Come un’attenta analisi di bilancio svela lo stato di salute di un’impresa e le sue capacità imprenditoriali, commerciali e gestionali così l’analisi della rendicontazione non finanziaria racconta lo stato di salute della cultura organizzativa e la capacità di attuare politiche sostenibili. Le nuove norme sulla rendicontazione non finanziaria delle imprese rendono obbligatoria dal 2024 la redazione del bilancio di sostenibilità anche per tutte le aziende non quotate con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore ai 50 milioni di euro e un bilancio annuo di almeno 43 milioni.
La direttiva 2464 (approvata a fine 2022 dall’Unione Europea) non delinea solo un obbligo formale ma nei fatti ridefinisce lo scopo e, quindi, le priorità manageriali del board e dell’intera organizzazione. Oltre le condizioni di lavoro, l’occupazione sicura, l’orario di lavoro e i salari adeguati, le imprese dovranno misurare il dialogo sociale, la libertà di associazione, l’esistenza di comitati aziendali, la contrattazione collettiva, inclusa la percentuale di lavoratori interessati da contratti collettivi, i diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori, l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, la salute e la sicurezza.
La direttiva mette a fuoco le questioni della parità di trattamento e delle pari opportunità per tutti, comprese la parità di genere e la parità di retribuzione per un lavoro di pari valore, la formazione e lo sviluppo delle competenze, l’occupazione e l’inclusione delle persone con disabilità, le misure contro la violenza e le molestie sul luogo di lavoro, e la diversità in generale.
Si configura così un’impresa della partecipazione impegnata nel rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, delle norme e dei principi democratici stabiliti nella Carta internazionale dei diritti dell’uomo e in altre convenzioni fondamentali delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, nelle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella Carta sociale europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Per governare la transizione la leadership d’impresa ha bisogno di riconoscere i risvolti strategici, organizzativi e culturali di questi temi. Il processo di trasformazione per la piena e misurata attuazione di queste politiche è richiesto in una fase storica che misura un progressivo disingaggio e quiet quitting delle persone e dei portatori di interessi, una crisi nelle relazioni di fiducia tra individui e organizzazioni e l’emergere di forme di depressione reattiva e silenzioso ritiro dalla piena partecipazione della popolazione.
La premessa perché si generi un ambiente di lavoro più sicuro è la creazione di un clima di voce ispirato agli schemi della cittadinanza democratica. Rispetto alla sicurezza fisica o il bullismo nei luoghi di lavoro, ad esempio, forme di omertà per paura di ritorsioni o semplicemente per posizione gerarchica subordinata possono produrre gravi crisi aziendali. Chiunque abbia notizia di comportamenti insicuri o violenti, indipendentemente dal ruolo, può e deve prendere parte alla promozione di un ambiente fisicamente e psicologicamente sicuro con un suo contributo di voce.
Dal silenzio alla parola l’azienda motiva le persone a superare forme di astensione e di ritiro dal collettivo. Solo ricostruendo un rapporto di fiducia con le persone, promuovendo la piena cittadinanza aziendale e approfondendo le implicazioni di una scelta strategica orientata alla valorizzazione delle differenze le imprese possono alimentare le premesse di un percorso verso l’identità aziendale della stakeholder company.
La crisi della partecipazione è connessa alla mancanza di modelli culturali e di linguaggio. Ridefinire un modello può rimandarci a un processo top-down che prova a calare soluzioni dall’alto. Attuare una leadership inclusiva significa ricostruire l’autostima collettiva e il senso di appartenenza attraverso la creazione collettiva, una storia emergente che si fonda su un’interpretazione responsabile del ruolo da parte di tutte le persone anche nelle forme del bubbling up, cioè del “ribollire” di idee e soluzioni.
Questo cambiamento culturale non può essere raggiunto solo attraverso un mandato dall’alto. La gerarchia può esigere il rispetto di conformità, ma non può imporre ottimismo, fiducia, convinzione o creatività per la creazione di un’azienda più sostenibile sul piano sociale, oltre che ambientale, economico e democratico. Includere i lavoratori e i gruppi in un dialogo sulla costruzione significa coinvolgerli in nuova narrazione comune e nello sviluppo delle risorse necessarie per il futuro. In ogni contesto sociale i movimenti cambiano le culture e risvegliano la speranza.
All’azienda, più che un progetto di ripresa, serve un processo collettivo fondato sulla coscienza della fragilità presente e su una nuova visione del futuro. L’azione ha inizio se tante persone vivono un senso di insoddisfazione per lo status quo. Il malcontento si trasforma in un movimento quando una voce offre alle persone una visione positiva di speranza e un percorso condiviso. Il cammino all’inizio vede un piccolo gruppo di appassionati ottenere risultati piccoli, ma sufficienti a catturare l’attenzione di altre persone e a generare energia nel gruppo. Il movimento prende forza quando coopta con successo altre reti sociali di agenti del cambiamento.
L’obiettivo del processo sarà la costruzione di un patto di corresponsabilità firmato da tutte le persone e fondato su atteggiamenti di coerenza, collaborazione e rispetto. Nella definizione di un nuovo modello di reportistica non finanziaria l’Unione Europea getta le premesse di una nuova cultura d’impresa che può essere alimentata solo dall’ingaggio e dal recupero dell’etica della partecipazione.