Intervista a Emiliano Di Carlo (parte II) – Sistema di governance dualistico

Il sistema di governance dualistico tedesco istituzionalizza la partecipazione dei lavoratori (istituto della Mitbestimmung) oltre che al consiglio di fabbrica (Betriebsrat) a livello di unità produttiva territoriale, anche al consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat), fondamentale organo aziendale che nomina/revoca gli amministratori del consiglio di gestione, definisce l’orientamento strategico di fondo e approva il bilancio.
Rispetto al sistema di governance anglosassone e al tradizionale, quale ruolo svolge questa caratteristica in ambito di prevenzione del conflitto di interessi, inclusività aziendale e legame sociale?

Un modello di governance che induce estrinsecamente alla codeterminazione azionisti/lavoratori svolge sugli stessi un ruolo formativo in termini di attitudine e cultura alla cooperazione. Il dualistico giapponese raggiunge, anche se con modalità differenti, lo stesso scopo: il consiglio di amministrazione viene nominato dagli azionisti, ma lì ti trovi una cultura che vede il lavoratore come una risorsa importante e strategica; quindi anche se il lavoratore formalmente non è inserito negli organi societari di governance, la cultura naturalmente induce per motivazione intrinseca gli amministratori a una condotta socialmente responsabile (complementarietà legge/cultura).
Quando esiste una convergenza verso l’interesse comune (per motivazione intrinseca e/o estrinseca), questo riduce naturalmente i conflitti di interessi. Non devo gestire i conflitti tra i diversi portatori di interesse come prevede il modello anglosassone dove ogni stakeholder dovrebbe esser ogni volta incentivato per allineare il suo interesse a quello dell’azienda; o meglio non dell’azienda, bensì esclusivamente dell’azionista.
Ecco perché, secondo me, quel sistema ha fallito e non potrà mai funzionare la cooperazione per fare l’esclusivo interesse dell’azionista. Ben diverso è cooperare per fare l’interesse dell’azienda; se fai l’interesse dell’azienda, di conseguenza fai il tuo interesse.
Apprezzo il modello anglosassone per la semplicità/adattabilità alle dinamiche aziendale e per la chiarezza e univocità del fine (creare valore per l’azionista), ma il problema insormontabile è che tale fine non è compatibile con la sopravvivenza/sviluppo di lungo periodo in ottica di responsabilità sociale di impresa. E’ un sistema che ha alimentato fortemente sia il conflitto di interessi che le logiche conflittuali capitale/lavoro.
La teoria degli stakeholders, d’altra parte espone al rischio di lasciare il management senza fini per la pluralità dei diversi fini dei singoli stakeholders. Ma è un rischio prevenibile grazie ai dettami dell’Economia Aziendale italiana: l’unica guida alla risoluzione dei dilemmi etici (quale tra i diversi fini, tutti giusti e legittimi, perseguire?) che fisiologicamente si presentano nella gestione aziendale è costituita dall’interesse primario dell’azienda bene comune (che cosa è più giusto per l’azienda).
In tal senso ritengo che, rispetto agli altri, il modello di governance tedesco orienti maggiormente l’azione aziendale verso l’interesse primario dell’azienda bene comune. Il ragionamento che hanno fatto è semplice: si dice l’azionista è importantissimo e da remunerare; d’altra parte, però, il rischio che hanno prevenuto è che se hai un’azionista di breve periodo (public company modello anglosassone) o un’azionista di maggioranza (modello europeo), non è detto che il suo interesse sia allineato all’interesse dell’azienda di medio-lungo termine di sopravvivenza/sviluppo. Congrua remunerazione di ogni stakeholder, compreso l’azionariato.

All’interno dell’azionariato tedesco un ruolo importante viene svolto dalle Hausbank, banche legate all’economia dell’azienda nel lungo periodo; esiste, a suo avviso, una correlazione tra questo ruolo e la fisiologica, non esasperata nel breve termine, ricerca del profitto aziendale (a differenza del sistema anglosassone)?

Assolutamente sì. Nell’impostazione tedesca l’impresa viene vista come un bene comune dove i vari stakeholders (banche, azionisti, lavoratori ecc.) si pongono l’obiettivo di cooperare nel lungo periodo allo sviluppo aziendale poiché, così facendo, ne guadagnano tutti.

Il concetto del competere, cum petere : finalizzare diritti/doveri verso l’interesse aziendale?

Certamente; e questo testimonia che quel sistema si basa su una cultura della cooperazione che non tutti i paesi hanno.
Il modello di governance angloamericano ha un limite grandissimo che è quello dell’orientamento al breve termine; ma questo orientamento chi lo porta? Lo portano gli azionisti che entrano/escono frequentemente e speculativamente dalle classiche public company, a differenza del modello tedesco in cui ho dei noccioli di controllo con azionisti permanenti nel medio/lungo termine.
Ecco, secondo me il modello di governance tedesco e la legislazione tedesca più in generale si pone l’obiettivo fondamentale di portare l’interesse dei singoli stakeholders verso l’interesse aziendale primario di sopravvivenza/sviluppo.
Per fare un esempio di come tale logica sia diffusa trasversalmente ai settori economici e sociali, le società sportive di calcio: la logica del profitto non può prevalere sull’interesse primario aziendale dei risultati sportivi. La normativa che ne consegue obbliga le società di maggiori dimensioni a destinare il 51% ai supporter trust (tifosi interessati ai risultati sportivi). Questo, come negli altri settori socio-economici, testimonia la ricerca di un equilibrio all’interno della governance che orienti l’azione degli organi di governo al perseguimento dell’interesse aziendale primario.

In tal senso il modello di governance tedesco, istituzionalizzando la compartecipazione alla governance aziendale, può avere un ruolo nel definire linearmente il fine da perseguire?

Senza dubbio. Ponendomi da aziendalista nel libro che sto scrivendo sto mettendo a sistema i tradizionali equilibri economico, patrimoniale e monetario con un fondamentale equilibrio, che ho definito equilibrio di interessi e che deve legare in un rapporto di reciprocità e lealtà l’azienda e i suoi stakeholders (adeguata ricompensa rispetto al contributo ricevuto).

In ottica di durabilità aziendale e stabile vincolo dei vari stakeholders, le performance delle imprese tedesche hanno beneficiato dell’azione formativa del modello di governance?

In questo senso ci sono degli studi sull’impatto della crisi sulla durabilità aziendale nei diversi modelli di governance: chi ha tenuto meglio? Anche se il modello anglosassone sembra reagire meglio alle crisi aziendali nel breve periodo, tuttavia nel medio/lungo periodo il modello di governance tedesco può far leva sullo stabile legame azienda/stakeholders per creare un rapporto di fiducia e soprattutto reciproca responsabilità. Nel caso dei lavoratori si ha tendenzialmente maggior consapevolezza riguardo i propri doveri, non solo diritti, nel perseguire l’interesse dell’azienda e quindi i propri interessi, non viceversa.
Se, come in altri contesti nazionali, gli stakeholders o le proprie associazioni di rappresentanza non hanno chiari i propri doveri/diritti nella finalizzazione verso l’interesse aziendale, si rischia di compromettere la continuità aziendale.
Quando penso all’azienda bene comune, vedo un contesto in cui ogni stakeholder ha chiaro il proprio sistema di diritti e doveri verso l’azienda; l’elemento della reciprocità ritengo sia fondamentale per l’equilibrio di interessi e quindi per l’adeguato rapporto tra contributi/ricompense sia nel settore privato che pubblico.

(continua)

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