La Francia di Macron passa alla contrattazione aziendale.

Contrattazione aziendale e fine della «discriminazione sindacale». È questo lo schema che sorregge la riforma francese del codice del lavoro, che il primo ministro Edouard Philippe considera equilibrato. «È la fine del contratto di lavoro», è stato invece il commento di Philippe Martinez, segretario della Cgt, il secondo sindacato del paese, che conferma lo sciopero generale proclamato per il 12 settembre, al quale non parteciperanno però la Cfdt e Force Ouvriére, che hanno adottato posizioni più sfumate.

Il presidente del consiglio, pur ritenendo sane le differenze di opinioni, non intende cedere alle pressioni. «Abbiamo ricevuto un mandato sulla riforma del lavoro», ha detto Philippe riferendosi alla campagna per le elezioni legislative. I decreti delegati presentati ieri in conferenza stampa dal primo ministro e dalla ministra del lavoro, Muriel Pénicaud, entreranno dunque in vigore tra un mese: saranno presentati al consiglio dei ministri il 22 settembre, per dar tempo alle organizzazioni sindacali e padronali di elaborare i propri pareri – ed eventualmente di apportare correzioni «marginali» – ed entreranno in vigore a fine mese dopo la firma del presidente Emmanuel Macron. La nuova disciplina dovrebbe andare a regime nella primavera del 2018, anticipando un po’ i tempi inizialmente previsti.

L’idea di fondo è una riforma complessiva delle relazioni sindacali, una «trasformazione del codice del lavoro – ha detto Pénicaud – di dimensioni ineguagliate», per spostare le contrattazioni più vicino all’azienda. I negoziati aziendali diventano prioritari, e saranno affidati a un organismo unico, il Comitato sociale ed economico. Con l’obiettivo di evitare di alterare gli equilibri tra le parti sociali, le norme prevedono un rafforzamento delle garanzie per rappresentanti eletti e rappresentanti dei sindacati: «La discriminazione sindacale è inaccettabile»ha aggiunto Pénicaud che ritiene di aver affrontato anche il tema del calo delle “vocazioni” tra i rappresentanti dei lavoratori, prevedendo norme su formazione e garanzie anche economiche.

Le grandi organizzazioni dei lavoratori, in realtà, sono chiamate a svolgere il loro lavoro solo nelle aziende con più di 50 addetti (e non 300, come chiedevano gli imprenditori); mentre in quelle più piccole, che occupano più del 50% della forza lavoro francese, le trattative saranno svolte con un rappresentante eletto tra i lavoratori o, nelle imprese con meno di 20 addetti, con tutti i dipendenti. Solo il 4% dei delegati delle organizzazioni sindacali è del resto presente oggi nelle piccole e medie aziende.

Gli accordi aziendali potranno riguardare stipendi – ma in Francia esiste il salario minimo – premi di anzianità, tempi e orari, organizzazione del lavoro e saranno sottoposti a referendum. Dal primo maggio 2018, saranno validi se adottati da sindacati che rappresentino almeno il 50%, e non più il 30% degli addetti. Su tempi di lavoro, remunerazioni e mobilità il governo intende varare anche degli “accordi di competitività”, semplificati ma comunque adottati a maggioranza dei lavoratori.

I contratti collettivi non scompaiono, in ogni caso, per rispondere alle esigenze delle aziende più piccole che non possono permettersi ampi negoziati. Potranno, per esempio, determinare durata, numero dei rinnovi, il periodo di latenza dei contratti a tempo determinato.

È stata introdotta la regola che impone ai giudici di non tener conto della situazione internazionale di un gruppo, ma solo di quella francese, nei casi di licenziamento collettivo, mentre le indennità di licenziamento sono state aumentate al 25% dello stipendio mensile per anno di attività, dall’attuale 20%. È stato inoltre introdotto un tetto massimo anche per i danni da riconoscere in caso di licenziamento illegittimo: 10 mesi di stipendio, per esempio, per chi ha un’anzianità aziendale di 10 anni, 20 per chi ne ha una di 30 e più anni.

Le nuove norme pongono anche le basi per una cogestione alla francese, mentre disciplinano e tutelano il telelavoro. Un osservatorio sui negoziati completa il quadro.

Philippe non si illude che questa riforma possa da sola dare una svolta al problema della disoccupazione, che in Francia raggiunge il 9,8%. «Sappiamo – ha detto durante la conferenza stampa – che il diritto del lavoro non è la prima causa di disoccupazione in Francia, ma sappiamo anche che se vogliamo andare avanti sulla questione del lavoro, dobbiamo trattare tutta la questione della disoccupazione»; e i vincoli posti dal diritto, ha spiegato, spesso frenano la domanda di lavoro, insieme all’incertezza sulle norme da applicare e sull’esito delle eventuali controversie. Il governo intende in ogni caso ridurre i contributi di lavoratori e imprese e quindi il costo del lavoro, mentre varerà nuovi programmi per la formazione dei lavoratori.

(R. Sorrentino, www.ilsole24ore.com, 31.08.2017)

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