Un nuovo approccio alla gestione delle crisi e delle ristrutturazioni aziendali, che fa perno sul mix formazione (in vista della ricollocazione dei lavoratori) e sussidi più robusti. Con un duplice obiettivo: ridurre il numero di licenziamenti, e costruire un moderno ed efficace sistema di outplacement, con il coinvolgimento attivo delle imprese e del sindacato, valorizzando, così, la contrattazione.
È questo il “cuore” del pacchetto di proposte, inoltrate al Governo, per la gestione della transizione al nuovo sistema di politiche attive e delle crisi aziendali, complesse e non, messo a punto, dopo quattro ore di riunione, dal presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, affiancato dal vice presidente per il Lavoro e le relazioni industriali, Maurizio Stirpe, e dai leader di Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente,Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.
Il punto, spiegano in coro le parti sociali, è che il Jobs act, le nuove regole sulle pensioni e la fine, da gennaio, di mobilità e cassa integrazione in deroga, hanno ridisegnato gli strumenti di politica passiva; e nei fatti, imposto la ricerca di percorsi innovativi per affrontare le difficoltà, anticipando il confronto sindacale (non potendo più contare su rinvii sine die attraverso il ricorso reiterato agli ammortizzatori sociali, oggi vietato dalla normativa vigente).
Di qui la scelta di individuare soluzioni specifiche da adottare, nella loro interezza, sia nelle imprese interessate dalla Cassa integrazioni straordinaria (la Cigs, che si utilizza per difficoltà strutturali) sia nelle aziende che operano in aree di crisi industriale complessa e non complessa, laddove vi siano concrete possibilità di rilancio delle attività produttive (in pratica quando si è in presenza di un processo di riconversione e riqualificazione in atto).
Il passo iniziale è la stipula di un accordo sindacale, con cui si disciplina il ricorso alla Cigs in un’azienda in cui si debba predisporre un piano di gestione degli esuberi. In quest’accordo, le parti sociali potranno condividere un «piano operativo di ricollocazione» finalizzato a favorire la formazione e la ricollocazione, appunto, dei soggetti interessati, già durante il periodo di fruizione della cassa integrazione straordinaria. Non solo. Con il medesimo accordo (o con un’intesa successiva) le parti potranno, anche, convenire che il «piano operativo di ricollocazione» possa prevedere i contenuti di «un’offerta conciliativa», sulla falsariga di quella prevista dal Jobs act per il contratto a tutele crescenti, per arrivare alla risoluzione consensuale del rapporto di impiego (e di ogni altro eventuale profilo di contenzioso derivante dal rapporto, per esempio differenze retributive), in modo tale da poter anticipare i percorsi di formazione e riqualificazione utili alla ricollocazione. Per gli interventi formativi essenziali ai fini della ricollocazione, poi, le parti potranno prevedere di derogare al vincolo attualmente previsto relativo alla misura massima di fruizione della Cigs per tutta la durata del programma. Per le attività di formazione e di outplacement è prevista la possibilità di operare attraverso i fondi interprofessionali (in primis Fondimpresa, creato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil).
“Un nuovo approccio alla gestione delle crisi che fa perno sul mix formazione (in vista della ricollocazione dei lavoratori) e sussidi più robusti”.
Oltre a queste misure, nelle imprese che hanno avviato un piano industriale di ristrutturazione e di salvaguardia occupazionale e che operano in aree di crisi industriale complessa e non complessa, le parti sociali premono, poi, per alcuni correttivi alla disciplina degli ammortizzatori sociali: si chiede, in particolare, di poter derogare al tetto dei 24 mesi di fruizione dei sussidi in considerazione, anche, della complessità e dei tempi che caratterizzano queste (complesse) operazioni societarie.
Per quanto riguarda infine il contributo di mobilità (lo 0,30%), che cesserà definitivamente a decorrere dal 2017, Confindustria e sindacati propongono di coinvolgere i fondi interprofessionali, per consentirgli di poter ricevere e accantonare comunque questo contributo e destinarlo, tra l’altro, alla formazione o all’integrazione dell’assegno di ricollocazione o della Naspi.
(C. Tucci, www.ilsole24ore.com, 01.09.2016)