazione che affiorano nelle nostre attività di proselitismo. Fare una tessera, proporre al non iscritto di iscriversi, convincerlo, andare a cercare nei luoghi di lavoro i possibili futuri iscritti e non attendere che passino loro nelle nostre sedi è un lavoro che non si può delegare ad alcuni, ma deve essere una competenza di ciascun compagno e ciascuna compagna, a partire da coloro che ricoprono i più alti incarichi di responsabilità ai vari livelli della nostra organizzazione”.

La precarietà

Tutti i limiti e la mancanze del sindacato, però, non possono nascondere un affatto evidente per chiunque sia in buona fede, e cioè che “la precarizzazione dei rapporti di lavoro è anzitutto il frutto delle scelte di chi ha legiferato e governato in questi anni e della dissennata pretesa delle nostre controparti di risolvere i loro cronici problemi di competitività attraverso la scorciatoia del taglio dei costi e dei diritti del lavoro dipendente”. A cominciare, naturalmente, dal governo in carica che ha dato il suo contributo “non solo destrutturando lo Statuto dei lavoratori, ma anche liberalizzando oltre ogni limite il ricorso ai contratti a tempo determinato”.

Il fango sulle retribuzioni

A proposito di retribuzioni e trasparenza, “il Regolamento del personale e i livelli stipendiali previsti sono disponibili sul sito web della Cgil e risalgono al 2008”. Da quando, cioè, il sindacato ha deciso di non procedere ad adeguamenti salariali per rispetto ai lavoratori colpiti dalla crisi. La Cgil, insomma, può affermare di distinguersi “per la sobrietà di coloro ci lavorano, offrendo quotidianamente un apporto che va ben al di là del normale orario di lavoro”. Lo stesso si può dire anche circa i presunti privilegi pensionistici dei sindacalisti. “Questo continuo fango, che ci viene scaricato addosso da una politica che ha smarrito il senso del proprio esistere e da una parte del sistema delle imprese appare come la condanna inflitta a chi non fa dell’omologazione la cifra del proprio esistere”, ha affermato il segretario confederale.

Il valore della partecipazione

Un passaggio fondamentale della relazione di Baseotto è stato quello relativo alla partecipazione e alla democrazia nel sindacato. Il cambiamento che la Cgil vuole realizzare si contrappone, infatti, alle mode correnti. “Nel nostro orizzonte non poniamo tentazioni movimentiste o derive plebiscitarie. Restiamo e resteremo un’organizzazione fondata sul principio della democrazia di mandato, che però sceglie di cambiare, spostando funzioni e poteri verso il basso, favorendo una partecipazione più diffusa e una democrazia più ricca”.

I lavoratori devono contare di più

La Cgil ha come obiettivo quello di elaborare “delle regole che affidino agli iscritti il diritto a partecipare con assiduità alla vita e alle scelte dell’organizzazione”, e dare “più forza e diffusione ai comitati e ai coordinatori, per far partecipare e contare di più i lavoratori”. La Conferenza, quando voterà gli emendamenti, deciderà se “dotarsi o meno dell’assemblea generale per l’elezione delle segreterie e dei segretari generali”, ma in ogni caso qualsiasi segretario generale o componente di segreteria sarà eletto da un organismo composto a maggioranza “da compagni dei luoghi di lavoro e delle leghe dello Spi”.

Un cambio di passo significativo per la Cgil, finalizzato a trovare “un punto di equilibrio tra l’esigenza di allargamento della partecipazione, la necessità di mantenere precise prerogative per i comitati direttivi e fare un uso avveduto delle agibilità sindacali”. Forse non esaustivo del problema, “ma che nessuno potrà sottovalutare o negare”.

Svuotare i palazzi, ripopolare i territori

La scelta del sindacato è quella di “svuotare i palazzi e ripopolare il territorio, presidiando anche il lavoro diffuso, quello che non sta più nei tradizionali confini dell’impresa”. Il perno di tutto ciò sono e restano le camere del lavoro, ha detto Baseotto, “intese come insieme inscindibile del livello confederale, delle categorie e del sistema delle tutele individuali”. La camera del lavoro, quindi, deve sempre più essere “il primo punto di sintesi tra attività confederale e attività delle categorie”, e continuare a realizzare “quell’equilibrio prezioso tra strutture orizzontali e verticali, che rappresenta la confederalità della Cgil”.

In tempi di leaderismo dilagante, nei quali “grande parte della politica si è ritratta dal territorio”, però, il radicamento del sindacato acquista un significato in più: “essere il terreno fertile per organizzare la partecipazione democratica di milioni di persone”.

Formazione

Ma per mettere i pratica tutto questo, l’aggiornamento continuo di conoscenze e competenze “deve essere un tratto distintivo di ogni dirigente”. Per allargare la partecipazione e gli spazi interni di democrazia, “bisogna dare l’opportunità a tutti i delegati e attivisti di acquisire competenze e conoscenze anche attraverso la formazione. Ecco perché è necessario “fare rete, mettere in condivisione e valorizzare le tante esperienze positive di formazione che ci sono in Cgil”. Per dare l’opportunità di aggiornarsi e formarsi a tutti e per renderla sempre più “un fatto automatico e necessario per l’insieme dell’organizzazione.

Il coraggio di cambiare

Il senso profondo che la Cgil intende dare a questa Conferenza di organizzazione, insomma, è tradurre anche le difficoltà, i ritardi e gli errori in “un innesco per determinare la cifra del cambiamento necessario” Per far ciò, “si chiede il coraggio di cambiare, di non accontentarsi mai di ciò che siamo, volgendo la testa per non vedere i limiti che ci sono”. Per Baseotto è questo il tempo “di promuovere il necessario rinnovamento generazionale ad ogni livello dell’organizzazione, senza derive giovanilistiche, ma neanche con l’idea che un giovane capace è pronto per dirigere solo quando giovane non lo sarà più.

(S. Iucci, www.jobsnews.it, 17.09.2015)

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