Lo sviluppo dell’economia globale e la crescente apertura dei mercati rendono sempre più necessaria ed urgente la realizzazione di un contesto di democrazia economica e partecipativa. È necessario prendere coscienza del fatto che lo sviluppo dell’economia in chiave competitiva non può più prescindere dalla valorizzazione del capitale umano e che soltanto un sistema di relazioni industriali partecipative è in grado di garantirlo.
Un modello di tipo partecipativo è capace di favorire la cooperazione e di superare le situazioni di conflittualità inevitabili all’interno dell’impresa, ed è in grado di indirizzare le energie di tutti gli attori in gioco verso un aumento della produttività e della competitività dell’impresa stessa. La partecipazione dei dipendenti viene dunque a rappresentare, nel contesto dell’economia globale, una necessità fisiologica. In un contesto altamente competitivo è infatti necessario coinvolgere i lavoratori nella gestione delle imprese, attraverso iniziative di tipo economico, e renderli corresponsabili dei destini aziendali. Per favorire lo sviluppo del mercato del lavoro e l’aumento della competitività delle imprese non è più sufficiente motivare i dipendenti tramite buone condizioni salariali e incentivi professionali; è necessario inserirli nel processo decisionale aziendale ed è necessario rinnovarsi, creando sistemi in grado di abbandonare posizioni antagonistiche e di indirizzarsi verso strategie di cogestione, codeterminazione e, in generale, di partecipazione. Da questo punto di vista, la partecipazione rappresenta la soluzione più funzionale all’esigenza di competitività del mercato: l’attribuzione ai lavoratori di capacità decisionali e di vantaggi finanziari favorisce infatti il coinvolgimento, la crescita professionale e la valorizzazione delle risorse umane, elementi fondamentali per la riorganizzazione del sistema-impresa in chiave competitiva. In definitiva, la partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa può diventare l’elemento di connessione di un’impresa condivisa e plurale. Il fenomeno della partecipazione dei lavoratori all’impresa è ormai da tempo diffuso in forme e discipline differenti in molti Paesi europei ed è proprio l’Unione Europea, con i suoi interventi, che ha dato un impulso fondamentale alla formazione della cultura della partecipazione e della rappresentanza. Nell’ottica comunitaria la partecipazione dei lavoratori ha sempre rappresentato un traguardo di notevole importanza. Il modello partecipativo di origine comunitaria tende a conferire alle imprese europee un nuovo bene collettivo, una maggiore competitività per le proprie imprese e un miglioramento delle condizioni di lavoro. In altri termini, rientrano in questa visione di partecipazione tutte quelle metodologie di lavoro che prevedono una partecipazione ai processi decisionali in grado di consentire ai lavoratori di proporre e di far pesare il proprio punto di vista nell’impresa. La strategia comunitaria, del resto, si inserisce in un contesto economico e sociale profondamente cambiato: da un lato, la crisi economica dell’Europa, specialmente di fronte alle economie americana e asiatiche, la strategia di Lisbona, l’interesse rivolto alle risorse umane e alla conoscenza; dall’altro, una progressiva maturazione del pensiero economico, della cultura e dei valori che in passato hanno frenato l’implementazione di ipotesi innovative nel campo della partecipazione del personale. Vi è poi un altro aspetto della prassi partecipativa degno di nota, vale a dire il contributo che essa offre al superamento della logica negoziale tradizionale, dalla quale deriva un benefico effetto combinato: un contenimento dell’autonomia delle prerogative manageriali e, di converso, una dilatazione del grado di responsabilità dei lavoratori verso l’impresa. In tale contesto, la stessa contrattazione sindacale collettiva assume le forme «partecipative» di una micro-concertazione, che si traduce in una condivisione di obiettivi, di vincoli e di compatibilità, rendendo possibile coniugare gli obiettivi di efficienza e di produttività con