Sara Parolari è ricercatrice presso l’Accademia Europea (EURAC) di Bolzano, il suo contributo è un’opportunità di “pensiero laterale” sul tema della partecipazione.
1. Introduzione
Nelle società contemporanee il processo deliberativo è sottoposto a forti tensioni. La democrazia rappresentativa è in forte crisi, come risulta evidente, tra le altre cose, dal ruolo sempre più marginale delle assemblee elettive.
La rappresentanza degli interessi passa in maniera crescente attraverso canali alternativi al circuito politico-rappresentativo, cresce il ruolo della legittimazione tecnica delle decisioni (dalle decisioni giudiziarie a quelle fondate sulla discrezionalità tecnica), la politica fatica a conservare il suo primato e si registrano forme sperimentali di democrazia nei processi decisionali pubblici. Il fenomeno è dovuto alla crescente complessità delle società contemporanee, articolate e plurali(ste), e troppo dipendenti da scelte composite per poter essere efficacemente gestite solo in base ad un mandato elettivo. Ciò vale per tutti i livelli di governo da quello sovranazionale a quello nazionale, da quello regionale a quello comunale.
In tale contesto sin dagli anni ‘90 si è manifestata una graduale apertura verso strumenti di gestione territoriale innovativi, in cui il coinvolgimento dei cittadini ha progressivamente acquisito un valore di portata sostanziale, in controtendenza rispetto ad un panorama che riduceva la partecipazione ad una mera enunciazione di principio con il rischio di tradursi in un contenitore vuoto .
In questo senso, lo strumentario messo a disposizione dalla democrazia partecipativa ha dimostrato di essere potenzialmente in grado di permeare l’ordinamento nel suo complesso, così fornendo risposte alla profonda crisi che lo Stato democratico sta attraversando.
Ma cosa si intende con l’espressione “democrazia partecipativa”?
Il riferimento è a quella struttura di governo all’interno della quale le decisioni (o meglio, alcune di queste) vengono adottate attraverso un processo decisionale integrato da una fase consultiva che coinvolge direttamente i cittadini. Non si tratta dunque di spogliare le istituzioni, e al loro interno i rappresentanti eletti, del loro ruolo ma piuttosto di fornire uno strumento supplementare per garantire un miglior governo. Ciò perseguendo il miglioramento della qualità dei provvedimenti pubblici, anche alla luce dell’opportunità che le istituzioni tengano conto e motivino le proprie decisioni rispetto agli esiti del processo partecipativo. Gli esperimenti inquadrabili nell’ambito della democrazia partecipativa a livello globale ed europeo sono innumerevoli, si va dai town meeting sviluppatisi a partire dalla fine del ‘600 negli Stati Uniti d’America, fino al débat public che pone le sue radici in Francia, passando attraverso le citizens juries diffusesi soprattutto nell’area anglosassone .
2. Che cos’è il bilancio partecipativo
Tra le pratiche partecipative più interessanti un ruolo centrale è rivestito dai percorsi di bilancio partecipativo, ovvero quelle esperienze di coinvolgimento dei cittadini nella costruzione delle politiche pubbliche che si fondano sulla decisione condivisa di alcune voci dei bilanci degli enti territoriali.
Non è possibile offrire una definizione univoca di bilancio partecipativo anche perché non esistono modelli replicabili, ma solo sperimentazioni eterogenee . Un tentativo per descrivere di cosa si tratta viene dal Dizionario di Democrazia Partecipativa secondo cui il bilancio partecipativo è “uno strumento che può inserirsi nel processo decisionale relativo alla manovra di bilancio, avente lo scopo di coinvolgere la popolazione nella scelta degli obiettivi e delle modalità di spesa delle risorse pubbliche per interventi sul territorio” .
In altre parole, si può affermare che il bilancio partecipativo permette ai cittadini di decidere insieme alle amministrazioni come gestire le risorse pubbliche, favorendone così il coinvolgimento diretto nella vita della città. Infatti, se da un lato il bilancio è il documento contabile che rappresenta in termini economici le entrate e le spese di un ente pubblico, dall’altro, costituisce una lente attraverso la quale leggere la realtà dei territori. Questa declinazione del bilancio lo trasforma da mero strumento di contabilità in chiave di lettura del rapporto tra contribuzione e definizione concreta dei servizi pubblici che ciascun ente fornisce ai propri cittadini. La partecipazione dei cittadini alle decisioni relative al documento di bilancio lo rendono un progetto condiviso, luogo di dialogo tra cittadini ed istituzioni per la definizione delle priorità di spesa dell’amministrazione, attraverso un concetto innovativo di bene comune.
