Poco prima di Natale tra il Governo Draghi e i leader dei tre sindacati confederali è stato sottoscritto un testo, a mio parere, significativo (https://bit.ly/3zbnkAX). Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha dichiarato: “La firma del Protocollo per la partecipazione e il confronto nell’ambito del PNRR, sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai segretari generali di CGIL, CISL e UIL, è un risultato molto importante perché consente un confronto preventivo sugli investimenti e le riforme, sia a livello nazionale, sia a livello territoriale”.
Non esiste, purtroppo, né un documento comune all’insieme delle parti sociali né un analogo documento che coinvolga almeno le rappresentanze datoriali più rappresentative e quindi ancora una volta si è scelto di stabilire che un importante strumento di ascolto, confronto e partecipazione alle decisioni che attengono le ricadute del PNRR a tutti i i livelli non escluda il sindacato confederale da un coinvolgimento positivo ma senza che questo implichi una vera corresponsabilizzazione triangolare (Governo, imprese e sindacati) sulle scelte che determineranno buona parte della qualità del futuro del nostro Paese.
Tramontata la fase della concertazione e accantonati i progetti di disintermediazione né il sindacato confederale, preso nel suo insieme, né il variegato mondo dell’associazionismo d’impresa né la politica sembrano interessati ad aprire un nuovo metodo di lavoro che coinvolga il sistema della rappresentanza sociale ed economica.
Confindustria ci aveva provato prima dell’esplosione della pandemia a proporre di aprire una nuova fase. Niente da fare. Le differenti parti sociali hanno preferito impostare un’interlocuzione diretta con il Governo pensando, probabilmente, in questo modo di ottenere maggiori risultati.
Il nostro sistema di relazioni industriali fatica ad uscire dal novecento. Il rischio è che l’incapacità di fare un deciso passo in avanti crei inevitabilmente una situazione dove ci si accontenti di liturgie e formalismi da una parte e, dall’altra si consenta la proliferazione di sistemi “fai da te” che comprendano sia punte avanzate di confronto e di coinvolgimento e contemporaneamente, un sistema destrutturato a livello decentrato molto più ampio dove succede un po’ di tutto.
Nella logistica dove sui piazzali i sindacati di base strumentalizzano etnie e problemi, fuori dai riflettori dove la contrattazione che sfugge ai CCNL prende sempre più piede, e nell’agricoltura dove il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento è ben lontano da essere estirpato.
Il protocollo, seppure con tutti i limiti che ho evidenziato, può costituire un nuovo punto di partenza? Da quei tavoli passa il futuro del nostro Paese e le conseguenze sul mondo del lavoro. La sua qualità, le scelte nell’interesse o meno delle nuove generazioni, le politiche necessarie ad assicurare i processi di riconversione, gli effetti sull’occupazione.
Affrontare il PNRR con una logica negoziale difensiva tipica della cultura sindacale novecentesca porterà inevitabilmente ad individuare scorciatoie tese a scaricare sullo Stato i costi della transizione lasciando la qualità del futuro delle persone al mercato e alle sue regole. Che non sono neutrali.
Per entrare nel merito e determinare un esito all’altezza della sfida bisognerebbe avere chiaro il punto di arrivo, il viaggio da compiere e saperlo condividere con altri interessi in gioco da ricomporre in un quadro generale. E questa è la logica della vera partecipazione. Gli obiettivi sono comuni, i percorsi condivisi, i benefici e i costi per chi accetta la sfida devono essere certi e verificabili. Soprattutto devono essere socialmente gestibili e accettabili. Tutto questo non può essere raggiunto se prevalgono logiche negoziali che puntano a riproporre, in tutto o in parte, la situazione precedente.
Transizione ecologica, digitale, sud e coesione territoriale, occupazione giovanile e femminile, non sono titoli privi di contenuti e di conseguenze ma temi decisivi che contribuiranno a disegnare la qualità della nostra società e le conseguenze sulle persone.
Capisco anche che, da parte di molti osservatori, c’è sfiducia non solo sulle intenzioni ma anche sulla qualità degli stessi negoziatori sindacali. Per chi ha vissuto epoche passate è facile proporre paragoni con importanti figure del sindacalismo che fu. A mio parere ragionando così si commettono due errori. Innanzitutto perché se siamo arrivati qui lo dobbiamo, in buona parte, anche a chi ci ha preceduto. Nel bene e nel male. E i protagonisti attuali che si siederanno ai diversi tavoli non sono arrivati da Marte nottetempo.
Il secondo errore è che rischiamo la “profezia negativa che si autoavvera” se diamo per scontato che tutta la partita del PNRR, proprio per la qualità dei decisori è destinata ad arenarsi nel nulla o poco più, tra veti incrociati e accuse reciproche.
C’è un tema che indubbiamente riguarda la politica e la competizione tra forze politiche. C’è però una parte che riguarda l’insieme delle forze sociali. Rilanciare la corresponsabilità è fondamentale. E questo, a mio parere, è il passaggio che manca nel protocollo.
Il 2022 deve portare un cambiamento vero anche nel sistema delle relazioni industriali. Qualità e peso della rappresentanza da certificare, nuovo modello contrattuale, salario minimo, diritti e doveri universali. Non credo avremo un’altra occasione. E, purtroppo, l’alternativa è facile da intuire.