quelli volti a garantire i cosiddetti «diritti di cittadinanza» nei luoghi di lavoro, così come più volte enunciati dal legislatore comunitario (articolo 27 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea firmata al Consiglio europeo di Nizza nel dicembre del 2000). Questa tendenziale convergenza strategica di obiettivi non è, comunque, priva di incertezze nel nostro sistema di relazioni collettive e richiede un’adeguata cornice legislativa, a oggi mancante, in grado di stimolare e di istituzionalizzare le prassi partecipative. La materia della partecipazione dei lavoratori all’impresa appare ancora oggi oggetto di una scarna disciplina sia a livello codicistico che costituzionale e si è prestata nel tempo a vari interventi, oltre che di natura dottrinale, anche di tipo legislativo. Di fatto, sul piano manageriale sono state sperimentate varie forme di valorizzazione delle risorse umane al fine di ottenere un maggiore impegno, una piena condivisione rispetto alla missione e agli obiettivi e un rapporto fiduciario tra gli attori dell’impresa. Ma la piena attuazione di un modello partecipativo e il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione e nei risultati di impresa ha bisogno di sostegni istituzionali, di regole certe e condivise, di informazioni e di trasparenza. È necessaria, dunque, una disciplina organica, sulla scorta di quanto sollecitato già da tempo in sede europea, in grado di dissolvere i nodi di una materia tanto controversa quanto fondamentale per il mercato del lavoro. L’intervento del legislatore è necessario per dare stabilità e uniformità a modalità partecipative già da tempo diffuse nei diversi settori produttivi. Il presente disegno di legge si pone, pertanto, come obiettivo quello di colmare un ritardo culturale e normativo che ci ha tenuto per troppo tempo arretrati rispetto ai Paesi anglosassoni, ove si sono sviluppate le esperienze più significative di azionariato dei dipendenti. L’introduzione di elementi di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese per via legislativa riveste, pertanto, un’importante funzione sociale stabilizzatrice, allorché rende oggettive e obbligatorie erga omnes procedure in larga parte già previste dalla contrattazione collettiva e le estende potenzialmente a tutti i settori produttivi. I tempi sono maturi per introdurre anche nel nostro Paese una legislazione organica e moderna capace di incentivare la partecipazione dei lavoratori ai risultati aziendali, mettendo questi ultimi nella condizione di poter condividere i benefìci e godere dei dividendi dell’impresa. Ciò è tanto più necessario in questo momento storico, in cui i processi di riallocazione del capitale indotti dalla globalizzazione dei mercati e dai processi di privatizzazione aprono nuove prospettive alla partecipazione dei dipendenti al capitale e alla governance di impresa. La stessa evoluzione della proprietà del capitale sociale delle imprese verso la diffusione dell’azionariato e l’importanza rivestita dal capitale umano sono elementi che inducono il legislatore a superare la divisione dottrinale tra capitale e lavoro, soprattutto ai fini della conduzione dell’impresa. In questa direzione, del resto, sta andando la stessa trasformazione del trattamento previdenziale dei lavoratori, che tende a spostarsi verso il mercato azionario. Questo sta creando un quadro nel quale l’azionariato dei dipendenti viene ad assumere una connotazione quasi «fisiologica» nell’ambito del microcosmo delle società di capitali e, più in generale, dell’economia di mercato. Il sistema italiano è alla vigilia di un ciclo di profondi cambiamenti che tenderanno indubbiamente a privilegiare il ruolo del mercato nella struttura proprietaria delle imprese enell’allocazione del risparmio, aprendo delle forme di rapporto innovativo tra capitale e lavoro. Il presente disegno di legge si compone di 11 articoli divisi in tre capi:
Capo I: norme in materia di partecipazione dei lavoratori dipendenti alla gestione dell’impresa;
Capo II: norme in materia di partecipazione azionaria dei lavoratori;
Capo III: disposizioni tributarie.