3. Il bilancio partecipativo: dove è nato e come si è diffuso
Il bilancio partecipativo come metodo strutturato di confronto democratico e luogo di co-decisione tra amministrazione e cittadini, le cui conclusioni sono assunte come “patto vincolante” tra le istituzioni locali, è nato nel 1989 nella metropoli brasiliana di Porto Alegre, capitale dello Stato del Rio Grande do Sul .
La nascita del bilancio partecipativo a Porto Alegre è il risultato dell’azione congiunta di attori diversi (partiti, associazioni, società civile, ecc.) che forti di una serie di circostanze convergenti (quali il processo di democratizzazione del Brasile e la riforma della finanza locale) sono riusciti a sviluppare un dispositivo originale e funzionale. Inizialmente, si è fatto ricorso a tale strumento per le decisioni relative agli investimenti municipali che rappresentano la parte del bilancio più flessibile e anche quella di più immediata comprensione per il cittadino, traducendosi in opere visibili e tangibili nello spazio urbano. Successivamente, l’uso del bilancio partecipativo si è esteso a tutte le voci del bilancio, andando a poggiare su due dimensioni tra loro complementari. La prima di natura spaziale: ogni territorio definisce le proprie priorità e ne discute con i suoi cittadini. La seconda è tematica: il processo partecipativo è organizzato sulla base degli ambiti di intervento del Comune cui corrispondono dei gruppi di discussione riuniti in specifici comitati per settore di competenza. Territorio e temi, nel loro correlarsi, permettono di costruire una visione trasversale che procede dal micro-locale verso l’insieme del corpo urbano. Oggi nei diversi quartieri di Porto Alegre si organizzano incontri, più o meno formalizzati, con l’obiettivo di esaminare in via preliminare i bisogni della popolazione. Su scala distrettuale sono invece istituite assemblee generali – che si riuniscono annualmente – e forum partecipativi permanenti con compiti di coordinamento e di successivo accompagnamento in fase attuativa. Infine, è previsto per la città nel suo complesso il Consiglio del Bilancio Partecipativo (COP), in cui consiglieri popolari nominati nei vari distretti cittadini e nei diversi forum tematici svolgono un lavoro di sintesi delle proposte provenienti dai territori, negoziando con l’amministrazione comunale l’ordine delle priorità. La partecipazione alle assemblee è aperta a tutti i cittadini, singoli o organizzati, su base volontaria .
Il potere riconosciuto ai cittadini per la definizione delle politiche pubbliche di spesa attraverso il bilancio partecipativo è significativo, soprattutto in considerazione dell’estesa autonomia conferita ai medesimi nella definizione delle regole da rispettare.
Dal Brasile il bilancio partecipativo si è diffuso in tutto il mondo. Attualmente, le esperienze di bilancio partecipativo sono innumerevoli. Su scala mondiale si riscontrano casi assai diversi tra loro poiché svariati sono i fattori che incidono sullo sviluppo di tali pratiche e sulle forme che esse vengono ad assumere. Si individuano esperienze a tutti i livelli di governo sub-statale, da quello locale a quello regionale, passando da quello intermedio (provinciale). Come detto, tuttavia, il livello comunale resta quello più idoneo ad accogliere lo strumentario della democrazia partecipativa. Inoltre, ogni caso presenta delle caratteristiche specifiche ben precise, per la necessità imprescindibile di rispondere alle esigenze non solo del territorio di riferimento, ma anche degli organizzatori e dei promotori dei bilanci partecipativi.
Le combinazioni di attori e procedure riscontrabili nella prassi sono quindi infinite. Vi sono ad esempio modelli che si basano solamente su processi dialogici, altri invece che combinano meccanismi tipici della rappresentanza (basati sul principio maggioritario) a meccanismi che si fondano sul metodo della negoziazione, altri che scelgono strumenti propri della democrazia diretta (come il referendum). Differenze anche considerevoli si riscontrano poi con riferimento al grado di vincolatività rispetto alle decisioni delle pubbliche amministrazioni coinvolte, nonché con riferimento ai soggetti titolari del diritto di partecipazione e a coloro che possono farsi promotori di tali processi. Vi sono esperienze che sono rimaste sulla carta o non sono andate oltre la fase sperimentale e, al contrario, casi in cui i percorsi partecipativi sono entrati nella procedura ordinaria di bilancio. In considerazione della grande varietà vi sono quindi casi da annoverare come buone prassi, ma anche esperienze che sono state fallimentari.
