Un cambio di paradigma nelle relazioni industriali che stimoli la funzione sociale dell’impresa e affidi un ruolo nuovo ai lavoratori. Almaviva Contact rilancia sulla democrazia partecipativa nelle aziende per affrontare con strumenti innovativi la sfida industriale che il settore dei call center non si può permettere di perdere. Pena la scomparsa dalla scena produttiva italiana.
“Si tratta di un indirizzo in linea con le più avanzate esperienze europee e a temi ampiamente dibattuti a livello istituzionale anche nel nostro Paese”, spiega a CorCom l’Ad di Almaviva Contact, Andrea Antonelli. Il riferimento è al modello tedesco ma soprattutto all’articolo 46 della Costituzione che stabilisce: “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende”. Un articolo rimasto praticamente inapplicato nella storia del nostro Paese, se si esclude l’esperienza del Consiglio di sorveglianza della Olivetti, nato sul finire degli anni Quaranta del secolo scorso ma che non resse all’urto dell’autunno caldo del 1969.
“La nostra idea di democrazia partecipativa – prosegue Antonelli – punta a valorizzare l’unicità del piano industriale attraverso modalità di collaborazione che possono essere variamente modulate: si va dalla semplice informazione alla consultazione e all’esame congiunto di strategie, programmi e obiettivi, fino alla partecipazione dei lavoratori agli organismi aziendali. La nostra proposta apre un ventaglio di ipotesi per dare effettività ad una gestione socialmente responsabile attraverso istituti di democrazia partecipativa”.
Un percorso sfidante per Almaviva Contact che però deve essere orientato a necessarie azioni di carattere strutturale, come unica alternativa credibile alla riorganizzazione avviata – 2.500 tagli con la chiusura delle sedi di Roma e Napoli. In pratica un doppio binario su cui camminare se si vogliono scongiurare ulteriori riduzioni di occupazione: nuovo contesto di mercato per il settore dei call center – il governo ha annunciato azioni ad hoc – e una chiamata anche per il sindacato a svolgere un ruolo proattivo all’interno di un mondo del lavoro che cambia, anche per l’urto della digital transformation.
“In un mercato siffatto – spiega ancora il manager – è chiaro che i vecchi strumenti non funzionano più: penso agli ammortizzatori sociali snaturati nella loro funzione e che, da forma di sostegno al reddito, nel tempo sono diventati ‘la soluzione’ ad ogni crisi aziendale o di settore. Ma questo solo approccio di natura assistenziale, inseguito dal sindacato, non è più sostenibile”.
“Siamo ad un passaggio cruciale per il percorso di riequilibrio economica dell’azienda, sono necessarie scelte di discontinuità. Diventa decisivo mettere in campo la responsabilità di tutte le parti – evidenzia il manager – Se dalle istituzioni ci aspettiamo la garanzia effettiva di regole certe e rispettate, al sindacato, soprattutto in una situazione di così grave crisi, chiediamo di superare una astratta logica puramente rivendicativa, per assumere un ruolo ed avere voce nel percorso aziendale”.
Una chiamata alla responsabilità collettiva che rischia di scontrarsi con le posizioni della Cgil. Qualche giorno fa la segretaria generale, Susanna Camusso, riferendosi ai 2500 tagli annunciati da Almaviva Contact ha accusato l’azienda di “usare i suoi lavoratori come scudi umani”.
“Parole che suonano odiose e offensive – chiosa Antonelli – Parole odiose verso tutte le persone, qualunque posizione abbiano, che sono parte della comunità aziendale. Parole offensive verso la memoria, nell’evocare le vittime di immani tragedie per banali intenti polemici”.
“Di fronte ad una crisi così grave, ci attendevamo parole molto diverse da chi rappresenta un sindacato che in questi anni, mentre si perdevano decine di migliaia di posti di lavoro, è parso distinguersi per una malintesa protezione dello status quo più che per iniziative di contrasto alle distorsioni del mercato – conclude l’Ad – Ci auguriamo che non sia questo che il segretario della Cgil intenda per “moderno sistema di relazioni industriali”, come ci auguriamo voglia riflettere su espressioni che fanno torto alla sua stessa storia”.
(F. Meta, www.corriere comunicazioni.it, 31.10.2016)