Imprese recuperate: in Italia sono 100, e valgono 15mila posti di lavoro.

Ci sono oltre cento imprese in Italia che non sono come le altre. Attive soprattutto del settore manifatturiero, erano fallite eppure ora sono rinate. Erano fabbriche di un “padrone”, gestite da manager professionisti, finite in disgrazia, ma oggi continuano a produrre. Coinvolgono direttamente 8mila lavoratori, ma ne comprendono circa 15mila grazie all’indotto, per un fatturato superiore a 200 milioni di euro l’anno. A possederle, decidendone strategie e destino, è oggi solo chi ci lavora, perlopiù operaie e operai. Hanno fatto una scelta coraggiosa. Se le sono ricomprate con un unico comune obiettivo: rimanere sul mercato e mantenere l’occupazione.

MAPPA distribuzione workers buyout per regione 1986-2016 – fonte “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”

Queste imprese si chiamano “fabbriche recuperate” o workers buyout(spesso anche dette WBO). Ciascuna ha le proprie particolari vicissitudini, ma tutte celano una storia che vale la pena raccontare. Un percorso di rinascita che trae origine ben prima della crisi che le ha colpite, cioè quando venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, nel 1985, la legge n°49, detta anche “legge Marcora”. Il suo fautore era Giovanni Marcora, partigiano nella II guerra mondiale, democristiano, ministro dell’Industria nel 1981 durante il governo del repubblicano Giovanni Spadolini.

Workers buyout o fabbriche recuperate?

In realtà imprese recuperate e workers buyout non sono esattamente sinonimi. «La definizione di fabbriche recuperate ha un taglio più sociologico, perché si focalizza sui processi di autonomia e di autogestione dei lavoratoriWorkers buyout ha invece un’accezione più collegata alla finanza d’impresa, come leveraged buyout e tutti i processi di acquisizione che non avvengano da parte di un padrone o di un interesse privatistico» precisa Romolo Calcagno, studioso della materia e autore del portale impreserecuperate.it. Una disputa terminologica che si potrebbe ulteriormente approfondire, portandoci fin dall’altra parte dell’oceano, in Argentina. Dove, con la crisi che spesso Valori ha raccontato, si è diffusa l’importante esperienza delle empresas recuperadas por trabajbadores. 

TABELLA numero lavoratori workers buyout 1986-2016 – FONTE: “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”.

Welfare pagato dai lavoratori e finanza di Stato primi mattoni della rinascita

In Italia, la parabola delle imprese recuperate inizia indubbiamente con la legge 49/85, provvedimento che ha tracciato una strada diversa dalla chiusura, almeno per qualcuno. In particolare mettendo a disposizione strumenti finanziari di supporto per i lavoratori di un’azienda in crisi che decidano di formare una cooperativa. Operazione sempre travagliata ma necessaria per far ripartire l’attività.

GRAFICO raffronto trend di sviluppo workers buyout con disoccupazione e Pil 1986-2016 – fonte “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”

Per prima cosa, infatti, questi dipendenti sono costretti a vestire i panni degli imprenditori, costituendo la cooperativa industriale o di lavoro che sarà il fondamento di una nuova società. La cooperativa acquisisce – ma più spesso all’inizio si limita ad affittarlo – un ramo d’azienda, così da poter accedere ai finanziamenti di FonCooper – il fondo nazionale legato alla legge Marcora, rinnovato annualmente. Il fondo dà infatti l’opportunità di vedersi raddoppiato il capitale sociale. Ma la somma iniziale è spesso “lacrime e sangue” dei lavoratori, perché messa insieme investendo la propria indennità di mobilità, la NASpI. Quando è sufficiente.

TABELLA distribuzione workers buyout per regione 1986-2016 – fonte “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”

Il finanziamento non è però automatico. Dipende infatti dalle valutazioni che vengono svolte da due cooperative in Italia, Cooperazione finanza impresa (Cfi) e SofiCoop, cioè i veri investitori istituzionali che operano per conto dello Stato. Un passaggio critico durante il quale viene considerato il piano industriale, il progetto di rinnovo della fabbrica. E solo se il report finale è positivo il percorso prosegue e la nuova impresa può ricominciare a lavorare.

(valori.it)

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