4. L’Italia e le pratiche di bilancio partecipativo
Anche in Italia lo strumento del bilancio partecipativo ha trovato diffusione anche se, tutto sommato, in misura ancora ridotta. Il fondamento giuridico delle pratiche partecipative poste in essere è rinvenibile in primis nel principio di sussidiarietà sancito non solo a livello nazionale, ma anche europeo, nonché nella Costituzione (cfr. ad es. l’art. 3 correlato con gli artt. 1.2 e 2) .
La dimensione locale è quella presso la quale si rende maggiormente possibile una rilettura in chiave partecipativa della Costituzione . Infatti, la cellula comunale è sicuramente la più idonea ad ospitare esperimenti, in generale, di democrazia partecipativa e, in particolare, di bilancio partecipativo. Ciò in quanto tendenzialmente il cittadino si sente più rappresentato da questo ente territoriale, in considerazione del ruolo primario da questo rivestito sul fronte dei servizi, quale forma più tangibile dell’esercizio della funzione pubblica sul territorio. Il livello comunale presenta al tempo stesso una maggiore facilità gestionale degli strumenti partecipativi in ragione della sua limitata estensione territoriale e demografica, rendendosi così adeguato per una prima sperimentazione di pratiche partecipative.
I Comuni hanno a disposizione diversi strumenti per poter introdurre nei propri schemi decisionali fasi di consultazione o co-decisione con i cittadini innovando, in questo modo, la propria struttura istituzionale.
L’autonomia comunale consente infatti di introdurre nello Statuto o nel corpus normativo locale fonti giuridiche di disciplina di tale strumento, garantendo regole specifiche e una certa continuità temporale.
In questo senso il bilancio partecipativo risulta essere uno strumento interessante e funzionale per l’innovazione istituzionale delle amministrazioni comunali. Se infatti, una delle cause della crisi della politica è dovuta a una scarsa informazione e trasparenza legata anche all’utilizzo delle risorse pubbliche, l’approfondimento e l’individuazione di percorsi di bilancio partecipativo adeguati e tagliati sulle esigenze dei Comuni può produrre un miglioramento in termini di rapporto tra amministratori e amministrati e di positivo sviluppo della gestione delle risorse pubbliche . Declinato a livello locale, il bilancio partecipativo è dunque una procedura che consente ai cittadini di partecipare democraticamente alla definizione di tutto o di una parte significativa del bilancio del Comune ove risiedono. A seconda del contesto e dello scopo di questa forma specifica di partecipazione civica si sono affermati diversi tipi e percorsi di bilancio partecipativo .
Si possono comunque notare degli elementi comuni con riferimento alla struttura ed alle modalità con cui opera concretamente un esperimento di bilancio partecipativo. Idealmente, un bilancio partecipativo si compone di tre fasi:
1. Fase di informazione: dopo l’illustrazione in Consiglio Comunale della proposta di bilancio, attraverso dépliant, pagine online, supplementi di quotidiani o conferenze stampa i cittadini vengono informati dettagliatamente sul bilancio nel suo complesso e su singole poste di bilancio (ad esempio entrate e uscite che riguardano biblioteche, piscine, scuole materne, pulizia delle strade, depurazione delle acque o gestione dei rifiuti, ecc.).
2. Fase di consultazione: successivamente, nell’ambito di un’assemblea plenaria aperta o di forum i cittadini interessati possono esprimere le loro proposte, discutere l’intero bilancio o solo alcune sue parti, fissando delle priorità in relazione ai tagli della spesa o agli investimenti. La consultazione può anche limitarsi a somministrare ai cittadini dei questionari, per iscritto oppure per telefono. Una variante di questo processo molto diffusa ha come obiettivo il raggiungimento del pareggio di bilancio: ai cittadini vengono presentate diverse opzioni di consolidamento del bilancio. Dopo di che possono fissare delle priorità o anche avanzare delle proposte. Quindi, sulla base delle singole opinioni raccolte, si elabora una proposta unitaria.
