C’è l’assicurazione sulla vita ma anche il maggiordomo aziendale, ossia un incaricato dall’azienda che aiuta il lavoratore a portare l’auto dal carrozziere o a ritirare la spesa, c’è la palestra aziendale e i gruppi di acquisto, e poi ancora il car-sharing, la convenzione con il medico della ditta per gli esami del sangue, i corsi di inglese e l’orto aziendale. La lista è lunga, si tratta di alcune delle opportunità che un lavoratore può avere in ciò che viene definito welfare aziendale.
Il faro su questo tema lo ha puntato Confindustria Bergamo che nella giornata di lunedì 22 maggio ha organizzato ad Astino un’assemblea congiunta per il Comitato Piccola Industria, il Gruppo Giovani e i gruppi merceologici.
Se per Marco Guerci, dipartimento di scienze sociali e politiche all’Università degli Studi di Milano per “welfare s’intende il “benessere”. La salute, la soddisfazione professionale, motivazionale e relazionale”, il presidente di Confindustria Bergamo, Ercole Galizzi, non manca di rimarcare come “La sfida è trasformare il valore del welfare per le imprese e per i lavoratori”. Poi aggiunge. “Il capitale umano è alla base di qualsiasi cambiamento e di qualsiasi sviluppo”.
Nasce da qui l’esigenza di sottoscrivere un patto tra datori di lavoro e occupati, perché “Il benessere del lavoratore e la performance dell’impresa sono strettamente correlati” aggiunge Guerci. “È necessario rendere chiari al lavoratore, i benefici e gli obiettivi del welfare, del benessere in azienda – sottolinea Guerci – Per questo motivo serve una definizione di benessere e non sottovalutare il ruolo del lavoratore. Perché se il lavoratore è soddisfatto cresce la produttività. Infine, la dimensione del welfare è rischiosa perché il lavoratore può fraintendere: è a mio beneficio o è un’opportunità per le imprese?”. Infine una postilla: “Il tema nuovo è come tutto ciò che è nuovo, c’è molto da scoprire. Resta una grande opportunità: prima di prenderci cura dei lavoratori è necessario riscoprire il tema della cura, dell’attenzione, che con la crisi è stato difficile attuare”.
Gian Paolo Negrisoli, presidente della Flamma Spa di Chignolo d’Isola porta ad esempio la sua esperienza, ricordando che il contratto dei chimici è stato uno dei primi a contemplare il welfare. “Abbiamo appena rinnovato il contratto integrativo, ma lo abbiamo fatto per un anno – racconta Negrisoli -. L’idea è di costruirlo insieme, ritagliare su misura ciò che serve ai lavoratori e che l’azienda può offrire. Per fare questo è necessario il coinvolgimento dei lavoratori e delle Rsu. L’ambiente in cui lavoriamo deve essere confortevole perché in azienda si trascorre anche il 30 per cento della propria vita ed è necessario quindi creare un ambiente di lavoro armonioso. L’armonia è qualcosa di straordinariamente importante”.
Anche se non mancano le difficoltà. Alcuni dipendenti vedono il welfare come antitesi allo stipendio. “Ma se coinvolti, i dipendenti possono offrire molti spunti utili anche all’azienda” aggiunge Negrisoli. E così alla Flamma è stato introdotto anche lo smart working, i percorsi benessere, i contratti part-time, corsi di formazione, i contributi per asilo nido e i libri scolastici. Battaglia personale di Negrisoli sono i boccioni di acqua, per risparmiare ed non inquinare con altra plastica.
Roberto Zappa, presidente gruppo Metalmeccanici di Confindustria Bergamo, evidenzia come il rinnovo dei contratti delle categorie sia l’occasione per evidenziare l’importanza del welfare: “l’obiettivo è il welfare nelle Pmi. A giugno presenteremo il lancio di una piattaforma di politiche definite”.
“Spesso si dimentica che un’azienda genera valori come l’etica, la correttezza – afferma Fabio Storchi, presidente di Federmeccanica – al centro dell’impresa c’è l’uomo, quel capitale umano che è fondante, è la base di tutto. Per questo è importante il welfare in azienda e per raggiungerlo dobbiamo condividere con il sindacato quello che è lo scenario di riferimento. In un contesto di mondializzazione del mercato, le imprese resistono se innovano. Ma l’imprenditore non fa nulla da solo, serve la partecipazione di chi lavora a fianco con lui in azienda. Il rinnovamento dei contratti, superando certe barriere ideologiche, è una grande scommessa. La carta da giocare è quella della partecipazione, della responsabilizzazione. Il salario si riconosca in azienda in base al prodotto realizzato, l’impresa investa per aggiornare le competenze. Ecco, noi come imprenditori dobbiamo fare carico dei nostri collaboratori”. E ricorda che per 11 milioni di cittadini italiani le cure sanitarie restano un miraggio. “Per questo abbiamo proposto una previdenza complementare, oltre ad una polizza sanitaria di 156 euro che permetta ai nostri dipendenti di potersi curare”.
(D. Agazzi, www.bergamonews.it, 23.05.2017)