L’articolo 1 individua la finalità della legge, che consiste nel dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione e alle disposizioni della Carta sociale europea, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996 ratificata ai sensi della legge 9 febbraio 1999, n.30, che sanciscono il diritto dei lavoratori all’informazione, alla consultazione e alla partecipazione nell’impresa, nonché nel recepire gli orientamenti dell’Unione Europea esplicitati nella raccomandazione 92/443/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1992, relativi alla partecipazione dei lavoratori subordinati ai profitti e ai risultati dell’impresa. L’articolo 2 circoscrive dal punto di vista soggettivo l’ambito di applicazione della legge, chiarendo che essa si applica a tutti i lavoratori dipendenti della società datrice di lavoro, anche se assunti con contratto di lavoro a tempo parziale o con contratto di lavoro a tempo determinato; ne rimangono esclusi solamente i lavoratori in prova. L’articolo 3 stabilisce che le disposizioni della legge si applicano a tutte le imprese, in qualsiasi forma costituite, in cui lavorano più di cinquanta dipendenti, in linea con la normativa in materia di trattamento di fine rapporto ai fini della previdenza complementare, per la quale è prevista una differenza tra aziende sotto i cinquanta dipendenti e aziende con cinquanta o più dipendenti (articolo 1, commi 752-769, della legge 27 dicembre 2006, n.296 – legge finanziaria 2007). L’articolo specifica che tali imprese possono adottare uno statuto partecipativo che preveda forme di intervento dei lavoratori dipendenti nella gestione dell’impresa o l’attribuzione di strumenti finanziari che consentano la partecipazione agli utili. L’articolo 4 disciplina i contenuti dello statuto partecipativo, che deve necessariamente prevedere:
1) l’istituzione di organismi congiunti, costituiti da rappresentanti dell’impresa e da rappresentanti dei lavoratori, con poteri di indirizzo, controllo, decisione e gestione in alcune specifiche materie;
2) la regolamentazione di procedure formali, vincolanti e garantite, di informazione e di consultazione preventiva e di controllo sulle decisioni maggiormente rilevanti per l’impresa, in favore dei rappresentanti dei lavoratori;
3) la distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota del profitto di impresa eccedente una soglia minima fissata;
4) una congrua rappresentanza dei lavoratori negli organismi di amministrazione, di controllo, di sorveglianza o di gestione delle imprese.
L’articolo 5 disciplina i piani di partecipazione finanziaria che prevedono l’attribuzione, su base volontaria, ai lavoratori dipendenti, di strumenti finanziari, specificando che l’adesione a tali piani non può essere fonte di discriminazione e deve garantire la parità di trattamento. Tali strumenti finanziari possono essere assegnati alternativamente o a un fondo comune di impresa costituito in forma di società di investimento a capitale variabile (SICAV), le cui caratteristiche sono determinate con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze sentite la Banca d’Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) (articolo 6), o ad un’associazione di partecipazione finanziaria di impresa (articolo 7). L’articolo 8 prevede che le associazioni di partecipazione finanziaria possano sollecitare il rilascio delle deleghe di voto da parte dei dipendenti assegnatari degli strumenti finanziari, mentre l’articolo 9 prevede la possibilità di ricorrere, in alternativa al conferimento delle deleghe, allo strumento dell’intestazione fiduciaria degli strumenti finanziari a società fiduciarie, anche costituite unilateralmente dalle stesse associazioni. L’articolo 10 chiarisce che le disposizioni della legge si applicano in ogni caso alle assegnazioni di strumenti finanziari effettuate in favore dei prestatori di lavoro ai sensi dell’articolo 2349 del codice civile. L’articolo 11 individua, infine, alcune agevolazioni fiscali in favore sia dei lavoratori dipendenti che detengono strumenti finanziari dell’impresa, sia in favore delle imprese che istituiscono lo statuto partecipativo, ferma restando la revocabilità, con effetto retroattivo, di tali benefìci in caso di mancato rispetto del limite temporaneo di incedibilità degli strumenti finanziari.