3. Fase di rendicontazione: nella fase conclusiva del processo, gli amministratori locali presentano le proposte accolte, quelle respinte e ne spiegano i motivi.
Il potere decisionale, però, resta ancora saldamente nelle mani dei politici e dell’apparato amministrativo, ed esso ricomprende anche la competenza a stabilire in che misura i cittadini, nelle rispettive città e situazioni di riferimento, possano partecipare. Di conseguenza, nell’applicazione pratica si osservano diverse scale di priorità, a seconda di quanto siano vincolanti le deliberazioni: in alcuni Comuni, le assemblee pubbliche convocate per informare la cittadinanza sul bilancio comunale vengono annoverate tout-court sotto la denominazione di “bilanci partecipativi”. In altri i cittadini formulano delle proposte sull’impiego delle risorse pubbliche che non sono però vincolanti per i decisori. In alcuni Comuni la voce dei cittadini ha un peso maggiore quando la programmazione finanziaria e l’allocazione delle risorse vengono esaminate congiuntamente. In questi casi l’attenzione si concentra sulla definizione condivisa delle priorità e sulla scelta degli investimenti, sulla base di criteri fissati con una procedura partecipata. In questo contesto le decisioni sono relativamente molto vincolanti.
Nella maggior parte dei casi, la redazione del bilancio partecipativo viene limitata ad una sua parte, cioè non tutti i fondi di bilancio vengono gestiti attraverso forme partecipative, ma solo una quota (che di solito non copre nemmeno la metà degli stessi) spesso destinata ad opere pubbliche quali campi sportivi, piscine, parchi etc.
Uno dei primi casi e tra i più significativi in Italia è quello del Comune di Grottammare nelle Marche, ma ad esso hanno fatto seguito diversi altri Comuni, tra cui città di medie dimensioni come Udine e Modena. In anni più recenti, l’attenzione per tale pratica partecipativa ed i suoi potenziali effetti positivi ha spinto alcune città metropolitane – come Roma, Napoli e Venezia – a nominare un delegato speciale con il compito di verificare eventuali metodi di partecipazione .
Nell’ambito del panorama italiano, l’Alto-Adige vede il ricorso allo strumentario offerto dalla democrazia partecipativa ancora in fase embrionale, limitato a poche sporadiche esperienze, senza che esso si sia affermato nella prassi quale consuetudine diffusa. Ciò può dipendere da una pluralità di fattori tra cui la scelta del legislatore della Provincia Autonoma di Bolzano di non intervenire con una misura legislativa generale/organica di promozione di tale forma democratica.
Da un punto di vista giuridico, anche i Comuni altoatesini hanno il potere di introdurre nei loro statuti strumenti di partecipazione. Finora lo hanno fatto solo con riferimento a strumenti di democrazia diretta quali ad es. la petizione, il referendum consultivo, le consulte delle associazioni, pur sempre entro i limiti dello Statuto di autonomia e della Costituzione.
Per quanto riguarda nello specifico il bilancio partecipativo, il caso più noto è quello del Comune di Malles in Val Venosta. Si tratta dell’unico comune altoatesino ad aver istituzionalizzato nel proprio statuto lo strumento oggetto del presente articolo. Infatti, lo statuto del Comune di Malles (art. 39 comma 4) dispone che il bilancio partecipativo sia introdotto “come una forma pubblica di partecipazione relativa all’impostazione del bilancio di previsione comunale ed alle sue priorità. Tramite tale forma di partecipazione l’amministrazione comunale promuove la trasparenza e l’assunzione di responsabilità tanto per le spese pubbliche quanto per le possibilità di risparmio. L’attuazione viene regolata con apposito regolamento comunale”. Ad oggi, tuttavia non si è ancora giunti alla fase attuativa e quindi non è possibile operare una valutazione sui possibili effetti di questo esperimento per il territorio altoatesino.
Da un’analisi del contesto italiano, così come accade per altri ordinamenti, emerge quindi con evidenza come il ricorso al bilancio partecipativo si manifesti come una prassi diffusa a macchia di leopardo mancando di un’effettiva sistematizzazione. Non vi è dubbio che lo strumento sia efficace per la capacità di andare al cuore dell’esercizio della sovranità, ma manca forse una cultura della partecipazione diffusa a tal punto da renderlo una pratica consolidata.
(il Commercialista Veneto, No. 225, Maggio/Giugno 2015)